Sapelli: l’ideologia tedesca pronta ad asfaltare i piani di Draghi e Macron

Il Sussidiario.net –  – Giulio Sapelli

Christian Lindner, prima di incontrare ieri Daniele Franco, ha rilasciato un’intervista che dice molto della linea che avrà la Germania in Europa

L’intervista a Christian Lindner, ministro tedesco dell’Economia, pubblicata da Repubblica nel giorno del suo incontro con l’omologo italiano Daniele Franco, rimarrà nei tempi a venire una testimonianza di come l’ordoliberismo sia un’ideologia straordinariamente persistente. Un’ideologia che si incarna nel governo neo-cameralista dei funzionari e dei tecnici e non una teoria economico-sociale. Del resto, le sue basi teoriche sono fragilissime e tutte legate al periodo storico in cui nacque. Un’ideologia potentissima e destinata a divenire egemonica, così come in effetti è diventata nonostante la pandemia e nonostante il dolore sociale e psichico che promana dalle società colpite dalla contaminazione.

Il passo centrale è là dove Lindner afferma: “Non sono ideologico. Ma ho idee ordoliberali e mi vedo in una certa continuità nel rappresentare gli interessi del mio Paese. Però credo anche che gli interessi e i valori della Germania siano assolutamente conciliabili con gli interessi comuni europei”. Con quel che ne consegue, come si esplicita bene rispondendo alla domanda in merito alle idee espresse da Macron e Draghi sulla necessità di riscrivere i Trattati dell’Ue: “Non penso – afferma Lindner – che la messa in comune dei rischi e l’ammorbidimento delle regole comuni ci facciano fare progressi. Però, certo, bisognerà trovare il modo di migliorare il Patto di stabilità facendo in modo che l’abbattimento dei debiti non tolga margini agli investimenti in tecnologie avanzate, tutela ambientale e altre importanti priorità”.

E qui immediatamente viene alla mente il fatto non mai abbastanza sottolineato: ossia di quanto mirati a sole due filiere produttive ed economico-sociali la Germania abbia accentrato i fondi richiesti per il Pnrr (ambiente e digitale), così come la Francia (a esse ha aggiunto l’inclusione sociale), mentre invece l’Italia li ha dispersi in ben sei filiere, senza aver mai saputo neppure spendere i fondi Ue e ora dovendo articolare con rapidità e sapienza i mille rivoli delle richieste a debito e a sussidio.

Insomma, la Germania, con il nuovo Governo a guida socialdemocratica, era parsa a molti poter ritornare alle storiche posizioni che avevano avuto in Helmut Schmidt il loro alfiere. Ricordo il giorno, nel fine settembre del 2012, in cui ancora pieno di energia e in procinto di partire per un viaggio verso Singapore, Schmidt sintetizzò una critica straordinariamente semplice ed efficace della politica europea della Germania nel corso dell’intervento di ringraziamento per aver ricevuto a Münster il Preis des Westfälischen Friedens, assegnato ogni due anni a personalità che si battono per l’unità e la pace in un’Europa federale. Si era nel pieno della crisi dei debiti sovrani. Fu una voce che, fuori dal coro, si oppose a quella che definì una “opinione pubblica anestetizzata e impaurita”; attaccò “l’egoismo nazionale” tedesco e affermò che l’Unione Europea “avrebbe potuto fallire a causa dei tedeschi”. Infine, ricordò l’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing e il lavoro da lui svolto per l’integrazione europea e si lanciò contro “l’opinione pubblica tedesca sfortunatamente condizionata da un punto di vista nazional-egoistico”.

Il leader dei Liberali tedeschi, invece, spiega nell’intervista come la centralizzazione dei diversi capitalismi nazionali europei sia solo illusoriamente diretta ad adottare politiche neo-keynesiane. Ridurre i debiti pubblici si deve, sostiene, ma allo stesso tempo occorre non legare le mani alla Bce, in salsa tedesca, però. E se il Recovery fund può migliorare è solo per “ritagliarsi i margini per investire nel futuro economico”, così da garantire all’Ue quella transizione ecologica e digitale per cui occorrerà spendere ben più della già prevista mutualizzazione del debito incarnata nel Next Generation Eu. E questo è inevitabile, anche per il fatto che la Germania, certo irreversibilmente potenza di terra e non di mare e restia all’intervento armato nelle relazioni internazionali, secondo Lindner, dovrà ampliare il suo ruolo internazionale. Fondamentale sarà ciò che accadrà nel confronto in Ucraina. Il fatto che Lindner annunci in questa intervista che il Governo Scholz non sarà debole con Putin perché si propone di addestrare ufficiali e personale dell’esercito ucraino in Germania implica che accanto ai fondi per il digitale e il clima si prevede una crescita delle spese militari. Il che non si concilia con l’affermazione squisitamente ordoliberista con cui si chiude l’intervista: “Dall’anno prossimo torneremo ai vincoli fiscali che ci impone la nostra Costituzione, con un limite molto stringente per il bilancio annuale. Ecco la nostra strategia duplice: spese mirate per investimenti, ma sulla redistribuzione, sulla spesa corrente e sulla spesa sociale devono valere severi vincoli fiscali”, “il Next Generation Eu è stato una risposta singola a un singolo evento”, “dobbiamo capire come valutare le banche che hanno una quota particolarmente alta di titoli di Stato nei loro bilanci. Perché il rischio è che debiti privati e pubblici si mescolino e che i rischi legati ai debiti pubblici si trasferiscano sul settore finanziario di un altro Paese”.

Insomma, anche questa volta le ideologie sono tali perché cadono in contraddizione con i loro stessi presupposti. E in questo caso: dove si possono trovare le risorse auspicate dal ministro se non in un profondo cambiamento della politica economica dell’Ue? Altrimenti l’unica risposta è che esse si troveranno estraendole dalle nazioni meno potenti nel continente. È ciò che Macron e Draghi vogliono evitare. Ma proprio per questo il problema tedesco è fondamentale per la crescita. Essa per la classe dominante tedesca deve continuare a fondarsi sulla continuità della politica economica basata sulle esportazioni e sui bassi salari e quindi in una costante e sempre più solida alleanza con la Cina, sottomettendo a questo disegno tutte le altre nazioni europee.

Rispetto al periodo tra le due guerre mondiali non è mutato nulla della strategia di crescita imperiale tedesca. Solo lo spazio vitale è cambiato, ora esso è molto più ampio: non solo dominerebbe incontrastata l’Europa, ma supererebbe gli Urali per giungere sino in Cina. Auguri.