“NESSUNO POTEVA PIU’ VIVERE AL SICURO”

17 giugno 827 l’Islam conquista la Sicilia bizantina

Articolo di Santi Gnoffo

Il 17 Giugno dell’827, gli Arabi (arabi, berberi, musulmani di Spagna e Persiani), comandati dal settantenne Sinàn Asad al-Furàt, sbarcarono a Capo Granitola (Tp).

L’armata era composta di diecimila fanti e settecento cavalieri. La conquista della Sicilia era stata ordinata dall’emiro aghlabita di Quairawàn Ziyàdat Allàh, a seguito della richiesta di un traditore siciliano: il tumarca (funzionario) Eufemio, comandante delle truppe bizantine a Messina. Da anni gli Arabi avevano praticato diverse scorrerie in Sicilia, la stessa Panormo, nell’anno 819 era stata vanamente attaccata ma le possenti mura li fecero rinunciare dal loro proposito.

I musulmani avevano dato inizio alla guerra santa contro la Sicilia cristiana. Iniziarono i saccheggi, le rapine, gli incendi, le distruzioni delle messi, il taglio degli alberi, l’abbattimento delle case. Uccidevano tutti coloro che facevano resistenza, gli altri furono ridotti in schiavitù.

Nessuno poteva più vivere al sicuro.

Ogni giorno la verde bandiera dell’Islam poteva apparire improvvisamente all’orizzonte come segno di morte e rovina. Nell’830 sbarcò un nuovo esercito di 30.00 uomini. Alla guida era il berbero Asvag, soprannominato Fargalùs. Nel Nordafrica si era sparsa la voce che la Sicilia, una terra ricca di uomini e di beni, non era adeguatamente difesa. Inoltre si trattava di una terra abitata da infedeli. Era la grande occasione per fare rapidamente fortuna. I musulmani abbandonarono le loro terre desertiche e si precipitarono sulla fertile isola. Fu posto l’assedio a Panormo. Gli abitanti della città, abbandonati da Bisanzio, senza viveri e distrutti da un’epidemia, si arresero nel mese di Rageab 831 del calendario musulmano (corrisponde al periodo compreso fra il 14 Agosto e il 12 Settembre dell’831), esattamente il giorno 11 Settembre dell’anno 831.

Secondo lo storico arabo Ibn al-Atir rimasero in vita solo 3.000 cittadini, 60.000 erano stati uccisi nei combattimenti o erano morti per stenti.

Gli Arabi, dopo avere conquistato Panormo, la denominarono Balarm o Balarmuh.

I primi anni furono duri per tutti, le truppe musulmane furono costrette a vivere in campi aperti o asserragliati in piccole rocche fortificate, gli abitanti della Città vivevano impauriti dalle scorrerie e razzie degli invasori. Ai cristiani fu concesso lo status di “dhimmi” (vassalli) e grazie all’amàm, ogni cittadino era tutelato nei suoi beni ed aveva libertà di commerciare. Questo status, implicava degli obblighi (quasi sempre rimasti teorici), come il contrassegnare con appositi simboli i propri abiti e le proprie case e pagare tasse più alte rispetto ai musulmani. Ai cristiani non fu concesso di occupare ruoli sociali che implicassero potere sui musulmani o possedere case più alte delle loro.

Sul piano religioso, fu tutelata la libertà di culto ma non fu concesso edificare nuove chiese, celebrazioni funebri, suonare le campane, fare processioni, leggere la Bibbia alla presenza di musulmani, bere pubblicamente alcolici.

Nella vita sociale furono tutelati la proprietà privata, il libero commercio e le antiche tradizioni locali ma allo stesso tempo furono obbligati ad alzarsi in piedi alla presenza di un musulmano, nelle strade ceder loro il passo; sul piano della difesa personale non fu consentito indossare armi, avere un cavallo o montare su di un mulo in loro presenza.

All’uomo cristiano fu proibito sposare una musulmana, di contro, un uomo di fede islamica poteva liberamente sposare una cristiana.

La popolazione fu sottoposta a particolari tributi.

Per trattare gli affari era necessario la giamà’a, cioè il consenso municipale rilasciato dal Consiglio dei notabili della Città: una struttura formata da sceicchi, esponenti delle famiglie nobili, dai capi delle corporazioni, dai dotti e dai cittadini più ricchi.

Pochi furono i panormiti che rimasero in città, la maggior parte della popolazione era composta di ebrei e musulmani (berberi, immigrati arabi, egizi, persiani, siriani, maghrebini, iracheni, negri), greci, longobardi, tartari e schiavi di ogni nazionalità.

La tolleranza tra tutte queste etnie non creò dissapori perché era unita da interessi economici, perciò, non vi fu attrito tra vinti e vincitori. Molte persone delle varie etnie si convertirono all’Islamismo.

Alla donna cristiana non fu consentito entrare nei bagni pubblici alla presenza di donne islamiche: prima dell’occupazione islamica, erano le prostitute a non poter frequentare i bagni pubblici alla presenza di donne di altra estrazione sociale.

Alcuni di questi divieti furono del tutto teorici e spesso non osservati (ad eccezione del divieto per un cristiano di sposare una musulmana), servivano soltanto per prostrare psicologicamente la comunità.

(Santi Gnoffo, Palermo nei secoli)