Mattarella ha sempre Ragione

El supremo a lanciato una minaccia vera a propria:

Mattarella: «La libertà di menzogna non è tra quelle rivendicabili. I fatti non sono piegabili alle opinioni, possiedono una forza incoercibile. Il pluralismo delle opinioni – valore di fondamentale rilievo – non è sostitutivo della informazione libera e indipendente»

traduzione:

“Quella che noi al poteree affermiamo è Verità Fattuale, quello che dite voi è menzogna persequibile legalmente”

Ma i liberi media ci difenderanno:

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L’informazione “libera” di essere comprata per centinaia di milioni di € dalla KommiSSione UE Dove sono censurati i media Russi, e di oltre 30 nazioni del Sud Globale, inclusi PalestinaNicaraguaVenezuelaCubaZimbabweYemen

SERVI DEL NULLA, IL DECLINO DELLA COSCIENZA NEL “PANOPTICON” GLOBALE

di Paolo Zanotto – 30 Luglio 2025

Il Panopticon, ideato da Jeremy Bentham nel 1791, è un modello architettonico di prigione circolare che permette a un unico sorvegliante di vedere, ma non essere visto, tutti i detenuti. Questa struttura, pensata per la massima efficienza nel controllo, è diventata un simbolo della società della sorveglianza e del potere disciplinare. 

Premessa

Il presente lavoro si propone di argomentare come l’attuale forma di civilizzazione occidentale sia sprofondata in uno stato di involuzione regressiva, mascherata da progresso. In essa si assiste a un processo di tribalizzazione tecnologica che disgrega la persona, ne atomizza l’identità, la spoglia dell’intelligenza critica e la riconduce a un conformismo pavloviano. Il “cittadino modello”, oggi elevato ad archetipo del buon vivere democratico, rivela in realtà le intime fattezze dell’idiota integrale: delatore zelante, servo delle regole, incapace di cogliere l’arbitrio e l’ingiustizia quando questi si ammantano della veste della legalità. Questo scritto ne offre un’analisi spietata ma necessaria, fondata su coordinate antropologiche, sociologiche e filosofiche.

Dalla Polis al Panopticon: metamorfosi della cittadinanza

L’ideale classico di cittadino, forgiato nella fucina della pólis greca, implicava una tensione verso l’aretḗ (ἀρετή): un senso di responsabilità nei confronti dell’ordine comune, cioè, ma anche una coscienza critica fondata sulla conoscenza della giustizia. Il polítēs (πολίτης) era partecipe della vita pubblica, in effetti, ma anche vigile custode del bene superiore rispetto al mero legalismo. Oggi, per contro, assistiamo a una trasformazione radicale e perversa di tale archetipo: il “nuovo cittadino” è compliance-oriented, ossia addestrato a conformarsi alle regole in quanto tali, prescindendo dalla loro razionalità o legittimità. Simile obbedienza, fondata niente affatto sulla virtù ma sul timore e sulla delega cieca all’autorità, configura una nuova forma di “servitù volontaria”, per dirla con Étienne de La Boétie.

La società occidentale contemporanea ha conosciuto una mutazione del principio d’autorità: essa non risulta più incarnata da figure carismatiche o istituzioni fondative, ma si è diffusa capillarmente in protocolli, dispositivi, standard e regolamenti anonimi e impersonali. Il cittadino medio, nella sua adesione acritica a tali codici, non si rende conto di essere diventato un guardiano del nulla, custode zelante di una normatività che, lungi dal promuovere la giustizia, semplicemente ne simula l’apparenzIl Panopticon, ideato da Jeremy Bentham nel 1791, è un modello architettonico di prigione circolare che permette a un unico sorvegliante di vedere, ma non essere visto, tutti i detenuti. Questa struttura, pensata per la massima efficienza nel controllo, è diventata un simbolo della società della sorveglianza e del potere disciplinare. 

a per contenere l’espressione della libertà. Il potere non domina più attraverso la repressione, bensì attraverso la complicità del sorvegliato che diviene a sua volta sorvegliante: una perfetta incarnazione del Panopticon di Jeremy Bentham reinterpretato in chiave digitale.

A tal proposito, riaffiora alla mente anche la perturbante descrizione di New York offerta da André Gregory nel film My Dinner with Andre (1981), dove la metropoli appare come una sofisticata reinvenzione del campo di concentramento, costruita non da un potere esterno, ma dagli stessi uomini, come se il carnefice e la vittima fossero ormai fusi in un’unica, tragica identità schizofrenica. In quella visione, i cittadini della Grande Mela – apparentemente liberi – vivono in realtà in uno stato di anestesia spirituale, al tempo stesso prigionieri e sorveglianti, incapaci di immaginare l’uscita da una prigione che essi stessi contribuiscono a rinsaldare giorno dopo giorno. È una condizione esistenziale in cui la volontà è stata cooptata da un potere invisibile, mentre la coscienza, virtualmente lobotomizzata, si accontenta di reiterare gesti meccanici in una bolla anestetica, frutto di un lavaggio cerebrale perpetuo e autoriproducente, occultamente orchestrato da un regime totalitario fondato sul denaro, sul controllo e sull’illusione della libertà. Qui, proprio come nel Panopticon, l’occhio del potere non necessita più di essere visibile: è già stato interiorizzato dai suoi stessi soggetti.

Tribalismo algoritmico: la regressione mascherata da progresso

Maurizio Blondet, [31/07/2025 08:27]

La tecnologia, lungi dal fungere da vettore d’emancipazione come auspicavano gli illuministi, ha finito per produrre un’arena tribale regolata da logiche di appartenenza identitaria, sospetto reciproco, ostracismo rituale. Le “comunità” digitali non sono più costituite da individui pensanti, ma da membri affiliati, sovente inconsapevoli, a un tribalismo postmoderno regolato da algoritmi di polarizzazione. Il soggetto, privo di una coscienza metafisica e radicato esclusivamente nell’hic et nunc mediatico, assume comportamenti collettivi arcaici: la caccia all’untore, la delazione, la riprovazione morale, l’esclusione dell’eretico dalla comunità. Si tratta di un ritorno del rimosso tribale all’interno di una società ipercomplessa, la quale, per paradosso, ha perduto ogni senso della complessità.

In siffatto contesto, la figura del “cittadino-modello” – colui il quale non perde occasione per denunciare i vicini non vaccinati, segnalare presunti comportamenti sospetti, inchiodare il dissenziente al pubblico ludibrio – assume i tratti caratteristici dell’idiṓtēs (ἰδιώτης) nell’antica civiltà greca: il privato, l’incapace di elevarsi alla dimensione della res publica. Ma mentre l’idiṓtēs era semplicemente ignavo, l’idiota contemporaneo si mostra attivo, militante, integralista. La sua intolleranza si traveste da zelo civico, la sua servitù da moralismo legalista. È il delatore etico, figura già delineata in forma tragica nella letteratura novecentesca, da George Orwell ad Arthur Koestler, ma oggi assurta a paradigma normativo.

Delazione e conformismo: l’armamentario della nuova idolatria

Il ricorso sistematico alla delazione, lungi dal costituire un’anomalia emergenziale, si è convertito in un tratto strutturale dell’ordine sociale vigente. Si è ormai spezzato il vincolo di solidarietà organica che univa i membri della comunità tradizionale. Il prossimo viene adesso percepito come un potenziale trasgressore, un nemico del bene collettivo, un ostacolo alla sicurezza comune. Tale visione è alimentata da una pedagogia del sospetto che non educa alla responsabilità, bensì alla sottomissione e al conformismo.

La figura del “bravo cittadino”, che – come nei totalitarismi novecenteschi – collabora attivamente con le autorità e denuncia ogni “anomalia”, diventa oggi non soltanto rispettabile, ma perfino encomiabile. Egli non è più chiamato a discernere fra ciò che è giusto e ciò che è legale, ma viene sollecitato a identificare la legalità con la giustizia, secondo un meccanismo perfettamente hobbesiano: l’autorità è sempre legittima per definizione, anche quando si mostra ingiusta, poiché senza di essa – si afferma capziosamente – regnerebbe il caos. Tale logica perversa, nondimeno, conduce a una paralisi morale: essa esclude la disobbedienza civile, l’obiezione di coscienza, la testimonianza del dissenso.

L’idiota integrale: la forma vacua della cittadinanza

Simile regressione antropologica si compendia nella figura dell’idiota integrale – termine qui assunto non in senso insultante, bensì tecnico. L’idiota è infatti colui che, pur dotato di alfabetizzazione, tecnologia, accesso all’informazione, rinuncia ad ogni esercizio di giudizio autonomo. Un simile individuo si fida ciecamente dell’esperto, si allinea alle narrazioni dominanti, confonde la virtù con l’obbedienza, il bene con la regola, la cittadinanza con il conformismo. In lui è totalmente scomparsa ogni traccia di paidéia (παιδεία), ovvero di quella formazione dell’anima che rendeva l’uomo capace di libertà interiore.

Nel tribalismo tecnologico l’idiota non incarna per nulla un anacronismo, bensì l’elemento perfettamente integrato. Egli non pensa, ma replica; non vive, ma si collega; non giudica, ma si indigna secondo modelli preconfezionati. La sua rappresenta una servitù di nuova generazione: non imposta tramite l’esercizio della forza da alcun tiranno, ma accettata con pieno entusiasmo da un soggetto che ha ormai delegato ogni principio critico al software etico delle istituzioni dominanti.

Contro il nuovo Leviatano: la via dell’anacoresi interiore

Maurizio Blondet, [31/07/2025 08:27]
Dinanzi a siffatto scenario, l’unica via percorribile sembra essere quella indicata dai grandi spiriti solitari della Tradizione: non già un rivoluzionarismo sterile, ma una anacoresi interiore, un rifiuto radicale della logica dell’automatismo sociale. Come insegnava Simone Weil, vi è una “decreazione” necessaria dell’ego sociale per far spazio al reale. L’uomo libero è oggi colui che sa tacere dinanzi all’urlo collettivo, che si rifiuta di partecipare alla danza macabra della delazione, che rilegge le norme alla luce della giustizia e non viceversa.

In tempi di involuzione, la resistenza più profonda è quella dello spirito. E lo spirito, per natura, è antisistemico, disobbediente, inefficiente, inutile nel senso etimologico: non serve, perché non è servo. L’idiota integrale, al contrario, è l’uomo perfettamente adattato e, pertanto, utile: utile al sistema, utile alle norme, utile alla repressione. Ma, proprio per tale ragione, perfettamente disumanizzato. In pratica, la versione post-ideologica dell'”utile idiota” (polezny idiot).

Considerazioni conclusive

La coazione a conformarsi, l’esaltazione dell’obbedienza come virtù, la delazione come atto civico e la rinuncia sistematica alla propria sovranità interiore rappresentano i tratti costitutivi di una nuova antropologia postumana. In essa l’homo sapiens abdica alla sua prerogativa più nobile – il libero pensiero – per rifugiarsi nella comfort zone algoritmica, tra regole impersonali, automatismi burocratici e moralismi prefabbricati. È un uomo che non si limita a vivere in una prigione invisibile, ma che la difende, la giustifica e persino la desidera, giacché è stato educato a scambiare la sicurezza con la verità, l’ordine con la giustizia, la norma con il bene. Lungi dall’essere un modello civico, egli rappresenta l’epitome della decadenza: l’idiota integrale, servo volontario del nuovo Leviatano.

In questo fosco scenario ogni tensione verso la trascendenza, ogni slancio verso la libertà, ogni gesto disallineato si configura come “eresia” o “patologia”. La libertà stessa, un tempo idolatrata, viene ridefinita nei termini del consenso sorvegliato, dell’autodisciplina interiorizzata, della trasparenza obbligatoria. La società si trasforma in un immenso laboratorio psico-sociale in cui l’uomo è al tempo stesso cavia e tecnico, soggetto e oggetto, carnefice e vittima. Una tale condizione non è più totalitaria nel senso classico, ma iper-totalitaria, poiché non impone la dittatura con l’uso della forza, bensì la inocula silenziosamente nei recessi più intimi della psiche.

Contro questa deriva non serve un nuovo manifesto politico, né un’ennesima rivoluzione esterna. Ciò che è richiesto è un atto interiore di secessione simbolica, una disobbedienza dell’anima che, come insegnavano i grandi mistici e i filosofi autentici, preceda ogni mutamento storico visibile. È necessario tornare a una forma di ascesi civica, che non consiste nel ritiro dal mondo, bensì nel rigetto delle sue finzioni ipnotiche. Soltanto chi si sottragga alla logica binaria della delazione e dell’obbedienza, infatti, può riapprendere l’arte di vivere secondo giustizia, secondo verità, secondo dignità.

Ecco perché, oggi più che mai, l’autentico “bravo cittadino” non è colui che obbedisce pedissequamente alla legge, ma piuttosto colui che interroga la sua legittimità alla luce della coscienza. Non è colui che denuncia il prossimo, ma colui che difende la libertà altrui anche qualora non coincida con la propria. Non è colui che appartiene alla tribù, ma colui che si sottrae al richiamo del branco per restare fedele all’Essere.

In definitiva, potremmo dire con Etty Hillesum che “un piccolo frammento di eternità” resta comunque custodito in ogni coscienza che si oppone, in silenzio o in parola, alla macchina disumanizzante del potere. È a partire da quel frammento che potrà forse rinascere una nuova civiltà, non basata sulla prona obbedienza, ma sulla verità; non centrata sull’uniformità, ma sull’anima. Una civiltà non tribale né tecnologica, ma umana nel senso più elevato e più raro del termine.

Maurizio Blondet, [31/07/2025 08:27]
La libertà comincia là dove finisce la paura; e la cittadinanza autentica può nascere solo là dove comincia il pensiero critico.
https://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/italia/opinioni/24905-servi-del-nulla-il-declino-della-coscienza-nel-panopticon-globale.html

Maurizio Blondet, [31/07/2025 09:00]