Mamma di Bruno, ci dia almeno un recapito!

(MB – Ho ricevuto e giro. Io, personalmente, che mal sopporto croci piccolissime, anzi solo previste e per ora immaginarie, sono ammutolito davanti a questa Quaresima che dura da 31 anni dei genitori di Bruno. Questa croce schiacciante, questo calvario senza soste. Di questa eroica mamma non abbiamo un recapito, un indirizzo: chi lo conosce? Apra un conto Paypal… Almeno un aiuto per le traverse e i pannoloni possiamo forse organizzarlo)

[Forwarded from Claudia Unis]
Sono la mamma di Bruno Ciola, ragazzo affetto da una grave disabilità, causata da una gravissima asfissia neonatale.

Mio figlio ha31 anni. La sua vita è stata un susseguirsi di problematiche legate al suo stato di salute. Lui la vita non la vive, bensì la subisce. Subire significa che forse tutto quello che abbiamo fatto per lui, (se solo potesse esprimere un suo parere) non sarebbe stato di suo gradimento e approvazione.

Bruno non cammina, Bruno non parla, Bruno non può mangiare né bere, viene nutrito con una sonda gastrostomica detta Peg. Mio figlio trascorre le sue lunghe giornate tra letto e carrozzina. Se il tempo lo permette, ma soprattutto il suo stato di salute lo permette ci concediamo qualche passeggiata.

Questa è una breve sintesi di cosa significa essere disabile grave. Cosa significa per nostro figlio e per noi genitori che da trent’anni lo seguiamo con amore e attenzione.
La nostra vita non è più nostra,è un appendice della sua. Per noi non esistono ore di riposo, il nostro è un lavoro 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno.

Se dovessi dire che lui per noi è stato un dono sarei una grandissima bugiarda. La disabilità non è un dono, chi afferma questo forse non l’ha mai vissuta come l’abbiamo vissuta noi.

Noi ci siamo adattati a lui, abbiamo vissuto e viviamo momenti di autentica disperazione. Non siamo sereni, ci siamo semplicemente rassegnati. La rassegnazione è solo frustrazione per la vita che deve fare nostro figlio.

Quello che chiedo a chi si occupa di politiche sociali è sicuramente impossibile e non verrà neppure preso in considerazione.

Chi si occupa di questa materia dovrebbe passare anche una sola giornata e nottata con noi, forse in questo modo riuscirebbe a capire il significato della parola ormai tanto di moda “caregiver”.

Io sono un caregiver, non lavoro, perchè il mio lavoro è seguire mio figlio in tutti i suoi bisogni. Tutto ciò non è minimamente riconosciuto dal nostro Stato. Io sono solamente una manovalanza a costo zero.

Non avrò mai nessuna pensione, non mi posso e non mi devo ammalare altrimenti mio figlio ne risentirà a livello di assistenza. Non sono state create strutture ad hoc che possano ospitare in maniera sicura e dignitosa i nostri figli in caso di una nostra temporanea assenza. Non parlo di istituti, ma di piccole strutture che possano accogliere piccoli nuclei, tipo case famiglia, con personale ben formato. Questo sarebbe un passo importante per creare dei pilastri solidi per mettere in atto la legge del “Dopo di Noi”.
Dovrebbero uscire dai loro uffici, alzarsi dalle loro comode poltroncine e fare un bagno di umiltà in queste famiglie. Quando in una famiglia arriva un figlio disabile, non si deve curare solo il disabile. Tutta la famiglia avrebbe bisogno di essere presa in considerazione.

A me è successo esattamente il contrario. Siamo stati completamente abbandonati dalle istituzioni. L’isolamento è la peggior insidia che affligge la famiglia di un disabile. Se avevi degli amici spariscono, i parenti spariscono, se mai ci sono stati.

Se non vuoi impazzire e soccombere devi crearti una corazza che a volte viene scambiata per superbia. Non è cosi, siamo solamente dei poveri disperati che cercano non di vivere, ma di sopravvivere. Non dover elemosinare sempre tutto quello che ci spetta di diritto. Eliminazione o perlomeno riduzione dei costi per lo svuotamento di pannoloni e traverse. Servizi adatti ai nostri figli nel caso noi venissimo a mancare. Riconoscimento della figura del caregiver. Noi col nostro lavoro facciamo risparmiare dei bei soldoni all’amministrazione pubblica. Concludo. Più interesse per noi e i nostri figli, non solo in campagna elettorale.

CHIEDO MASSIMA CONDIVISIONE PER FARE ARRIVARE LA STORIA DI UNA CAREGIVER ALLE ISTITUZIONI