La Germania collassa – di tirchieria

Buongiorno dalla Germania, dove il sentiment tra i consumatori continua a peggiorare mentre l’inflazione persistentemente elevata spinge le persone a risparmiare e cancella le possibilità di una ripresa … L’indice GfK sulla fiducia dei consumatori tedeschi scende a -26,5 in ottobre da -25,6 in settembre. Un indicatore SOTTO ZERO segnala una contrazione su base annua dei consumi privati.

Il lato comico della comunicazione di questo giornalista economico tedesco va spiegato: i governi tedeschi hanno esaltato la tirchieria come forma sana di governo dell’economia. Nessun deficit mai, nessun “rosso” nei conti pubblici, debito pubblico sotto il 60 per cento. Hanno non solo applicato questa teoria economica al loro interno, ma l’hanno imposta agli altri paesi UE, capeggiando il gruppo dei “frugali” , domina la BCE e le impone l’austerità permanente , e mettendo sotto accusa permanente l’Italia spendacciona, col suo “immenso debito pubblico”. Ci ha costretti tutti a risparmiare la spesa pubblica, diminuire il deficit della Stato sotto il 3 per cento: col risultato di aver fatto arretrare la UE persino sul piano tecnologico e scientifico, avendo “risparmiato” persino nei laboratori di ricerca e sviluppo. Adesso dipendiamo dalla Cina…

Ebbene: adesso il giornalista economico ci racconta che i consumatori tedeschi, aderenti convinti alla ideologia della tirchieria pubblica e privata, che già spendevano meno quando stavano bene e l’inflazione era al 2%, spendono ancor meno adesso – adesso che invece dovrebbero spendere un pochino; e la loro sana tirchieria è dannosa e rende impossibile la ripresa dell’economia tedesca che è al collasso .

Ovviamente, alla tedesca, l’ideologia suicida non viene abbandonata; vi si aderisce fino alla disfatta completa.. adesso i media stanno cominciando a dire che la colpa del collasso UE è l’Italia spendacciona.

Eco un articolo di DWN:

Meloni’s Italia sta diventando una minaccia per il sistema finanziario europeo

27 settembre 2023 10:56

L’Italia, sotto la guida del Primo Ministro Giorgia Meloni, si sta dirigendo in gran parte inosservata verso una nuova crisi finanziaria. Le riforme che l’Italia deve attuare come parte di un gigantesco programma di aiuti dell’UE non vengono attuate. Allo stesso tempo, aumenta l’onere del servizio del debito. Il nervosismo sui mercati finanziari aumenta.

In uno studio per la DZ Bank, l’analista finanziaria Sophie Oertmann è recentemente giunta alla conclusione che l’Italia dovrebbe generare nei prossimi dieci anni un saldo primario annuo positivo pari all’1% del suo prodotto nazionale lordo per mantenere i costi di rifinanziamento del debito stabile. Lo Stato italiano ha un debito di circa 2.700 miliardi di euro. Si tratta del 146% del suo prodotto interno lordo, rendendolo uno dei paesi industrializzati più indebitati al mondo. Per fare un confronto: il livello del debito della Germania è solo circa la metà.

Il saldo primario descrive la differenza tra le entrate pubbliche meno i prestiti e le spese esclusi gli interessi sul debito pubblico. Per raggiungere un saldo così positivo, l’Italia avrebbe bisogno di un cambiamento radicale nella sua politica di bilancio, perché i saldi degli ultimi anni sono stati costantemente negativi, ma allo stesso tempo i rendimenti delle obbligazioni a sette anni sono saliti al 4,2%. Ma certamente appare discutibile se la Meloni voglia un cambio di rotta. Secondo fonti interne il governo italiano sta addirittura pianificando di espandere il deficit di bilancio, ovvero dall’originario 4,1 al 4,3% del prodotto nazionale lordo. In un recente commento, l’autorevole quotidiano italiano orientato al business “Corierre della Sera” ha scritto:

L’inerzia della Meloni

Valutazione condivisa da Andrea De Petris. Il capo dell’ufficio italiano del think tank Center for European Politics (CEP) ha dichiarato a German Business News (DWN) che la Meloni finora “ha fatto poco su questi temi”. Piuttosto, ha fatto ricorso a misure occasionali e a breve termine, come bonus per i redditi più bassi e un’imposta sugli utili bancari, senza affrontare i problemi strutturali. Tuttavia de Petris vede l’Italia di fronte a notevoli problemi strutturali per i quali, a suo avviso, non esistono soluzioni facili.

Non solo il paese è gravato da un tasso di disoccupazione relativamente elevato, pari al 7,6%, ma d’altro canto molti dipendenti si trovano in condizioni di lavoro precarie e instabili. Inoltre, secondo De Petris, le infrastrutture sono spesso fatiscenti. Tuttavia, gli investimenti urgentemente necessari aumenterebbero ulteriormente il debito nazionale già molto elevato.

L’Italia avrebbe la possibilità di modernizzare la propria economia in questo momento: l’UE è pronta a fornire all’Italia sovvenzioni e prestiti a basso costo per un importo di 200 miliardi. Il fondo è stato lanciato nel 2020 dal presidente francese Macron e dalla cancelliera tedesca Merkel con l’obiettivo di dare nuovo slancio ai paesi del sud colpiti dalla crisi. Questi aiuti sono però legati a condizioni amministrative e non sembra che il governo Meloni sarà in grado di attuare i piani di riforme e investimenti concordati con la Commissione Ue.

L’amministrazione italiana ha sempre avuto difficoltà ad accedere ai fondi disponibili da Bruxelles in modo formale, tempestivo e appropriato. I fondi di questo fondo saranno disponibili ancora fino alla fine di agosto 2026, ma dei 200 miliardi di euro l’Italia finora ne ha prelevati solo 67 miliardi. Ma non solo mancano i fondi inutilizzati per gli investimenti, peggio ancora: l’Italia ha già stanziato una parte dei soldi nel suo bilancio. Se i soldi finora iscritti nel bilancio non affluissero, ciò aggraverebbe ulteriormente la già difficile situazione di bilancio dell’Italia.

Miscela tossica

Nel suo ultimo rapporto, il Fondo monetario internazionale (FMI) giunge alla conclusione che l’Italia è minacciata di problemi anche altrove. Nel suo rapporto, il Fondo monetario internazionale afferma che l’Italia è ora al limite: un mix tossico di stagnazione fiscale, debole dinamismo economico e contrazione demografica sta mettendo l’economia italiana sotto costante pressione. Il numero delle persone che lavorano in Italia è in continua diminuzione, con il risultato che l’economia italiana produce sempre meno perché il calo della forza lavoro non è stato ancora compensato da un aumento della produttività. Allo stesso tempo, però, aumenteranno prevedibilmente le spese per pensioni e pensioni.

Ciò ha spinto l’importante agenzia di rating internazionale Moody’s a declassare l’affidabilità creditizia dell’Italia lo scorso anno, portandola al rating Baa3. Secondo le linee guida di Moody’s, un investimento con rating Baa3 lo descrive come un investimento medio-basso in termini di sicurezza. Sebbene un simile investimento sia ancora considerato relativamente sicuro, si possono prevedere problemi se l’economia generale si deteriora. Ciò significa che l’Italia è solo un gradino sopra il rating di un bond speculativo. Ciò è importante sotto due aspetti: se i titoli italiani venissero declassati di un ulteriore rating, i prestiti diventerebbero molto più costosi per l’Italia, e d’altro canto diventerebbe più difficile per il Paese nel suo complesso ottenere denaro fresco, perché gli statuti o le leggi di molte compagnie assicurative e fondi pensione vietano di investire in obbligazioni speculative. Un ulteriore ritiro di capitali avrebbe però conseguenze disastrose per l’Italia perché non ci sarebbero capitali per gli investimenti urgentemente necessari.

In effetti, se non una soluzione, sarebbe almeno possibile un notevole alleviamento del problema, ma ciò comporterebbe notevoli rischi politici per qualsiasi governo italiano. Secondo i calcoli dell’Università degli Studi di Milano, l’evasione fiscale in Italia ammontava nel 2019 al 21,3 per cento dei redditi dovuti allo Stato; In Francia è solo il 7,4%, in Spagna il 6,9% e in Germania l’8,8%. Insieme alle altre tasse, l’Italia perde circa 100 miliardi di euro ogni anno a causa dell’evasione fiscale. Si tratta di quasi il 6% della produzione economica del paese. Non è solo il morale fiscale a essere negativo, lo Stato ha anche mostrato poco interesse nel riscuotere le tasse. In Italia, circa 19 milioni di contribuenti sono in arretrato con i pagamenti – e alcuni lo sono da molti anni. L’Italia non ha mai affrontato seriamente il problema, anzi. Con i condoni fiscali ricorrenti, i debitori inadempienti erano condizionati a non pagare il debito fiscale in sospeso fino a quando lo Stato non avesse emesso un’amnistia. L’emissione di condoni fiscali ha una lunga tradizione in Italia e risale ai tempi dell’imperatore romano Adriano (dal 76 al 138 d.C.). Qualsiasi governo che voglia cambiare questa situazione dovrebbe superare una notevole resistenza interna. non pagare il debito fiscale pendente fino a quando lo Stato non avrà emesso un’amnistia.

Pericolo per il sistema finanziario

C’è poi un’altra particolarità strutturale: lo Stato italiano è fortemente indebitato, le famiglie private no e godono di un notevole benessere, anche grazie all’elevata quota di proprietà immobiliare. Ci sono sicuramente opzioni per lo Stato italiano, ma ciò richiede una forte volontà politica.

Ma se gli ultimi sviluppi in Italia non venissero presi con decisione, potrebbero mettere a repentaglio la stabilità dell’intera zona euro. L’Italia è la terza economia più grande dell’Eurozona e un grande mercato con circa 60 milioni di cittadini. Inoltre l’industria tedesca, come quella automobilistica, è strettamente legata a quella italiana. Ma una crisi in Italia rappresenterebbe anche una seria minaccia per il sistema finanziario europeo. Le banche tedesche e soprattutto francesi hanno grandi investimenti in Italia. Ma a seguito della crisi ci si aspetterebbe un’ondata di vendite di titoli di stato italiani e un calo dei prezzi. Non sarebbero colpite solo le banche italiane, ma anche gli istituti finanziari degli altri paesi dell’euro, poiché avrebbero dovuto svalutare le loro partecipazioni in titoli italiani. Le conseguenze per il sistema finanziario europeo sarebbero difficili da prevedere.