La differenza tra un Caravaggio e un’icona

(A conclusione di una conversazione con un amico)

E’ nozione comune che Raffaello, Michelangelo, Caravaggio hanno prodotto capolavori di pittura che – in quanto commissionata da Papi – è di soggetto religioso. Meno comune la nozione che davanti a quei capolavori, nessuno – né Papi né pie vecchiette – è indotto a pregare.

Cosa che invece accade davanti alle pitture del Beato Angelico, che era frate, e di Andrei Rubliev monaco e iconografo nato un Russia verso il 1360, che in confronto ai nostri sembrano – attenzione, solo sembrano – ingenui primitivi senza tecnica.

Perché l’arte sacra cattolica abbia abbandonato le icone (il Medio Evo ne è pieno) per Michelangelo e Caravaggio è spiegato così da Ortega y GAsset: a Roma, ogni volta che si scavava, uscivano fuori dalla terra straordinarie statue greche originali, o loro copie sopraffine (i Musei Vaticani ne pullulano), che spingevano i nostri grandi ad imitarle nei quadri e nelle sculture. Ora, l’arte greca è radicalmente nello stile chiamato “naturalismo”: le interessano l’anatomia maschile, la resa dei muscoli, delle vene rilevate su di essi; insomma è la lode del corpo, e del corpo fiorente e sano, pronto alla gara e alla guerra. Di rado traluce, in questi corpi orgogliosi, qualche spiritualità.

Agli occhi del russo Evgenij Trubeckoj, grande riscopritore delle icone, il naturalismo delle sculture e della pittura rinascimentale è “biologismo che assume la sazietà della carne a massimo e assoluto comandamento”, che è proprio ciò che l’icona rigetta. Dico “riscopritore” perché dal ‘600 gli iconografi russi, colti da complesso d’inferiorità di fronte all’arte rinascimentale, s’ingegnavano di imitarla – in ciò incoraggiati dalle autorità occidentalizzanti e illuministe. Stile “sconveniente” che non doveva stare nelle chiese, scrisse il celebre arciprete Avvakum di Kazan verso il 1680: “Dipingono l’immagine del Salvatore col volto gonfio, le labbra rosse, le mani e i muscoli grossi, e le gambe mostrano robuste anche ..[sembra] un soldato tedesco, gli manca solo la sciabola al fianco. L’ha tramato Nilkon, l Nemico, di dipingere dal reale.. gli isografi dipingono così, le autorità li favoriscono, e tutti avanzano verso l’abisso della perdizione, legati l’uno all’altro… i vecchi buoni isografi non dipingevano così le immagini dei santi: rappresentavano il viso, le mani e tutti i sensi affilati, i corpi macerati nei digiuni”.

Il possente Cristo di Michelangelo nella Cappella Sistina parve anche a Dostoiewskij “un soldato tedesco” a cui mancava solo la sciabola. Peggio. Tutti i rinascimentali, e più di tutti Caravaggio, compiono una discesa ulteriore verso la “perdizione” quando scadono dal naturalismo nel verismo: insomma danno al Cristo, alla Vergine e agli Apostoli un volto dipinto dal vero – fotografico – di un loro conoscente o modello ricorrente, un uomo qualunque, una prostituta nota. Ciò è, per la spiritualità ortodossa, vicino se non oltre all’oltraggio sacrilego.

“Non si devono dipingere prendendo a modello persone reali! Esclama Trubeckloj: “Per un cuore incirconciso e una carne soddisfatta di sé non c’è posto in questo tempio”, nella chiesa ortodossa dove i santi e gli angeli delle icone sono lì ad assistere, cantando gloria, al mysterium della Presenza Reale che si rinnova..

“L’icona non è un ritratto”, scandisce Trubeckoj, “ma un prototipo della futura umanità trasfigurata. E poiché ancora non vediamo fra la gente peccatrice di oggi, ma solo possiamo intravvedere siffatta umanità, l’icona può unicamente costituirne la raffigurazione simbolica”.

Ed esprime la “nausea acuta che provai alla vista dei Baccanali di Rubens all’Ermitage, cogliendone il senso pornografico, di volontaria eccitazione della lussuria in chi guarda: “La carne impinguata, traballante, che si delizia di se stessa, divora e immancabilmente uccide per ingrassare ancora …I baccanali sono la personificazione di quell’esistenza che l’icona respinge”.

Non è dunque che il pittore di icone non sappia dipingere in stile naturalistico-verista; non vuole. Dal resto, con che faccia dal vero ritrarre i tre uomini che sedettero all’ombra delle querce di Mamre e che Abramo ristorò, ed erano la Trinità?

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Trubeckoj, “guardandoli” vide ne loro alto silenzio “che esprimono le parole della preghiera pontificale di Cristo, nella quale il pensiero della Trinità si fonde al dolore degli uomini languenti sulla terra: “Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo…Padre santo, conservali nel Tuo nome affinché essi siano una cosa sola, come noi siamo uno” (Gv 17,11)