…Nei due semestri invernale ed estivo del 1835-1836, seguiti da Marx, come recita il Certificato di congedo dell’Università di Bonn, “con assiduità e attenzione”, ve ne sono quattro (su dieci: ricordiamo che si trattava di una facoltà di legge) dedicati alla letteratura e all’arte: “Mitologia greca e romana”, “Questioni su Omero”, “Storia dell’arte moderna”, “Elegie di Properzio”. Dante Preve.
Oggi:
L’Impero del Superfluo ed Il Tramonto dell’Europa Pensante; il Declino della Cultura Europea nell’Era dell’Iperconsumo Americano.
Parte Iª
Introduzione – Il contagio dolce dell’Impero
Vi fu un tempo in cui l’Europa reggeva la fiaccola della civiltà. Culla del pensiero critico, dell’arte, della musica colta, della letteratura, delle rivoluzioni scientifiche e sociali, il Vecchio Continente rappresentava il centro pulsante dell’elaborazione intellettuale e dell’umana misura. Poi, a poco a poco, un contagio gentile e seducente iniziò a propagarsi. Non giunse con la forza delle armi, ma con la suadente potenza dell’immagine, della merce, della promessa di felicità istantanea. Fu l’America, o meglio, fu il suo modello iperconsumista a insinuarsi tra le crepe di una cultura europea stanca, colta nella sua crisi di identità post-bellica. Oggi il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’antica civiltà dell’essere è divenuta civiltà dell’avere. Il pensiero ha ceduto il passo al packaging.
I. La cultura come bene di consumo
Nel passaggio dall’epoca classica alla società post-industriale, la parola “cultura” ha subito una mutazione genetica. Ciò che un tempo evocava il lento lavoro interiore dell’anima, oggi designa l’insieme di contenuti da vendere e consumare: prodotti editoriali, format televisivi, esperienze sensoriali a pagamento. La logica del marketing ha invaso l’ambito simbolico, sostituendo al pensiero critico lo storytelling, alla riflessione la narrazione emozionale, alla verità la performance.
La spettacolarizzazione della conoscenza, figlia dell’industria culturale americana, ha profondamente alterato il rapporto dell’individuo europeo con il sapere. Dallo studio al talk show, dal saggio al podcast, dall’insegnante al content creator, si è compiuto il grande salto dall’approfondimento alla velocità. Si può ora imparare tutto, e in dieci minuti. Purché non si pensi.
Ginevra
Parte IIª
II. L’estetica dell’eccesso
La sobrietà, una delle più nobili virtù della tradizione europea, è oggi derisa come anacronismo. L’estetica americana, fondata sull’esagerazione, ha colonizzato ogni settore: dalla moda all’architettura, dal cibo al corpo. La casa europea, pensata come rifugio dell’anima, è stata sostituita dal loft; il cibo come atto conviviale è stato soppiantato dalla bulimia del fast food; il corpo come tempio dell’equilibrio è divenuto teatro di gonfiamenti artificiali, palestrature compulsive, chirurgie da supermercato.
Tutto è diventato iper: ipermercato, iperconnesso, iperconfezionato. Il principio che guida il nuovo ethos è uno solo: se esiste una misura, essa va superata. L’uomo nuovo non conosce più l’equilibrio, ma solo l’accumulo.
III. Il tramonto dell’identità europea
La colonizzazione non è solo economica o militare. È soprattutto immaginaria. L’imperialismo americano ha agito sulle menti più che sui corpi. Ha esportato il proprio sogno, ed esso ha attecchito nei cuori disorientati dell’Europa postmoderna. Così, mentre l’educazione classica veniva abbandonata, le nuove generazioni iniziavano a considerare Firenze un set fotografico, e non più un luogo della memoria culturale.
Il Natale ha lasciato il posto a Halloween, la Settimana Santa al Black Friday. Le antiche sagre e i riti civili sono stati rimpiazzati da celebrazioni globali del consumo. Le scuole, un tempo templi del sapere, sono oggi laboratori di adattamento aziendale. E le università, sempre più, sembrano business school piuttosto che fucine di spirito critico.
IV. Le conseguenze psicologiche e sociali
L’esito di questa trasformazione non è solo antropologico, ma anche clinico. Le società europee, assuefatte all’immagine americana del successo, si trovano oggi smarrite. Aumentano i casi di depressione, di solitudine, di insoddisfazione cronica. Il consumatore ideale – connesso, performante, seduttivo – si rivela, nella realtà, un individuo fragile, irretito in una corsa infinita all’approvazione altrui.
Il consumismo, lungi dall’aver portato felicità, ha prodotto un deserto dell’anima. La promessa di libertà è divenuta schiavitù del desiderio. L’uomo non è più cittadino, ma target. La sua interiorità è ridotta a “profilo utente”.
Ginevra