Imperium e Katechon

(A cura del: Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis)

Il veloce precipitare degli odierni eventi “storici” che stanno coinvolgendo tanto la Chiesa Cattolica quanto la sfera politico-sociale mondiale, e di cui noi siamo testimoni come Christi fideles, risulta altresì proporzionato ad un palpabile senso di sempre più diffusa impotenza.

Le grida di smarrimento elevate tramite pubbliche denunce, petizioni, appelli, manifestazioni e quant’altro, si rivelano infatti insufficienti a fermare quella spirale di confusione che, come si paventa, si è innescata in maniera ormai irreversibile sia in ambito clericale che laico; a tal punto che la particolare gravità delle situazioni in atto è da più parti letta come sintomatica di un passaggio epocale dalle forti connotazioni escatologiche.

Se ciò non vuol significare la certezza della imminente Parousia – non è dato a noi, infatti, il poterne prevedere i tempi né tantomeno stabilirli[1] – si può tuttavia a ragione presumere che la presente contingenza “storica” stia costituendo, tanto per la fede cattolica nelle sue componenti laiche e clericali quanto per l’intera umanità stessa, una prova che in ogni caso influenzerà profondamente gli aspetti e le direzioni ontologiche che ne caratterizzeranno l’immediato futuro.

Fatta salva l’imponderabilità del Mistero messianico e dei tempi che ci separano dal pieno compimento del Regnum Christi sulla terra, sappiamo tuttavia che la nostra attesa non deve essere inoperosa, in quanto a noi è dato di poter perlomeno “affrettare la venuta del giorno di Dio”[2].

Regalitas ministra  Iustitiae

In siffatto frangente, la nostra convinzione rimane una volta di più che un ruolo determinante possa e debba essere svolto dal ripristino nella “storia” (come Sacrum Imperium) di quella funzione archetipica e “metastorica” della Regalitas, la quale oggi, purtroppo, non risulta più esser parte integrante dell’Ecclesia Christi. Tale esigenza risulta motivata dal semplice fatto che essa Regalitas, seppur secondo differenziati livelli ontologici, collabora effettivamente col Sacerdotium nel compito di condurre l’umanità alla salvezza.

Volendo meglio spiegarci, possiamo dire che in quanto l’ufficio della Regalitas è quello di amministrare la Iustitia, ebbene esso mira dunque a combattere la terrena cupiditas umana divenendo rimedio contro l’infirmitas peccati, per così permettere all’uomo di rinnovare e riconsolidare la propria “giustificazione” divina ricevuta col Battesimo.

Tutto ciò viene peraltro già chiaramente espresso dalla teologia paolina, secondo cui la divina Giustizia di Dio – della cui azione, come dicevamo appunto, la Regalitas ne è “inter-mediatrice” in ambito temporale[4] – non possiede un carattere statico bensì dinamico; l’effetto di questa azione si riversa sull’uomo, che viene in tal modo “giustificato”, rinnovato dall’agire di Dio[5]. E poiché la Iustitia è per S. Paolo concetto opposto al peccato[6], ecco che essere sottomesso alla Iustitia implica essere contestualmente libero dal peccato.

Per tutto il pensiero teologico-politico medievale (a partire dalla speculazione agostiniana del De Civitate Dei fino agli inizi del XIV sec.) l’Imperium ed il relativo esercizio della Iustitia (la quale deve propriamente intendersi quale la virtù che “attribuisce a ciascuno il suo”) non presumono altro che la possibilità di “condurre le cose al proprio fine”: il che, in merito all’uomo, in sintesi significa “ottenere la sua salvezza eterna”.

In altre parole, l’uomo viene reintrodotto nello stato di purezza edenica, ossia in uno stato ontologico che è appunto di equivalenza a quello posseduto nel Paradiso Terrestre: ed è proprio a questo stato che pare alludere il Signore allorché dice: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta[7].

Da parte sua, il suddetto recupero ontologico di quell’integrità e di quell’ordine primordiali un tempo persi per colpa del peccato originale, rimane propedeutico al raggiungimento escatologico della Gerusalemme Celeste, di cui è invece responsabile la funzione svolta dal Sacerdotium.

E’ bene ribadire che la Regalitas è archetipo divino che riconosce la propria identità di funzione nel Cristo Signore in quanto Rex et Sacerdos secondo l’Ordine di Melchisedec[8], nome che significa “Re di Giustizia”. Questi è peraltro altresì definito come “Re di Salem” ovvero “di Pace”, mostrando con ciò la propria piena e completa prerogativa regale, prima ancora che sacerdotale.

Il sommo Sacerdozio che Gesù esercita, è differente da quello della “sacerdotale” tribù di Levi, essendo Egli oltretutto effettivamente virgulto della “regale” tribù di Giuda[9]. In altre parole, il Sacerdotium cristiano raggiunge la propria perfezione, anche e soprattutto, nel fatto che Melchisedec è propriamente Re[10].

Tutto ciò per dire che in Cristo, ossia a livello principiale, il Sacerdotium, in quanto dignità propria di Colui che offre il sacrificium, coincide ontologicamente con la Regalitas, che è nella fattispecie la dignità di Colui che sta offrendo Sé stesso in oblazione sacrificale. La perfezione di tale “sacerdotale” sacrificium è ottenuta e garantita, dunque, per la santità e per l’innocenza senza macchia di Colui che lo è andato ad offrire: Cristo in quanto Rex. E ciò non può non mantenere la sua fondamentale incidenza.

Va ancora osservato che se da una parte in Eb 9,27-28[11] si sottolinea quanto l’efficacia del sacrificium del Signore comporti che il Suo ritorno, la Parousia, coincida col Giudizio Finale, d’altra parte, in Ap 19,11-16, ci viene confermato che tale Sua seconda venuta avverrà nell’aspetto e funzione di «Re dei Re […] giudicando e combattendo con giustizia». La Regalitas di Cristo, Signore e Giudice, rimane pertanto intimamente pregna di una valenza escatologica che la rende una funzione che non ha ancora, per così dire, esaurito definitivamente il proprio esercizio; e ciò differentemente dal Suo Sacerdotium, il quale risulta invece già espletato una volta per sempre in virtù del carattere eterno del Suo sacrificium[12]; tant’è che nella Celeste Gerusalemme, come è scritto, non vi sarà più bisogno di “alcun Tempio[13].

E’ dunque un fatto, in definitiva, che sia proprio la funzione archetipica e metastorica della Regalitas, che storicamente si è incarnata nel Sacrum Romanum Imperium, a rivestire una particolarissima significatività all’interno del mistero escatologico. Ed è in tutto tale contesto, allora, che viene senz’altro ad inserirsi anche la figura del Katechon.

Il Figlio di Perdizione

Riprendendo il passo paolino di 2Ts 2,3-7, notoriamente caposaldo di tutte le argomentazioni escatologiche, leggiamo: «Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia (ἀποστασία) e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione (τῆς ἀπωλείας), colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce (τὸ κατέχον) la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità (τῆς ἀνομίας) è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo (ἐκ μέσου) chi finora lo trattiene (ὁ κατέχων)».

Nel corso del tempo, innumerevoli e varie sono state le proposte esegetiche volte ad interpretare tale enigmatico passo, nonché a comprendere, in special modo, a chi e a che cosa debba venir riferito quel termine Katechon. Tuttavia, tra di esse, spesso ci si dimentica che la spiegazione tradizionalmente più accolta da tutti i Padri, Latini e Greci, è stata certamente quella secondo cui τὸ κατέχον indica una forza, un potere: l’ “Impero Romano”; la qual cosa si concretizza allo stesso tempo in una persona: ὁ κατέχων, l’“Imperatore”.

Mentre S. Leone Magno[14] e S. Tommaso[15] proclamavano la “sacralità” di Roma, da parte loro Tertulliano[16], Giovanni Crisostomo[17], Giovanni Damasceno[18], Lattanzio[19], S. Cirillo Gerosolomitano[20], S. Girolamo[21], S. Ambrogio[22], S. Agostino[23], S. Beda il Venerabile[24] (e molti altri) tutti concordavano nell’indicare l’Impero Romano come “ciò che impedisce, trattiene, frena, contiene, regge” il manifestarsi dell’anticristo. Ebbene, alla luce di ciò, rimane allora indubitabile come sia il Sacrum Romanum Imperium a dover essere riconosciuto quale Katechon nella sua più propria identità ontologica, avendo esso raccolto, appunto, la sostanziale eredità dell’antico Imperium  latino, dopo averlo cristianizzato.

Oltre a ciò, il fatto che tale funzione risulti di effettiva quanto esclusiva pertinenza della Potestas Regale lo attesta chiaramente la natura di ciò a cui essa funzione si oppone: intendiamo quel “mistero di iniquità” a cui si allude nel passo succitato della Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Il testo greco rende infatti il significato di “iniquità” con ανομια, come abbiamo già visto; ma pure con αδικια, come compare in un successivo versetto del medesimo capitolo[25]. Orbene, se il primo termine (anomia) traduce letteralmente “senza legge”, il secondo (adikia) significa “senza giustizia, senza equità”.

L’iniquitas di cui in questione, la “mancanza di equità”, si costituisce pertanto come l’esatta inversione dell’Imperium, la cui peculiare prerogativa è appunto quella di emanare la Lex ed amministrare l’equità della Iustitia. La funzione Regale, in analogia con la sapienziale funzione ordinatrice del Creatore, è in definitiva quanto concorre al mantenimento dell’ordinata ed equilibrata (equa) disposizione del Mondo. Il suo venir meno al proprio ruolo di “medianità equale” tra il temporale e lo spirituale dell’uomo (laddove il Sacerdotium media tra la parte spirituale dell’uomo e Dio), il suo esser “tolto dal mezzo”, l’esser “allontanato” (apostasìa) dalla propria posizione “mediatrice” quale re-medium contro l’infirmitas peccati[26], tutto questo è ciò che causa la venuta del “figlio della perdizione”: l’anticristo. Questi è “figlio” proprio in quanto conseguenza dell’“abolizione” dell’Impero (infatti, il termine che traduce ‘perdizione’, ἀπωλεία, deriva dal verbo ἀπόλλῦμι, che non a caso è a sua volta in relazione con il lat. aboleo, “abolire”); esso è quindi l’esito della distruzione e della perdita dell’ordinamento: il che è a sua volta causa di rovina, in quanto caduta al di fuori da quel rectum stabilito dal Celeste Rex (lett.: “colui il cui compito è regere”) e che deve poi essere amministrato dal Rex terreno.

In definitiva, l’apostasìa (dal verbo gr. ἀφίστημι, “allontanare, disgiungere, rimuovere, far sparire”) che si dice debba di necessità precedere la venuta dell’anticristo, significa per l’appunto l’“allontanamento”, la sparizione dell’Imperium dalla sua funzione di Katechon.

Alcune riflessioni finali.

Nell’imminenza di una “svolta” escatologica, a cui la presente contingenza storica sembrerebbe condurci, accogliamo con favore e soddisfazione la recente rinnovata attenzione operata da più parti attorno alla figura del Katechon: attenzione che appare indubbiamente quanto mai attuale e necessaria.

Tuttavia, soprattutto alla luce di quanto sopra delineato, andrebbero fatte altresì alcune precisazioni. Assodato che la funzione “katechetica” rimane di pertinenza della componente “temporale” dell’Ecclesia, allo stato attuale non pare esserci alcuna realtà politico-sociale che possa assolvere a tale ruolo svolgendo le veci della Regalitas Imperiale; e ciò fondamentalmente per due ragioni che attengono rispettivamente al “chi” ed al “che cosa”.

La prima è che la persona atta a svolgere tale funzione non può che essere un “consacrato”, un individuo cioè che abbia ricevuto dal Sacerdotium quel riconoscimento sacramentale che avalli il possesso da parte sua del carisma regale[27].

La seconda è che l’Istituto deputato a svolgere la suddetta funzione “temporale” non può venir confuso con una qualunque semplice Monarchia; né tantomeno con una qualunque altra forma di governo tra quelle oggi attuate, stante l’abiura dello ius naturale da esse perpetrata, il che le rende in verità ontologicamente illegittime.

L’Imperium, almeno fino al momento storico in cui esso ha mantenuto sino in fondo la purezza del proprio status ontologico, si è difatti sempre distinto per rappresentare un “potere sovranazionale”. La sua essenza gerarchica, dottrinalmente delineata in maniera tale che l’Imperatore si pone sulla terra secondo un’analogica immagine di quel che Dio è per l’Universo, si riferisce insomma alla reductio multitudinis ad unitatem, ad un’unità “universale” che trascende, senza pur tuttavia annullare, la pluralità.

Proprio alla luce dell’odierna totale disgregazione in atto tanto in ambito politico-sociale quanto ecclesiale, risulta opportuno ricordare che tale concezione “unitaria, sintetica e universale”, propria della Regalitas Imperiale, prima ancora di costituire un’aspirazione materiale e storica si presenta piuttosto quale un metastorico Principio d’Ordine, rivestito di una natura e di una necessità spirituali. Essa è difatti l’unico Istituto a poter contrastare il ribaltamento e la sovversione che si intende operare allorché si tenta di “contraffare” l’Universalità col globalismo, che è come dire la qualità con la quantità; operazione, questa, che è sintomatica del tentativo di instaurazione del “nuovo ordine mondiale”.

La renovatio Imperii è dunque un obiettivo che andrebbe perseguito, “a prescindere” dalla sua, apparentemente improbabile, imminente realistica attuabilità.

L’individuo non può incidere sui Principi “metastorici” influenzandone la manifestazione storica, ma può comunque liberamente scegliere se “storicamente” aderirvi o meno: nella fattispecie, egli può aderire o meno alla realtà del Katechon.

Così facendo, se certamente egli non allontanerà l’anticristo, la cui venuta nel tempo storico rimane escatologicamente inevitabile, nondimeno “affretterà” la venuta del Tempo metastorico del Regno di Cristo ed il compimento della Giustizia. E testimoniando in tal modo la propria “purezza”, il proprio essere “giusto” e “conforme”, egli sarà “giustificato”: ossia “pronto” per essere “ricapitolato nel Cristo Giudice”.

Ai Christi fideles spetta oggi dunque il dovere di porsi dalla parte del Katechon, rendendosi disponibili a conformarsi con la provvidenzialità metastorica. Viceversa, se decidessero di rinunciarvi, sceglierebbero di sottostare fatalisticamente al corso della storia e dell’anticristo, ponendosi nella schiera di coloro i quali saranno condannati perché «…non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità (αδικια)» (2 Ts, 2,12).

O SS. Vergine Maria, rinunciamo a noi stessi per donarci a Te, nostra cara Madre”

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Il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis (Sodalizio Cavalleresco di Maria Soccorso dei Bisognosi), che ha curato quest’articolo, è una Fratrìa costituita da Cavalieri investiti sacramentalmente secondo il rituale contenuto nel Pontificale Romano di S.S. Papa Pio V, tramite investitura originale compiuta da un Vescovo della S. Chiesa Cattolica. Scopo del Sodalizio è quello di “combattere la buona battaglia” in maniera esemplare, a difesa della S. Chiesa Cattolica, della Sua Santa Fede e di tutti i bisognosi ed oppressi, per mezzo delle caritatevoli armi della preghiera, dell’azione e della cultura di Verità.

Essendo la Cavalleria, come via di milizia, strettamente legata alla funzione Regale, uno dei propositi di tale Sodalizio – a livello di battaglia culturale – è propriamente quello di conservare, custodire e, nella misura del possibile, trasmettere la conoscenza dell’importanza della Regalità Sacra in un mondo cattolico che purtroppo l’ha evidentemente smarrita. A tal proposito, ci sia concesso di annunciare la pubblicazione, entro l’inizio del prossimo anno, di un nostro libro contenente una serie di saggi, appunto, sull’argomento della Regalitas.

Per informazioni: www.reginaequitum.it

Per comunicazioni:   reginaequitum@gmail.com

[1] Cfr. At 1,7.

[2] Cfr. 2 Pt 3,11-12.

[3] Cfr. “La perdita della Regalità”, in https://www.maurizioblondet.it/la-perdita-della-regalita-come-causa-della-mondanizzazione-del-corpo-ecclesiale/ (23.08.20);

La Chiesa vedova”, in https://www.marcotosatti.com/2020/09/02/la-chiesa-vedova-perdita-di-regalita-clero-mondanizzato/ (02.09.20);

idem in https://www.ilpensierocattolico.it/index.php?/entry/321-la-chiesa-%E2%80%9Cvedova%E2%80%9D-la-perdita-della-regalitas-come-causa-della-mondanizzazione-del-corpo-ecclesiale/ (28.09.20).

[4]  «Chi si oppone all’Autorità resiste all’ordine stabilito da Dio…Essa è infatti ministra di Dio per il tuo bene…non per nulla essa porta la spada: è infatti ministra di Dio, esecutrice di giustizia contro chi fa il male» (Rm 13,2.4).

[5] «…per manifestare la Sua Giustizia nel tempo presente, in modo da mostrarsi Giusto Lui, e giustificare chi ha fede in Gesù» (Rm 3,26).

[6] «Quale relazione può esserci tra la Giustizia e l’iniquità?» (2Cor 6,14).

[7] Mt 6,33.

[8] Cfr. Sal CIX,4; Eb 7,1-3; Gen 14,18-20.

[9] Cfr. Eb 7,11-28.

[10] Non è privo della sua significatività che il Signore Gesù, al momento della propria epiphaneia, riceva l’omaggio di quei Magi che la Tradizione, non a caso, ricordi come anch’essi Re.

[11] «E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola e dopo la morte venga il Giudizio, così pure Cristo si è immolato una volta sola per togliere i peccati di molti, e comparirà una seconda volta, senza peccato, per quelli che l’aspettano, per dar loro la salvezza» (Eb 9,27-28).

[12] Cfr. Eb 9,24-28; 10,11-14.

[13] Cfr. Ap 21,22.

[14] S. LEONE MAGNO, Sermo I in natali Apostolorum.

[15] S. TOMMASO, In 2.am ad Thessalonicenses, c. II, lect. 1.

[16] TERTULLIANO, Apologeticum, XXXII, 1.

[17] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia IV in II ad Thessalonicenses, coll. 485-486.

[18] S. GIOVANNI DAMASCENO, La seconda ai Tessalonicesi, col. 923.

[19] LATTANZIO, Divinae institutiones, XXV, coll. 812-813.

[20] S. CIRILLO GEROSOLOMITANO, Katechesis  XV, 12.

[21] S.GIROLAMO, Ad Algasia, 11.

[22] S. AMBROGIO, In Epistolam Beati Pauli ad Thessalonicenses secundam.

[23] S. AGOSTINO, De Civitate Dei, XX, 19, 3.

[24] S. BEDA IL VENERABILE, Expositio ad Thessalonicenses II.

[25] E’ significativo che, nel versetto qui menzionato, l’“iniquità” intesa come “mancanza di giustizia” venga posta in relazione con la mancanza di “verità”: «…e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità» (2Ts 2,12).

[26] E’ sintomatica l’ambivalenza del termine remedium, in cui compare sia il riferimento al verbo medeor, “medicare, sanare”, che all’aggettivo medium, che indica “ciò che sta in mezzo, al centro”.

[27] Abbiamo già in più occasioni ribadito, ma è bene ricordarlo, che la dignità regale è munus direttamente elargito da Dio, come affermato in diversi luoghi della Scrittura: cfr. Rm 13,1; Prov 8,15; Sap 6,1-3; Zc 4,1-14. Non è dunque competenza del Sacerdotium trasmetterla, perché tale dignità non gli appartiene. E’ necessario però che la Regalitas venga riconosciuta, avallata, legittimata, consacrata dal Sacerdotium.