“Il reazionario autentico non è un sognatore nostalgico di passati aboliti, ma un cacciatore di ombre sacre sulle colline eterne.”
Nicolás Goméz Dávila
IL VERO SIGNIFICATO DEL MOTTO SCELTO DA LEONE XIV
Carl Schmitt – che in “Aurora Boreale” e in altre opere affrontò il tema escatologico in apparenza (ma solo in apparenza) alieno dall’orizzonte dei giuristi – ha rintracciato nell’intero svolgersi della storia del pensiero filosofico-giuridico-politico (ad esempio nello stoicismo, nell’illuminismo, nel positivismo, nel normativismo) la centralità della riflessione sulla unificazione del mondo mediante “l’organizzazione unitaria del potere umano con l’obiettivo di pianificare, dirigere e dominare la terra e tutta l’umanità” (Cfr. Carl Schmitt “L’unità del mondo”).
In tale obiettivo di unificazione mondiale egli, da cattolico non dimentico della Tradizione, scorge la manifestazione, o le ripetute manifestazioni, del “mysterium iniquitatis”. Penso che il motto scelto da Papa Leone XIV, qui sotto spiegato da fonte autorevole, illumina l’intuizione schmittiana nel punto in cui viene evidenziato che qualsiasi trasposizione dell’Unità/Universalità dal piano trascendente a quello immanente è un programma, intriso di luciferinismo, inteso a imitare, in una forma di parodia ingannevole, l’Uno trascendente nell’immanenza, la quale invece è di per sé naturalmente pluralista e molteplice.
Nella Tradizione il rapporto Unità/molteplicità si dà unicamente quale rapporto tra Trascendenza e immanenza, Dio e creazione. È illegittimo ogni tentativo di riduzione della molteplicità della creazione all’unità orizzontale che altro non potrebbe essere che omologazione artificiale e distruttiva del pluralismo delle identità, delle culture, dei popoli. Opera, invero, di “colui che si oppone” ossia che si pone contro – anticristicamente – il Disegno d’Amore di Dio. Luigi Copertino
DA “L’ANGOLO DEL GIUSNATURALISTA”: IL SIGNIFICATO AUTENTICO (NON DEI MEDIA) DEL MOTTO DI PAPA LEONE XIV
Il motto scelto da Papa Leone XIV, eletto in data 08 maggio 2025, “In illo uno unum”, non si comprende adeguatamente se non alla luce della grande metafisica cristiana di ispirazione agostiniana. La fonte è il commento di sant’Agostino di Ippona al Salmo 126 (127 secondo la numerazione ebraica), dove si legge: “Multi enim sunt, et unum sunt: non in se ipsis, sed in illo uno sunt unum”.
L’unità, dice Agostino, non è posseduta dai molti in virtù di sé, ma solo nella misura in cui essi partecipano a quell’Uno in sé semplice e indiviso, che è Dio stesso. In altri termini, ciò che è molteplice non può darsi come uno se non per elevazione e radicamento in una fonte superiore dell’essere, che rende possibile la comunione senza dissolvere le distinzioni. In questa prospettiva, il motto papale non ha nulla a che fare con vaghi auspici di pace o con una retorica dell’inclusione, come taluni commentatori si sono affrettati a suggerire. Esso è, invece, l’affermazione di un principio metafisico e teologico: l’unità autentica, nella Chiesa, nell’uomo, nel mondo, è possibile solo a partire da Colui che è Uno per essenza, non per somma di parti. Cristo, Verbo incarnato, è l’Uno nel quale i molti possono essere uno, poiché in Lui la molteplicità dell’umanità è assunta e redenta nell’unica Persona divina. L’unità ecclesiale, dunque, non è il risultato di compromessi tra visioni o sensibilità diverse, bensí è la conseguenza ontologica della partecipazione al Cristo totale, Capo e Corpo, fondamento e fine.
La modernità, segnata da una tensione continua tra individualismo e collettivismo, ha perduto la nozione di unità come partecipazione all’essere. Si crede, oggi, che l’unità si costruisca mediante contrattazione, consenso, uniformità esteriore. Leone XIV, con la sobrietà ieratica del suo motto, richiama, invece, alla verità profonda: che la Chiesa non è un’istituzione umana da tenere insieme per via organizzativa o dialogica, ma un mistero ontologico, generato e mantenuto da Dio. “In illo uno unum” significa, allora, non solo “in Cristo uno”, ma anche: fuori da Lui c’é il disgregarsi inevitabile. Perché ciò che non si radica nell’essere, si consuma nel divenire. Agostino, che parla dalla profondità della sua riflessione sull’essere e sull’amore, offre la chiave di lettura decisiva: voler essere uno “in se ipsis”, dice, significa cadere nella dispersione. In altre parole, voler essere uno senza l’Uno significa perdere sia l’unità, sia se stessi.