Navigare in rete produce inquietudine. Interessati a conoscere qualche rudimento di fisica quantistica, ci siamo imbattuti nelle ricerche di scienziati convinti che passato, presente e futuro non sono entità separate e assolute, ma parti di un'unica struttura, lo spazio-tempo.
Senza comprendere il ragionamento controintuitivo della fisica non newtoniana, carichi di dubbi ci siamo rifugiati in territori più rassicuranti. Una ricerca di tutt’altra natura ci ha convinti che buona parte della cultura contemporanea sia in realtà ignoranza specializzata. Nel senso che tende a non conoscere affatto tutto ciò che eccede l’ambito ristretto che studia. Due economisti della Norwegian School of Economics hanno condotto una ricerca tesa a spiegare alcuni comportamenti umani. La sinossi – oggi si chiama abstract -così recita: "La nostra ricerca rivela che le persone sono disposte a imbrogliare se ciò apporta un vantaggio al loro gruppo, anche quando non ne traggono alcun vantaggio personale. La conclusione fondamentale è che il rischio di disonestà nelle organizzazioni non si limita agli atti egoistici dei singoli individui. Esiste un potenziale rischio nascosto nella disonestà a beneficio degli altri, in cui le persone possono infrangere le norme per avvantaggiare la loro equipe o i membri del gruppo".
Ci stupiamo dello stupore e della sussiegoso tono oracolare dei ricercatori dinanzi a un’ovvietà nota a chiunque abbia esperienza di vita e un minimo di studi. Le istituzioni accademiche spendono denaro e intelligenza (??) per spiegare comportamenti conosciuti da sempre dalla cultura classica. Scriveva Euripide, gigante della tragedia greca, ne Le Fenicie: "Devo aiutare i miei amici e odiare i miei nemici: questa è la legge per tutti gli abitanti della terra". Il verso più citato dell’opera è “ se è necessario agire ingiustamente, la cosa migliore è farlo per il potere”. Le scienze tristi del presente, il loro angusto concentrarsi sull’analisi dei dettagli e non sull’insieme delle condotte e dei moventi umani, dimostrano clamorosa chiusura culturale, celebrando come scoperta di arcani meccanismi psicologici ciò che la tragedia greca- immenso laboratorio di miti fondanti che esplorano i grandi temi esistenziali- aveva chiarito venticinque secoli or sono.
La conseguenza è il sistematico oblio della tradizione culturale che trasforma l'ovvio in
novità e lo spreco intellettuale in virtù scientifica. La tragedia greca aveva già mostrato, con
maggiore profondità e verità, quella che ai sapientoni odierni sembra una scoperta inedita.
Però bisogna conoscerla. Ignorare ciò che è accaduto prima che nascessimo significa
rimanere bambini per sempre, afferma Cicerone nel De Oratore. L’intera cultura della
cancellazione è servita. Naturalmente, anche trascurare le scoperte scientifiche rende
ignoranti, come chi scrive dinanzi alle apparenti incongruenze della fisica. Ecco perché,
quando si tratta di comportamento della creatura umana, dovremmo ascoltare solo
scienziati umanisti o umanisti illuminati. Perché accettiamo, sull’altare del presente e della
mitologia del progresso, lo spreco di ignorare la ricchezza di millenni in cui l'umanità, con
gli strumenti della filosofia e dell'arte, ha riflettuto su se stessa? Quanto sarebbero più
sapienti i cosiddetti scienziati se, prima di praticare la loro materia d’elezione,
conoscessero la tragedia greca, il grande teatro da Shakespeare a Lope de Vega e Schiller,
Corneille, e poi Aristotele, i filosofi, giganti come Dante, Cervantes, Dostoevskij, Goethe ?
Alasdair MacIntyre ammoniva in Dopo la virtù che senza il patrimonio culturale
accumulato, tutto ciò che rimane è un groviglio di frammenti morali sconnessi. La forza del
nichilismo deriva anche da questo caos senza radici , unica eredità della postmodernità
scientista. E’ esattamente ciò che stiamo vivendo: una società che, nel suo tentativo di
cancellare il passato, si ritrova disorientata, ovvero senza direzione. Lo conferma un testo
del politologo americano Robert Putnam , Bowling Alone, in italiano Capitale sociale e
individualismo. Al centro dell'analisi, quella formidabile risorsa coesiva che è il capitale
sociale, di cui sono parte essenziale, con la cultura “alta”, le pratiche comunitarie ereditate.
Più esse si erodono più diventiamo isolati ed inclini alla sofferenza psicologica. Ciò che si
perde non sono solo la comunità e la prossimità, ma il tessuto connettivo, le ancore di
significato, la capacità di credere in ciò che siamo, sostegno dell’ orgoglio di appartenenza
che permette di avere fiducia nel futuro. Il costo del disprezzo per la tradizione è
un'atomizzazione ansiogena e depressiva; chiunque voglia comprendere la crisi della salute
psicologica e l’eclissi della conoscenza deve prenderne atto. Rispetto a tutto ciò, lo sforzo
inutile degli scienziati sociali norvegesi , degli scientisti e dei tecnofili che scoprono l’acqua
calda sembra quasi ingenuo.
Il problema non è solo ciò che accade nel mondo accademico, quanto piuttosto la
negazione programmatica (un risibile suprematismo del presente) del corpus di
conoscenze esistente, stratificato, che crea più problemi di quanti ne risolva. Da un punto
di vista puramente intellettuale, l'idea di ripartire da zero somiglia a una boutade, una
battuta scherzosa; ma chi lo fa esercita potere e spesso è consulente privilegiato del potere.
Siamo nelle mani di queste persone e di responsabili politici che non sanno quasi nulla. Il
livello delle classi dirigenti è ormai clamorosamente basso: chi avrebbe mai pensato di
affidare delicatissimi ruoli internazionali a personaggi come Kaja Kallas, l’amazzone
guerrafondaia estone? Il filologo classico Werner Jaeger scrisse che "la cultura non
consiste in ciò che viene aggiunto all'essere umano dall'esterno, ma in ciò che risveglia in
lui le qualità più elevate e nobili". La tradizione, in questo senso, non è né un peso né una
reliquia, ma il risveglio al reale e allo straordinario.
Viviamo in un'epoca che confonde la tradizione con la superstizione, il passato con un
cadavere e l'eredità con un peso. Ne approfittano gli ignoranti e gli opportunisti. La storia è
una bufala, dice Mustapha Mond, uno dei Controllori del Mondo nel romanzo distopico Il
mondo nuovo di Aldous Huxley. Quella sciocchezza è diventata senso comune. Anche il
cinema ha talvolta intuito l'importanza di costruire il futuro sulle fondamenta di ciò che si
conosce. In Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore , la vita e la cultura di un
affermato regista cinematografico non raggiunge la pienezza finché non riconcilia il
presente con il cinemino fatiscente di paese in cui si è formato. La bobina di scene
censurate che il proiezionista Alfredo- l’ amico adulto, mentore della sua infanzia – gli
lascia in eredità è molto più di un cimelio impolverato: è un legato interiore. Ciò che si è
stati diventa il trampolino per ciò che si può diventare.
Nessuna tecnologia renderà l’ Intelligenza Artificiale un successo in termini culturali:
dovremo continuare a frequentare il passato. Lo stesso capita nella musica; nell’album
Time Out of Mind Bob Dylan confessò di aver cercato di sfuggire al proprio passato,
sapendo che è impossibile. L’ unica opzione seria è riconciliarsi con il vissuto personale e
collettivo. Una lezione per il culto acritico del progresso fondato su una superiorità
indimostrata. Il progresso è una bandiera brandita spesso da miserabili, Non esiste
alternativa ragionevole ad avanzare mantenendo ciò che è stato acquisito. L'amore per il
passato non ha nulla a che fare con un orientamento politico reazionario, afferma Simone
Weil . Secondo il suo amico Gustave Thibon, il filosofo contadino, il vero tradizionalista sa
bene che la tradizione non esclude la libertà creativa: la nutre di tutta l'esperienza del
passato e dell'eterno e la guida verso la perfezione. La tradizione deve essere vagliata,
depurata, esaminata con sguardo critico. Ma da quando la Stella Polare imprigiona i
viaggiatori? (G.Thibon). Rifiutare il passato in blocco è infantile e irresponsabile; è pensare
di poter nascere ogni giorno senza debiti o eredità come monadi alla deriva. Non c'è nulla
di più ingenuo e pericoloso di questa pretesa di tabula rasa: quando il passato viene
spazzato via, ciò che emerge non è un mondo felice, ma la tossica ripetizione di errori
mascherati da novità.
Chiedersi se il passato abbia un futuro non è un esercizio retorico; è un imperativo di
civiltà. È la domanda che decide se saremo eredi o orfani. Il passato ci nobilita se lo
trattiamo come un fiume che va lasciato scorrere incontaminato affinché possa sostenerci
verso il futuro. Ancora Simone Weil "Sarebbe inutile voltare le spalle al passato e pensare
solo al futuro. Credere che questo sia anche solo una possibilità costruisce un'illusione
pericolosa. L'opposizione tra futuro e passato è assurda. Il futuro non ci offre nulla, non ci
dà nulla; siamo noi che, per costruirlo, dobbiamo dargli tutto, dargli la nostra stessa vita.
Ma per dare, bisogna possedere, e non abbiamo altra vita, altra linfa vitale, se non i tesori
ereditati dal passato, e da noi digeriti, assimilati e ricreati. Di tutti i bisogni dell'anima
umana, nessuno è più vitale del passato".