I “volonterosi” nel panico

La foto ricordo dell’Europa a Downing Street non è stata un gesto di unità. È stato panico. Merz, Macron e Starmer non si sono precipitati a Londra senza forze. Si sono precipitati perché Washington, in silenzio e senza mezzi termini, sta negoziando una conclusione con Mosca senza di loro. La guerra che hanno trasformato in una crociata morale empia è ora una merce di scambio sul tavolo di qualcun altro.
Così Merz, con il coraggio di un topo, squittisce di essere “scettico” sul piano statunitense. Macron afferma che l’Europa ha “le carte in mano” (con aria seria). Starmer chiede un “cessate il fuoco giusto e duraturo”.
Traduzione: una pace parzialmente plasmata a Washington li terrorizza più di una guerra che crolla in Ucraina. Perché una pace che non controllano è un’ammissione di non aver mai controllato la guerra e che ne subiranno l’umiliazione.
E il tempismo non è casuale. L’Ucraina si troverà ad affrontare un buco di bilancio di 71,7 miliardi di € l’anno prossimo, un buco che i leader europei non possono colmare e Washington non vuole. I discorsi sono a buon mercato. La guerra no. Si percepiva quell’aritmetica aleggiare sul tappeto rosso.
Il meglio che l’UE e Londra possono escogitare è completare il patto suicida facendo saltare in aria i resti dell’ordine finanziario del dopoguerra. Quindi sì, Macron ha ragione, hanno delle carte da giocare, delle pessime carte da giocare.
Il piano di Trump è rozzo, transazionale, egoistico, ma fa una cosa che l’Europa non ha mai osato ammettere: ammettere che la Russia ha vinto, e nessuna poesia morale europea cambia la mappa. Trump negozia partendo dalla realtà, seppur rozzamente, ma non dalle allucinazioni di Bruxelles. Ed è per questo che l’UE lo teme: lui strappa via le illusioni su cui ha costruito la propria reputazione, le illusioni che permettono all’Europa di fingere di dirigere la storia invece di esserne trascinata. La menzogna venduta agli europei per farli divorare l’austerità e ipotecare il loro futuro, mentre l’élite europea si rimpinzava con i suoi burattini oligarchici del cadavere dell’Ucraina. Anche Zelensky lo sa. Le sue citazioni sono il campanello d’allarme più forte finora: “nessuna visione unitaria… questioni delicate… cose che non possiamo gestire senza gli americani”. Non è un linguaggio diplomatico.
È il linguaggio di un uomo intrappolato tra committenti che non sono più allineati, una marionetta che si trova a dover gestire due strategie di uscita divergenti. Nel frattempo, l’Europa parla di “destino” e “sicurezza collettiva”, mentre brama il modo di saccheggiare i beni russi congelati solo per mantenere la guerra in vita. Non per vincere, ma solo per ritardare la resa dei conti. Un piano di pace che riconosca la realtà del campo di battaglia li minaccia più di un’escalation, perché smaschera ogni mito che hanno venduto al loro popolo.
Questa è la vera divisione attuale: Washington sta cercando, seppur goffamente, di chiudere una guerra che sa di essere persa da tempo. L’Europa sta cercando di prolungare una guerra che non può permettersi di perdere, ma che ha perso e che è terrorizzata dalle strade europee.
Londra voleva una dimostrazione di unità. Invece, ha rivelato una linea di faglia, di quelle che si manifestano appena prima che la plebe assalti i cancelli del palazzo e chieda conto del tradimento dell’Europa. La storia non ricorderà questo momento come un momento di risolutezza.
Ricorderà un’Europa alle strette, aggrappata alla sua retorica come a uno scudo, intrappolata in un cerchio sempre più stretto da lei stessa creato, mentre la realtà, dalle trincee al tavolo dei negoziati, le sfuggiva di mano e una pace forgiata a Mosca e Washington lasciava l’Europa con lo sguardo fisso sul conto di una guerra che insisteva a moralizzare, ma che poi ha perso in modo umiliante.

Il documento della Casa Bianca che condanna l’UE e mette fine al governo mondiale

o

Categorie: Notizie | Nuovo ordine mondiale

07/12/2025

Iscriviti al blog tramite email

Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.

di Cesare Sacchetti

Lo si potrebbe giudicare, a prima vista, come un documento di carattere geopolitico, una di quelle pubblicazioni che delinea le strategie di politica estera degli Stati Uniti, ma in realtà è molto di più.

L’ultimo documento della Casa Bianca intitolato “Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America” sorpassa i confini della politica estera contingente, ed entra a pieno titolo in quelli della storia.

A Washington, si è definitivamente intrapresa un’altra strada.

Il corso del secolo americano nato e concepito prim’ancora dello scoppio della seconda guerra mondiale può dirsi definitivamente concluso.

A Yalta, nel 1945, i tre “grandi” vincitori della guerra si misero al tavolo per spartirsi le zone di influenza.

Il secolo XX: l’età degli imperi

Nasceva l’età degli imperi, l’età nella quale le sovranità nazionali dei singoli Stati iniziano ad essere ristrette sempre di più, esautorate da blocchi geopolitici internazionali, i quali a loro volta rispondevano ad altri interessi, di natura privata, soprattutto bancaria e finanziaria.

A Occidente, nasceva quella che è oggi chiamata l’anglosfera, fondata sull’’Euro-Atlantismo e sul ruolo decisionista degli Stati Uniti d’America.

Washington aveva il compito di mantenere tale “ordine”, o meglio aveva il compito di assicurarsi che ogni singolo Paese dell’area seguisse una linea di politica estera in linea non tanto con i veri interessi degli Stati Uniti, ma con quelli dei poteri che avevano in mano la superpotenza americana.

L’America è stata una potenza, per così dire, commissariata.

Mai realmente padrona del suo destino, e sempre soggetta alle volontà di chi voleva servirsi di tale blocco per perseguire un’agenda fondata sulla fine delle sovranità nazionali e sulla costruzione di una governance globale.

Winston Churchill lo disse chiaramente, senza indugi, e con inequivocabile chiarezza nel 1950, quando a Copenaghen, affermava espressamente che il futuro dell’umanità sarebbe stato quello di avere un supergoverno mondiale, retto a sua volta da vari blocchi regionali, nei quali c’era anche l’allora URSS.

Winston Churchill

Ci si illude infatti se si pensa anche soltanto per un istante che l’Unione sovietica sia stata una sorta di variabile imprevista nel risiko del mondialismo, quando essa è stata creata sin dal primo momento proprio dalla finanza ebraica di New York nell’ottica di marciare verso l’età degli imperi e dell’annullamento degli Stati nazionali.

Un altro devoto seguace del governo mondiale come il conte Kalergi la mise senza difficoltà alcuna nella sua mappa del governo mondiale, dove avrebbero dovuto esserci gli Stati Uniti d’Europa, un superaggregato regionale che di europeo avrebbe ben poco, se non il nome.

Kalergi, come gli altri seguaci del mondialismo, voleva una immigrazione di massa e la conseguente sostituzione etnica perché in tale aggregato globale, è necessario cancellare i tratti distintivi delle nazioni, annacquarli attraverso il famigerato “meticciato”, in modo da avere al di sotto di tale Leviatano globale una massa informe, indistinta, senza alcuna identità etnica e religiosa.

Lo schema di governo mondiale di Kalergi

Il secolo XX è stato pienamente modellato su tali idee.

Non c’è stata una singola istituzione politica ed accademica che non abbia perorato tale causa, e le classi politiche degli ultimi decenni, soprattutto degli ultimi 30 anni, si sono tutte prostrate a tale volontà.

La politica è stata messa da parte.

Al suo posto, hanno fatto ingresso elementi tecnocratici che attraverso Washington trasmettevano gli ordini da eseguire ai vari Stati satelliti dell’Europa Occidentale, ai quali veniva lasciata ben poca scelta, se non quella di eseguire le direttive impartite da quel grumo di poteri che avevano in mano la presidenza degli Stati Uniti, a partire dall’influente Council on Foreign Relations, fondato negli anni’20 e finanziato sin dal primo istante dalla famiglia Rockefeller che lo designarono come anticamera necessaria per mettere piede nella Casa Bianca.

Un simile potere ce l’aveva un altro esclusivo club, o meglio setta, come il Bohemian Grove, il ritrovo annuale dei potenti d’America e del mondo che si danno appuntamento tra le alte sequoie californiane per eseguire cerimonie di natura esoterica come il rito della cremazione che si tiene davanti alla statua di un gufo gigante, una rivisitazione della malvagia divinità del Moloch alla quale gli israeliti sacrificavano gli infanti.

C’è una “filosofia”,  o meglio una religione alla base dell’idea del mondialismo, e se si ignora qual è la sua matrice, diventa arduo, se non impossibile, comprendere quali sono i principi che governano l’idea del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale, il cui motore non è altro che quello della massoneria e della religione luciferiana.

Washington a sostegno dell’Unione europea

Gli Stati Uniti d’Europa sono il prodotto di tale idea.

Essi non sono altro che una concezione in vitro di una falsa Europa, elaborata sin dal primo istante per sostituire l’identità cristiana del vecchio continente con un’altra artificiale.

Si tratta di un impianto politico, nel quale si cerca di scristianizzare l’Europa attraverso una invasione pianificata di immigrati islamici, assieme alla ideologia liberal-marxista che si propone di proibire l’osservanza della religione cristiana in nome dell’accoglienza e del “rispetto” di altri culti.

E’ una miscela che non di rado produce dei corto circuiti, perché far convivere l’islam con la secolarizzazione progressista si rivela impresa impossibile, ma la logica e la razionalità non sono certo caratteristiche del globalismo.

L’Unione europea è comunque senza dubbio parte fondante di tale operazione.

Sul finire della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si assumono difatti il ruolo di garanti della costruzione dell’edificio “europeo”.

Viene costituito un apposito ufficio dell’OSS, il precursore della CIA, diretto dal generale William Donovan che si incarica di far affluire ingenti fondi al progetto comunitario.