Da dove viene l’energia nucleare?

Ing. Raffaele Giovanelli

Per l’informazione ufficiale in Italia il problema del nucleare sembrava dimenticato insieme al fatto che la nostra pretesa di costruire centrali era stata cancellata con disonore. Per progettare e costruire una centrale nucleare è necessaria la collaborazione di esperti in discipline lontane tra loro. Per noi italiani, affetti da personalismo acuto, si tratta di un lavoro impossibile per realizzare progetti concreti. La Francia si è avvalsa della ricerca europea, che noi abbiamo contribuito a finanziare generosamente, come il centro di Ispra, con risultati concretizzati nelle ottime centrali nucleari francesi, neppure troppo lontane dai nostri confini.  Ma c’è un fatto nuovo: la collaborazione dell’ENI con il prestigioso MIT per realizzare una centrale che dovrebbe produrre energia dalla fusione nucleare degli isotopi dell’idrogeno. I nostri principali organi di informazione hanno dato poco risalto alla notizia.

SPARC un nuovo tipo di reattore per centrali elettriche a emissioni zero (LARANEWS)   Da un articolo di Benedetta Pellegrino – Gen 08 2021

I laboratori del Dipartimento dell’Energia USA stanno collaborando con l’ industria privata per lo sviluppo di energia da fusione commerciale, un sistema per produrre energia pulita e in quantità illimitata, raggiungendo prestazioni paragonabili a quelle attese per il progetto ITER (il più grande e costoso progetto di reattore per la fusione nucleare sul punto di entrare in funzione). Il tokamak SPARC è attualmente in fase di progettazione da parte di un team del Massachusetts Institute of Technology e Commonwealth Fusion Systems. con impotanti finanziamenti dell’italiana ENI. Il Princeton Plasma Physics Laboratory (PPPL) del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE) sta collaborando con l’industria privata per la ricerca sulla fusione all’avanguardia allo scopo di ottenere energia da fusione commerciale. Questo lavoro è stato reso possibile grazie a un programma di sovvenzioni pubbliche-private del DOE per lo sviluppo di un plasma di fusione ad alte prestazioni. Per questo progetto il PPPL lavora in coordinamento con il Plasma Science & Fusion Center (PSFC) del MIT e il Commonwealth Fusion Systems (CFS), spin-out creato da ex dipendenti e studenti dell’istituto con sede a Cambridge per produrre energia da fusione e nuove tecnologie correlate. Il sistema di fusione è un tokamak  chiamato SPARC.               (Così quando ancora il mega reattore per la fusione nucleare: ITER non ha iniziato il ciclo di prove ufficiali, compare sulla scena un reattore più piccolo ma con maggiori speranze perché ha un campo magnetico di contenimento molto più alto: circa 20 Tesla, molto superiore ai circa 13 Tesla di ITER, un valore che era considerato difficilmente superabile.)   Con un campo magnetico più alto cresce la pressione di contenimento che si esercita sul plasma, dove si dovrebbe verificare la fusione nucleare, cresce la densità del plasma e questo è un fattore essenziale.

(ITER verrebbe surclassato prima ancora di iniziare.)

Uno degli scopi del progetto è quello di riuscire ad impedire la fuga di particelle “alfa” prodotte durante le reazioni di fusione in SPARC Queste particelle possono creare un plasma in gran parte auto-riscaldato, o “incandescente” (burning plasma), che alimenta le reazioni di fusione: un importante obiettivo scientifico per la ricerca sull’energia da fusione. Tuttavia, la fuga di particelle alfa potrebbe rallentare o arrestare la produzione di energia di fusione e danneggiare l’interno dell’impianto SPARC. … Le reazioni di fusione combinano elementi leggeri sotto forma di plasma per generare enormi quantità di energia. Per questo motivo gli scienziati stanno cercando di utilizzare la fusione come fonte di energia virtualmente illimitata per la generazione di elettricità.

Nuovi magneti superconduttori

Il segreto del probabile successo del reattore SPARC è nell’impiego di nuovi materiali come superconduttori. Tra le caratteristiche principali del sistema SPARC vi sono le dimensioni compatte e potenti campi magnetici, resi possibili dalla capacità dei nuovi magneti superconduttori di operare con intensità di campo e sollecitazioni più elevate rispetto ai magneti superconduttori impiegati nel progetto ITER. Queste caratteristiche consentiranno la progettazione e la costruzione di impianti di fusione più piccoli e meno costosi, supponendo che le particelle alfa veloci create nelle reazioni di fusione possano essere contenute abbastanza a lungo da mantenere il plasma caldo. “La nostra ricerca indica che possono esserlo”, ha affermato con sicurezza il fisico del PPPL Gerrit Kramer, che partecipa al progetto attraverso il programma DOE: Innovation Network for Fusion Energy (INFUSE).

Un migliore confinamento delle particelle

“Abbiamo scoperto che le particelle alfa sono davvero ben confinate nel progetto SPARC”, ha detto Kramer, coautore con Steven Scott, consulente del CFS e fisico di per lungo tempo al PPPL, in un articolo sul “Journal of Plasma Physics” che ne riporta i risultati. Nello specifico, Kramer ha utilizzato il codice del computer SPIRAL sviluppato al PPPL per verificare il confinamento delle particelle. “Il codice ha mostrato un buon confinamento e l’assenza di danni alle pareti dello SPARC”, ha detto Kramer. Una centrale elettrica a fusione nucleare potrebbe fornire energia pulita e priva di emissioni di carbonio con una produzione di energia essenzialmente illimitata.

 Il progetto SPARC

Il progetto SPARC è stato lanciato all’inizio del 2018. Martin Greenwald, vicedirettore del Plasma Science and Fusion Center del MIT ha affermato: “Quello che stiamo cercando di fare è porre il progetto su una base fisica più solida possibile, in modo da poter essere fiduciosi su come verrà portato a termine, e quindi fornire indicazioni e rispondere alle domande per la progettazione ingegneristica mentre questa procede”.

Com’è noto, l’8 settembre scorso l’ENI ha reso noto che la CFS, azienda spin-out del  Massachusetts Institute of Technology di cui il colosso italiano del petrolio è il  principale azionista, ha realizzato con successo per la prima volta al mondo un esperimento di attivazione del magnete con tecnologia superconduttiva HTS (High Temperature Superconductors), che assicurerà il confinamento del plasma nel processo di fusione magnetica. Ma come si è riusciti a raggiungere tale risultato, creando campi magnetici così alti?

Nel dettaglio, nel corso del test il magnete toroidale, dal peso di circa 10 tonnellate, raffreddato con elio liquido a una temperatura di circa meno 253,15 gradi centigradi (20 gradi sopra lo zero assoluto) è stato alimentato con una corrente elettrica di intensità crescente, fino a 40.000 Ampère, per periodi di tempo prefissati e in diverse condizioni di funzionamento, sviluppando un campo magnetico di elevatissima intensità, fino a 20 Tesla (T).

Tali campi magnetici non si sarebbero ottenuti con l’utilizzo di materiali tradizionali come i superconduttori LTS  (Low Temperature Superconductors) che si sarebbero distrutti per il calore generato.  Il risultato è stato raggiunto grazie alle proprietà dei superconduttori HTS (REBCO, ovvero Rare Earth Barium Copper Oxide) che compongono la parte attiva del magnete, in grado di raggiungere prestazioni molto più elevate in termini di campo magnetico generato, rispetto ai superconduttori tradizionali con leghe di Niobio, Stagno e Titanio. Il test degli scienziati della Commonwealth Fusion Systems ha dimostrato la possibilità di mantenere il magnete nel regime di superconduzione con un’elevata stabilità di tutti i parametri fondamentali per il suo impiego in un futuro impianto dimostrativo.

La tecnologia HTS si basa sulle scoperte che hanno portato Johannes Georg Bednorz  e Karl Alexander Müller al Premio Nobel per la fisica nel 1987, ma solo recentemente la disponibilità commerciale di nastri di conduttori HTS ha portato al loro utilizzo nei supermagneti. I nuovi magneti superconduttori sono stati costruiti e testati dalla Commonwealth Fusion Systems, controllata dall’italiana ENI, e dal Plasma Science and Fusion Center del MIT.

Durante la fusione avviene il procedimento opposto a quello della fissione nucleare: una volta create le condizioni opportune nuclei di elementi leggeri  (come trizio e deuterio, isotopi dell’idrogeno) raggiungono uno stato della materia: il plasma ad alta temperatura, in cui possono superare le forze nucleari repulsive e fondersi in un nucleo di elio, rilasciando più energia per unità di massa rispetto alla fissione. La fusione a confinamento magnetico promette una vera e propria rivoluzione in campo energetico perché, una volta sviluppata a livello industriale, permetterebbe di avere a disposizione una fonte di energia pulita, sicura e praticamente inesauribile.

In un’ottica di innovazione profonda, l’ENI ha avviato da tempo un programma che prevede impegni su più fronti:

  1. a) partecipazione in CFS (ENI è azionista della Commonwealth Fusion System dal 2018);
  2. b) collaborazione ad un programma scientifico direttamente con il Massachusetts Institute of Technology, denominato LIFT (Laboratory for Innovation in Fusion Technology) volto ad accelerare l’individuazione di soluzioni in termini di materiali, tecnologie superconduttive, fisica e controllo del plasma;
  3. c) partecipazione al progetto DTT (Divertor Tokamak Test facility) lanciato dall’ENEA, per la progettazione completa e la costruzione di una macchina “Tokamak” di notevole rilevanza dedicata alla sperimentazione di componenti che dovranno gestire le grandi quantità di calore che si sviluppano all’interno della camera di fusione. Il know-how industriale e le competenze di gestione e sviluppo di grandi progetti, che caratterizzano i processi di innovazione in ENI, combinate con l’eccellenza della ricerca scientifica dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (un tempo, Energia Nucleare ed Energie Alternative) saranno la chiave di successo per la realizzazione di questa importantissima iniziativa e dell’associata infrastruttura, basata primariamente su competenze e tecnologie italiane. Il progetto, in fase di realizzazione da ENEA ed ENI presso il Centro di Ricerche di Frascati (Roma), pone l’Italia all’avanguardia internazionale nel campo della ricerca per ottenere energia pulita, sostenibile e sicura;
  4. d) collaborazioni con altre eccellenze italiane, che fanno parte da lunga data del network ENI, quali il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ed i principali atenei coinvolti in questo campo, che si realizzano anche nella creazione del Centro di Ricerca congiunto ENI-CNR a Gela (Caltanissetta) che ha come obiettivo principale quello di sviluppare competenze locali.

Un team di ingegneri e scienziati della CFS e del PSFC del Massachusetts Institute of Technology ha provato il magnete superconduttore in un banco di prova dove il magnete è stato raffreddato e alimentato con una forte corrente elettrica per produrre un campo magnetico di 20 tesla. Lo stato di superconduzione fa sì che nei cavi della bobina non si generi calore. Lo sviluppo della fusione a confinamento magnetico essenzialmente dipende dall’intensità del campo magnetico. Per quanto riguarda l’ENI bisogna riconoscere che ha avuto coraggio a gettarsi nel settore dei superconduttori. Torniamo indietro di quasi sessant’anni, un tempo sufficiente a chiudere un periodo storico ed aprirne uno successivo. Mi sono laureato nel 1960 al Politecnico di Milano. Appoggiato anche da amici di mio padre, avanzai nel 1962 la proposta di costituire nei laboratori ENI di San Donato un Centro per lo studio dei superconduttori.  Proprio il settore in cui oggi l’ENI si gioca un bel pò di soldi e di prestigio. Il direttore dei laboratori (non faccio nomi) in un colloquio mi persuase che non era il caso di insistere nella proposta.  Ero appena laureato. Già prima di terminare gli studi al Politecnico mi interessavo della fusione nucleare e mi ero convinto della necessità di utilizzare i superconduttori per confinare il plasma. Non avevo alcuna esperienza, eppure alla luce delle decisioni che oggi ha preso l’ENI, si potrebbe dire che sono stato un profeta inascoltato. Mi auguro che la direzione dell’ENI, prima di buttare soldi in questa avventura con gli americani, abbia creato un gruppo di giovani laureati specializzati nelle superconduttività.

Con campi magnetici così alti tutto il comportamento dei plasmi contenuti nella nuova macchina deve essere rivisto. Impianti di dimensioni più piccole, integrati con le fonti rinnovabili, potranno al tempo stesso facilitare l’alimentazione energetica di piccole comunità e realtà off-grid. Il direttore del PSFC, Dennis Whyte e il CEO della CFS, Bob Mumgaard sono stati intervistati nella sala prove del Plasma Science and Fusion Center del Massachusetts Institute of Technology. La collaborazione è iniziata più di tre anni fa con la formazione della Commonwealth Fusion Systems, di cui l’italiana ENI è l’azionista di maggioranza, passa ora alla fase successiva, la costruzione di SPARC, che avrà il più potente magnete al mondo per creare e confinare il plasma per produrre energia dalla fusione nucleare.

Un grammo di combustibile dà l’energia di 60 barili di petrolio

L’energia prodotta dal processo di fusione è virtualmente infinita, sicura e a zero emissioni di gas che alterano il clima ed inquinano. Basti pensare che un grammo di combustibile per la fusione contiene l’energia equivalente a quella di oltre 60 barili di petrolio, senza che questo comporti il rilascio di gas serra.

Uno sguardo alla fisica della fusione nucleare

Per proseguire la narrazione sono necessarie alcune nozioni di Fisica.

L’energia nucleare proviene dalla trasmutazione degli elementi. La trasformazione da Idrogeno a Elio è quella che fornisce più energia, ma per ora si realizza all’interno delle stelle e nelle bombe a Idrogeno (dove poi si utilizza un isotopo dell’Idrogeno, il Trizio). Per ottenere la fusione di due nuclei di Idrogeno da cui se ne forma uno di Elio, è necessario un ambiente con alte temperature ed alte pressioni. In laboratorio su piccola scala, si possono ottenere le condizioni per la fusione irradiando particelle di Deuterio (ancora un isotopo dell’Idrogeno) congelate, portate allo stato solido, e quindi irradiate con potentissimi fasci laser. È la fusione inerziale, per ora di nessun interesse pratico poiché la quantità di energia ottenuta è molto inferiore a quella impiegata per generare i fasci laser.

Fig. 1 Energia per ogni nucleone dei nuclei per i diversi elementi. Il massimo salto di energia si verifica nella fusione da idrogeno (2H) a elio (4He).

L’energia nucleare viene dalla trasmutazione degli elementi. Se facciamo bene i conti alla fine ci si accorge che è scomparsa un po’ di massa: Dm . L’energia prodotta E si ottiene dalla celebre formula: E = Dm٠c2 dove c è la velocità della luce.

Fig. 2: Nei nuclei degli atomi le forze tra le particelle elementari hanno un particolare potenziale per forze molto iù grandi di quelle che legano gli elettroni al nucleo. In figura la rappresentazione schematica del potenziale in funzione della distanza: per grandi distanze non c’è praticamente interazione tra i nucleoni, alle distanze intermedie c’è attrazione (potenziale negativo), che tiene i nucleoni ad una certa distanza e di conseguenza tiene uniti anche i nuclei atomici, mentre alle corte distanze c’è una forte repulsione (potenziale positivo) che impedisce ai nucleoni di collassare gli uni sugli altri. Le lunghezze tipiche in gioco sono dell’ordine del femtometro, anche detto fermi ed abbreviato in fm, che corrisponde al milionesimo di miliardesimo di metro!

Fig. 3 L’anello di plasma che si forma in un tokamak

Il campo magnetico esercita una forza ortogonale alla direzione del moto delle particelle cariche. Questa è l’unica forza di cui disponiamo per confinare il plasma. Mentre all’interno delle stelle tutto è concettualmente più semplice perché il confinamento si verifica grazie alle enormi pressioni dovute alla gravità mentre le alte temperature provvedono a fornire ai nuclei di atomi di idrogeno (o di Prozio) l’energia sufficiente a superare la barriera di potenziale repulsivo (Fig. 2) per ottenere la fusione di due nuclei di atomi di idrogeno in un nucleo di atomo di elio.

Per ricreare la fusione si richiede una temperatura di 150 milioni di gradi Celsius, dieci volte superiore a quella del nucleo del sole. Una temperatura così alta è necessaria poiché non possiamo avere neppure lontanamente le pressioni che esistono all’interno del sole. Inoltre non possiamo utilizzare direttamente l’idrogeno, ce richiede ua temperatura di “accensione” impossibile da raggiungere, ma dobbiamo utilizzare due suoi isotopi: il deuterio e il trizio. Mentre il deuterio può essere facilmente ottenuto dall’acqua, le risorse globali di trizio, l’altro ingrediente principale, sono nulle. Quindi il trizio deve essere prodotto artificialmente da reattori nucleari a fissione. La miscela di deuterio e trizio viene portata nello stato di plasma che per la sua altissima temperatura deve restare lontano dalle pareti del contenitore. Questo si può ottenere solo con campi magnetici. Quindi sono necessari enormi magneti per contenere il plasma (portato a diversi milioni di gradi Celsius) in un dispositivo denominato “tokamak”. Le speranze che hanno spinto i governi di molti stati a finanziare le ricerche sull’energia da fusione nucleare dicono che entro la fine di questo decennio la fusione dovrebbe essere in grado di produrre elettricità da immettere nella rete. Tra cinquanta anni dovrebbe dare alle generazioni future una fonte di energia più pulita e sicura, in grado di soddisfare la maggior parte del fabbisogno energetico mondiale. Ma gli stessi termini di scadenza venivano dichiarati già cinquanta anni fa.

Il contenitore del plasma di trizio e deuterio è costituito da un tubo chiuso ad anello. Il tubo (Fig. 3), fatto con materiale isolante che contiene il plasma (conduttore elettrico), costituisce il secondario di un trasformatore chiuso in corto circuito. Si spera che la corrente indotta sia così alta da portare il plasma alla fusione termonucleare. Ma così non avviene. Allora si è provveduto ad immettere nel tubo altra potenza elettrica sotto forma di radiazione elettromagnetica, che dovrebbe trasferire energia al plasma. Questo trasferimento avviene se si verificano condizioni di risonanza tra la radiazione elettromagnetica (radiazione con frequenze dell’ordine di quelle dei radar) e le frequenze proprie del plasma per certi valori del campo magnetico principale. Per stabilire le grandezze ottimali di tutti i parametri in gioco si debbono evitare le instabilità, che, in un sistema fisico così artificiale, si moltiplicano con il progredire delle ricerche sperimentali. Purtroppo questo è successo: le instabilità si sono moltiplicate con il progredire delle esperienze con i diversi reattori. Anche nel laboratorio del CNR di Milano, dove ho lavorato sino a qualche decennio fa, non si è fatto altro e si è continuato avanti sulla stessa strada. Mi sono convinto del fatto che per questo cammino la meta della fusione controllata con il sistema della corrente indotta in una macchina toroidale (tokamak) non si sarebbe mai raggiunta.

Riporto parte di un ottimo testo della dottoressa Francesca Ricci. Una carica puntiforme che si muove con velocità v all’interno di un campo magnetico è sottoposta alla forza di Lorentz; tale forza, agendo sulla carica, ne modifica la traiettoria, costringendola a seguire un moto ben preciso…. la forza di Lorentz che agisce sulla carica ha direzione perpendicolare a quella della sua velocità, e quindi anche a quella dello spostamento. Come sappiamo, nel caso in cui forza e spostamento siano perpendicolari, il lavoro compiuto dalla forza (dato dal prodotto scalare di forza e spostamento) è nullo. Dal teorema dell’energia cinetica, sappiamo che la differenza di energia cinetica di un corpo è uguale al lavoro che viene svolto dalla forza che agisce su di esso; in questo caso, quindi, anche l’energia cinetica scambiata con il campo è nulla. Il fatto che un corpo non subisca variazione di energia cinetica significa che la sua velocità rimane costante in modulo. Possiamo quindi affermare che la forza di Lorentz che agisce su una particella con carica elettrica, non modifica il modulo della sua velocità, ma soltanto la sua traiettoria: ciò che cambia, quindi, è la direzione della velocità della particella. Un moto uniforme che riflette queste stesse caratteristiche è quello circolare, in cui la forza è centripeta, rivolta cioè verso il centro della circonferenza, e perpendicolare i ogni punto alla velocità tangenziale. In effetti, si può dimostrare che il moto che viene descritto da una particella all’interno di un campo magnetico è proprio un moto circolare uniforme. In questo caso, se il campo magnetico è uniforme, la forza di Lorentz è costante, e vale F = qvB, ed è sempre perpendicolare sia alla velocità della particelle, sia al campo magnetico.

Conoscendo l’espressione della forza di Lorentz, e quella della forza centripeta, e sapendo che in questo caso le due forze coincidono, possiamo determinare il moto che compie la particella; ad esempio, possiamo ricavare il raggio r della circonferenza che essa descrive.

Fq=q⋅vB   ,    →   r=m⋅v/(q⋅B)

dove m indica la massa della particella, v la sua velocità, q la sua carica, e B il campo magnetico a cui essa è sottoposta. Il raggio di curvatura r diminuisce con il crescere del campo magnetico B, che agisce quindi da contenitore del plasma le cui particelle hanno una velocità che cresce con la loro temperatura. La temperatura è proporzionale all’energia cinetica (mv2/2) delle particelle. Una particella che si muove in un campo magnetico non sempre ha velocità perpendicolare alla direzione del campo magnetico. Nel caso in cui si formi un angolo tra i due vettori, la traiettoria descritta dalla particella non è quella di un moto circolare uniforme. In questo caso si scompone la velocità nelle sue componenti, delle quali una è perpendicolare al campo magnetico, mentre l’altra è parallela ad esso. Allora il moto descritto dalla velocità parallela è rettilineo uniforme, mentre quello descritto dalla componente perpendicolare è circolare uniforme. Il moto risultante è dato dalla sovrapposizione dei due moti, cosicché il moto risultante è descritto da un’elica cilindrica. Il campo magnetico nei reattori non è uniforme e quindi le traiettorie delle particelle cariche sono molto più complicate, ma rimane l’effetto di contenimento del plasma costituito da particelle cariche.  Ma non siamo in grado di fondere direttamente due nuclei di atomi di idrogeno. Gli atomi di idrogeno hanno i nuclei formati da un protone ed un neutrone che “aiuta” la fusione per realizzare un nucleo di atomo di Elio. Possiamo tentare con il trizio, altro isotopo dell’idrogeno ma con tre neutroni ed un protone.

A questo punto inizia a vacillare la definizione di energia pulita assegnata frettolosamente ai reattori a fusione. Il trizio non esiste in natura se non in quantità trascurabili. Allora bisogna produrlo da appositi reattori nucleari. Negli USA nel 1996 esistevano 225 kg di trizio che era stato prodotto nelle centrali nucleari a partire dal 1955. Poiché il trizio è radioattivo, decade in elio3. Oggi ne restano 75 kg. Ma il trizio si può produrlo irradiando in litio con neutroni in un reattore nucleare. Nei reattori nucleari in ogni caso viene prodotto trizio, che ha un tempo di decadimento di circa dodici anni. Decade emettendo raggi beta con un processo che emette un’energia di 18.6 keV di cui 5.7 keV vanno agli elettroni della radiazione beta ed il rimanente ad antineutrini non rilevabili.

Vicende italiane

Negli anni in cui “regnava” Berlusconi venne tentata la costruzione in Russia di un buon progetto: l’IGNITOR, portato avanti alcuni anni prima da B. Coppi. Il progetto di Coppi era stato stoppato dal megareattore europeo: ITER, realizzato in Francia. Questo progetto ha assorbito tutte le risorse europee per la ricerca nel settore. Nel maggio 2010 Italia e Russia riscoprono il progetto italiano Ignitor: ITALY AND RUSSIA REVIVE IGNITOR, leggiamo nell’articolo di Robert Arnoux:  Englen Azizov, the director of the Institute of Tokamak Physics at Triniti (left), here with colleague Oleg Filatov, director of the Efremov Institute in Saint Petersburg, says Triniti has the experience and the tools to host Ignitor. A tokamak project from the 1970s was revived two weeks ago as Italy and Russia signed a “Memorandum of Understanding” to cooperate in the construction of Ignitor. The Italian National Agency for New Technologies, Energy and the Environment (ENEA) will collaborate with the Kurchatov Institute in Moscow to finalize plans for the machine, which will be built at the Triniti site at Troitsk near Moscow.

Qualche notizia sul reattore ITER

Vista d’assieme dell’interno del reattore ITER. Non si è badato a spese ed a complicazioni. I cavi elettrici sono superconduttori. Il sistema magnetico superconduttore è il più grande mai realizzato.

Qui è rappresentata  solo la struttura di sostegno in acciaio. I cavi superconduttori subiscono grandi sforzi a causa del campo magnetico che essi stessi generano.  I magneti non hanno un’anima in ferro perché la sua presenza sarebbe inutile in quanto il campo generato dai cavi superconduttori ha un’intensità ben superiore al campo di saturazione del ferro.

I magneti pesano in totale dieci mila tonnellate con un totale di energia contenuta nel campo magnetico pari 51 Giga Joule.

Una tonnellata di tritolo crea una esplosione da 4.184 GJ.  51 GJ equivalgono a più di 12 tonnellate di tritolo. Di questo ordine di grandezza è l’entità dell’esplosione se la superconduttività scomparisse improvvisamente e i conduttori, per un riscaldamento prima locale, poi rapidamente propagato a tutti i conduttori, perdessero la superconduzione. Si è provveduto a realizzare sistemi che “scaricano” l’enorme corrente che circola nelle bobine superconduttrici, ma il pericolo resta.
I materiali superconduttori usati in prevalenza sono composti di Niobio e Stagno o in alternativa Niobio e Titanio. Queste leghe oggi sono superate da nuovi composti di recente scoperta. Su queste leghe innovative si basa il nuovo reattore

I magneti diventano superconduttori alla temperatura di 4 gradi Kelvin, la temperatura dell’elio liquido (-269 °C). I conduttori sono in forma di tubi (nei quali scorre elio liquido), con rame all’interno di una guaina di acciaio.

Il campo magnetico toroidale per il reattore ITER

Diciotto magneti a forma di una D posti attorno alla “ciambelle che contiene il plasma producono il campo magnetico toroidale di 11.8 Tesla con un’energia pari 41 GigaJoule. Questo è il campo di confinamento del plasma. Ciascun magnete-bobina pesa 360 tonnellate. Un solenoide centrale, fatto con cavi di niobio e stagno, genera il campo magnetico variabile, che per induzione crea la corrente per il riscaldamento del plasma. Con un campo massimo di 13 Tesla, l’energia magnetica di questo solenoide è pari a 6.4 GJ, generando nel plasma una corrente massima di 15 Mega Ampere per un tempo sino a 500 secondi. Per conservare  l’integrità della struttura occorre esercitare uno sforzo di 6000 tonnellate in totale.

Conclusione

In Islanda per realizzare le centrali elettriche, invece del calore proveniente da una reazione nucleare, o dalla combustione di combustibile fossile, si è trovato ben più conveniente utilizzare il calore del magma, che nell’isola è anche troppo vicino alla superfice. In Islanda il 30% dell’elettricità prodotta è di origine geotermica. Una percentuale maggiore di energia geotermica provvede al riscaldamento delle abitazioni.  Al contrario sino ad ora l’attività di ricerca sulla fusione nucleare ha consumato una grande quantità di energia elettrica, originata dalle fonti “tradizionali”.

Ing. Raffaele Giovanelli