IL FASCISMO LIBERTARIO E SOCIALE DI BERTO RICCI – il Gramsci del fascismo.
Il rigore morale unito alla missione di azione, di intelletto e di fede di Berto Ricci, 2 febbraio 1941
–
Berto Ricci nasce a Firenze il 21 maggio del 1905. Dopo aver conseguito la laurea in Matematica e Fisica all’Università di Firenze nel 1926, a soli 21 anni, comincia ad insegnare matematica alle scuole medie mentre collabora con alcune riviste fiorentine tra cui il “Bargello”.
Nel 1927 aderisce al Fascismo.
Berto Ricci, nonostante la sua qualifica di matematico, si rivela immediatamente un umanista dedicandosi, oltre alla poesia, alle traduzioni di grandi come Ovidio e Shakespeare.
Nel 1931 pubblica il saggio “Lo scrittore italiano”, nel quale traccia il ritratto del vero intellettuale che sa coltivare il suo anticonformismo creativo senza, per questo, separarsi dalla vita politica e civile.
Con lui nasce la figura dell’intellettuale militante e libero al contempo.
Il 3 gennaio del 1931 Ricci avvia la pubblicazione della rivista “L’Universale”, mensile di battaglia nel quale si fa promotore di una classe intellettuale che sia di sprone al Regime affinché esso si compia perfettamente in funzione anticapitalistica, antiborghese ed antimarxista.
Viene spesso criticato per l’eccessivo rigore e per l’eccessiva franchezza con la quale esprime le sue idee.
A chi lo critica Berto Ricci risponde: «…troppa gente c’è oggi in Italia che batte le mani a tutto e a tutti e approva ogni cosa e crede, o mostra di credere, che discutere un editto di un podestà sia come discutere il Regime, il che non è Fascismo ma servilità vilissima ed antifascimo morale».
Berto Ricci fu uomo di cocenti passioni.
Ma chi disprezzava, Berto Ricci?
I “babbuini”, così li chiamava, i fiaschi vuoti, i palloni gonfiati, i “farabuttelli”, coloro che stanno sempre alla finestra, coloro che, dopo essersi rinchiusi in casa, scendono per la strada a cose fatte e magari dicono che hanno vinto.
Berto Ricci, invece, amava gli inquieti, i liberi, «quelli simili a praterie che inarca il vento alle foglie ambiziose», come scrive in una sua poesia.
Nel 1932 già collaborava al “Selvaggio” di Mino Maccari dimostrando di appartenere alla schiera meno conformista del Regime.
Berto Ricci non è fascista per calcolo né per comodità. Aderisce intimamente ai principi della “Rivoluzione delle Camicie Nere”, cercando di incarnarli in ogni gesto ed azione.
Nel 1932 si sposa e, coerente ai suoi principi anche nella vita privata, è esempio di rigore ed umiltà vivendo in modo semplice ed asciutto tanto che festeggia il suo matrimonio con sette amici al bar davanti ad un cappuccino.
Dal suo matrimonio nasceranno due figli: Giuliana e Paolo.
Scrive Luigi Personè, suo caro amico: «…sulla vita, sul mondo e sul nostro percorso egli aveva opinioni sicure, incorruttibili ed incorruttibile era soprattutto lui che, povero, rifuggiva da qualsiasi vanità.
Un’antica sapienza calata nella realtà moderna. La sua camera da letto, che io ho visto, era spartana e spartana era la sua concezione morale: un letto di ferro, un tavolino ricoperto da un tappetino carico di libri ed al muro uno scaffale qualsiasi con altri libri, non c’era altro».
Un altro che lo aveva conosciuto, Corviè, scrive: «… non i suoi nemici dovevano aver paura di un simile carattere ma i suoi amici, quelli della sua parte!».
Berto Ricci è irreprensibile ed immune a qualunque tipo di vanagloria e proprio per questo motivo è un uomo di grande generosità che riusciva a capire profondamente i bisogni dell’altro.
Gli articoli di Ricci trattavano di politica, critica della vita quotidiana, problemi di costume, recensioni di libri, poesie.
I pezzi più letti di Ricci sono gli “Avvisi” con i quali apre le sue polemiche contro la meschinità di quanti aderivano al Regime per paura o per meri scopi personali «… bisognerà liberare l’Italia dai commendatori, dai professori corrotti ed insulsi e da tutta la maledetta gente perbenino».
Berto Ricci si batte per la libertà e nei suoi scritti, pubblicati in una rivista ultra-fascista come “L’Universale”, si ritrovano tutte le critiche di costume che sono poi state fatte al fascismo da quelli che, dopo la sua caduta, si sono riciclati come antifascisti.
Berto Ricci, invece, le fa da fascista convinto e durante il fascismo scrivendo: «… benone, noi facciamo questo foglio assai più per mannai e macellai che per i colletti duri e proseguiremo con quella schiettezza toscana che dà noia a tanti galantuomini e forestieri e seguiteremo a dir bene e male di quel che ci piace e non ci piace!».
Cosa scrive Berto Ricci di fronte a Mussolini? «Compito del futuro immediato, di educazione alla libertà, è far vedere che non si può proseguire all’infinito sulla via del saluto romano, rompete le righe e zitti. Che il fascismo si decida: o con Dio o con il diavolo, o sistema invariabile delle nomine dall’alto o partecipazione del popolo allo Stato e non semplice atto di presenza alle adunate e versamento dei contributi sindacali.
Affogare nel ridicolo chi crede nella discussione e nel dialogo, chi non capisce le funzioni dell’eresia, chi confonde unità e difformità. Finirla con l’asfissiante frasario a base di ordini e basta.
Libertà da conquistare e da guadagnare, da sudare. Libertà come valore eterno incancellabile e fondamentale.
Mostrare come la civiltà, la moralità fascista, non possa consistere nei soli ingredienti di fede e polizia. Che anche la libertà di manifestare opinioni, di fare un giornale che dica queste cose è secondaria dinnanzi a quella che l’ultimo italiano deve esercitare: di controllo dei pubblici poteri, di denuncia aperta dell’ingiustizia, di prevaricazioni, da chiunque commessi!».
Non è vero, dunque, che non c’era libertà di espressione durante il Regime e le critiche ad un “certo fascismo” scritte da Berto Ricci erano infuocate.
A qualcuno sembrerà assurdo che durante il fascismo ci fosse chi poteva esprimere le proprie idee, non nel chiuso di una catacomba, ma all’aperto, sui giornali e sulle riviste e non riviste di ideologia politica opposta ma su riviste dello stesso Regime.
Nell’Italia di Mussolini, “affossatore di ogni libertà”, c’è invece chi apertamente accusa e dissente quanti sbarravano, dall’interno, il cammino di una Rivoluzione che s’era impantanata nelle trappole dell’Ordine Costituito.
Se lo facevano, era perché potevano farlo, perché Mussolini voleva che lo facessero.
Perché Mussolini li amò tutti, gli eretici!
Un esempio fu anche il non fascista Prezzolini, odiato da molti.
Chi era in alto, ma proprio in alto, amava gli eretici.
Oggi è un po’ diverso.
Oggi certi eretici sono amati dal basso, da tutti quelli che pensano a quanto scrisse Berto Ricci:
«Viene, dopo le finte battaglie, il giorno in cui c’è da fare sul serio, e si ristabiliscano di colpo le gerarchie naturali: avanti gli ultimi, i dimenticati, i malvisti, i derisi.
Essi ebbero la fortuna di non fare carriera, anzi, di non volerla fare, di non smarrire le proprie virtù nel frastuono degli elogi mentiti e dei battimano convenzionali.
Essi ebbero la fortuna di assaporare amarezze sane, ire sane, conoscere lunghi silenzi, sacrifici ostinati e senza lacrime, solitudini di pietra, amicizie non sottoposte all’utile e non imperniate sull’intrigo».
Ed infatti Mussolini convoca Ricci a Palazzo Venezia nell’estate del 1934 e lo invita a scrivere sul “Popolo d’Italia” dove terrà, insieme ai suoi collaboratori, una rubrica intitolata “Bazar”.
–
Ma questi ragazzi non erano solo intellettuali, infatti “L’Universale” termina le sue pubblicazioni il 25 agosto del 1935 con questa dichiarazione di Berto Ricci: «Questo giornale finisce quando deve finire, quando il suo desiderio di battaglia e di grandezza trova appagamento magnifico nel volere del Capo.
Non altro chiedevamo e non altro credevamo.
Bilanci? Li tirerà chi tornerà!
Ora, camerati, non è più tempo di carta stampata è ora del cimento in Etiopia!».
Berto Ricci vuole combattere con tutte le sue forze ma partire per lui non è semplice visto che la cartolina di arruolamento non arriva.
Berto Ricci però vuole partire volontario e lo dimostrano le dodici lettere che scrive al grande Pavolini per andare al Fronte.
Tra queste una:
«Caro Pavolini, vi chiedo un favore, mi sentirei pochissimo a posto dinnanzi a me stesso e all’Italia se restassi a casa mentre si combatte. Aspettavo una cartolina che non viene, voi siete un uomo da capire uno stato d’animo che mi dà giornate bruttine. Ho fatto domanda al distretto per essere assegnato ad un reparto combattente, ma ho paura che la domanda resti là a dormire. Non so come andranno le cose dopo la capitolazione francese, ma credo che la partita con gli inglesi non sarà né brevissima né vana. Insomma, Vi chiedo, caro Pavolini, di appoggiare questa domanda che ho fatto. Tanto se resto a casa sono un uomo inutile, non sono più buono né a scrivere un rigo, né a dire una parola e come me ce n’è tanti. Almeno ai giornalisti dovrebbe essere concesso di combattere. Aspetto da Voi una parola e Vi ringrazio perché so che farete quel che potrete. Il Vostro Berto Ricci.».
Berto Ricci anche in guerra rimane così fermo ed umile che i suoi camerati scoprono che è un professore solo quando i Comandi Superiori lo mandano a seguire un corso ufficiali a Saganeiti in Eritrea.
Tornato dalla Guerra d’Etiopia, Ricci si dedica all’insegnamento prima a Palermo, per due anni, poi a Firenze ed infine ottiene una cattedra a Prato.
Il 10 gennaio del 1938 viene pubblicato il “Manifesto Realista”, sottoscritto anche da Ricci, nel quale si nega un avvenire sia alle ideologie democratiche che a quelle marxiste, contrapponendo ad esse l’imperialismo popolare, l’eticità dell’economia, il dovere del lavoro ed il corporativismo.
Sul concetto di “sintesi fascista” Ricci scrive che il nemico «… fu e resta il centro, cioè la mediocrità accomodante. Il centro è compromesso, noi fummo affermazione simultanea degli estremi, nella loro totalità».
Indro Montanelli raccontò un episodio che ci fa comprendere, ancor di più, quale fu lo spessore morale di Ricci e, ahimè, quale fosse il suo:
“… fu il solo Maestro di carattere che io abbia mai trovato in questo Paese.
Quando di lì ad alcuni anni ebbi deciso di voltare le spalle al fascismo, fu soltanto di lui che mi preoccupai.
Infatti, andai apposta a Firenze a parlargliene. Mi stette a sentire, poi, pacatamente, disse:
«Queste sono faccende in cui s’ha da vedersela con la propria coscienza e nessuno può essere d’aiuto a nessuno. Io ti dico soltanto una cosa, non pensare ai vivi, pensa a quelli che, per restare fedeli alle nostre idee, sono morti.
Per non arrossire di fronte a noi stessi, e l’uno di fronte all’altro, qualcosa si è fatto!
Pensaci, e pensa anche che se imbocchi quella strada devi batterla fino in fondo.
Questo solo ti chiedo: di poter continuare a stimarti come avversario, visto che devo cessare di stimarti come amico e come alleato».
Nel 1940 Berto Ricci partecipa al primo Convegno Nazionale della Scuola di Mistica Fascista sul quale così relaziona:
«La Mistica Fascista ripropone al Partito, alla Milizia, agli Organi dello Stato ed agli Istituti del Regime il tema dell’unità sociale.
Questa unità dinamica non si limita all’assistenza economica ed al miglioramento delle condizioni di chi lavora, insomma ad una mera pratica demofila, ma punta sulla civiltà del lavoro e tende a realizzare una più elevata moralità insieme ad un maggior rendimento collettivo.
Questa attività è attuata attraverso alcuni punti fondamentali:
- governo della produzione e del consumo;
- graduale ridistribuzione della ricchezza;
- bonifica ed autarchia;
- compartecipazione e corresponsabilità nell’azienda del produttore;
- lavoratore proprietario.
Per questo, come ogni “mistica” chiamata ad operare in concreto sulla storia e ad ergervi fondazioni durevoli, soddisfa anche requisiti razionali».
Insomma, un impegno sociale nell’ambito di un Regime che aveva attuato le prime uniche e vere innovazioni sociali del secolo:
- istituzione degli enti di assicurazione e previdenza;
- erogazione degli assegni familiari;
- otto ore lavorative giornaliere;
- assistenza alla maternità ed all’infanzia;
- colonie per i figli dei lavoratori anche se residenti all’estero;
- treni popolari;
- riforma scolastica ed edificazione di scuole ed università;
- grandi bonifiche integrali e redenzione della terra;
- capillare politica sanitaria ed ospedaliera;
- emancipazione del sottoproletariato e del proletariato.
Solo per citarne alcune …
–
All’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, Berto Ricci si arruola, ancora una volta, volontario e viene inviato sul Fronte Libico-Egiziano.
Qui Ricci porta con sé un quaderno in cui annota i propri pensieri per farne un nuovo libro dal titolo “Tempo di sintesi”, dedicato alla “Gioventù Fascista”.
Purtroppo il taccuino andò perduto.
È rimasta solamente l’idea generale scritta in una pagina dallo stesso Ricci.
Il libro esamina anzitutto lo stato della gioventù fascista. È una fase compiuta della sintesi fascista, di cui si sarebbe dovuta far carico la nuova generazione.
Il tema della classe dirigente è, peraltro, centrale nel pensiero di Ricci che mirava dichiaratamente alla formazione dei nuclei di una nuova dirigenza intellettuale e politica tra i giovani della seconda generazione fascista.
–
Nel gennaio del 1941, poco prima che fosse ucciso, Berto Ricci scrive una lettera alla moglie:
«Di’ ai miei genitori di non mandarmi pacchi, ora. Non sono stato e non sto con le mani in mano, ma seguito a chiedere di andare ad un fronte qualsiasi e potrebbe darsi, Dio lo volesse, che partissi da un momento all’altro. Tanto, ormai la Tripolitania l’ho vista anche quella e sarebbe ora di cambiare paesaggio» e prosegue «… ai ragazzi penso sempre con orgoglio ed entusiasmo , siamo qui anche per loro, perché questi piccini vivano in un mondo meno ladro e perché la sia finita con gli inglesi e con i loro degni fratelli di oltremare, ma anche con qualche inglese d’Italia. Vi abbraccio affettuosamente. Il tuo Berto.»
Con i genitori Berto aveva rapporti duri, benché affettuosi, in quanto loro non condividevano le idee del figlio.
In Libia, nel Gebel Cirenaico, verso le 9:00 della mattina del 2 febbraio del 1941, la sua batteria fu attaccata presso un pozzo montagnoso vicino a Bir Gandula.
Berto Ricci cade colpito da due colpi di mitragliatrice sparati da uno Spitfire inglese.
Oggi è sepolto nel “Sacrario dei Caduti d’Oltremare” a Bari.
Scrive Giovanni Gentile nel sommario della pedagogia: «… un uomo vero è vero uomo se è martire delle sue idee e non solo le confessa, ma le attesta, le prova, le realizza fino alla morte».
Berto Ricci fu una coscienza senza sonno, innamorata di quella «Italia dura, taciturna, sdegnosa che portava la sua anima in salvo, soffrendo delle contraddizioni dei ciarlatani, dei buffoni, dei letterati e dei commendatori.
L’Italia che ci fa spesso bestemmiare, perché la vorremmo più rigida, più attenta, più macra, più vicina alla perfezione dei Santi».
Come si può riassumere il pensiero di un uomo così appassionato?
Ricci diceva: «… ci sono inghilterre che abbiamo dentro di noi che bisogna abbattere. E sono quelle, è quello il male: là dove prevale, là è il nemico.
A chi ci rimprovera di volere la perfezione, si risponda finalmente e fieramente di “Si!”. Si risponda: “non addegna del nome di rivoluzionario chi non la vuole”».
Ecco, questo era Berto Ricci!
Un uomo di un’immensa cultura emersa solo dopo la sua morte quando sono venuti alla luce, da un vecchio baule dove la moglie li ha custoditi amorevolmente, i suoi quaderni. Quaderni di un “Gramsci del Fascismo” nei cui “Avvisi” c’era una cultura formidabile, filtrata, mai esibita, pubblicati in una raccolta postuma.
Una cultura che andava dalla letteratura giapponese a quella americana, a tutto il ‘400 ed il ‘500.
Berto Ricci fu un italiano fiero che seppe unire la passione ideale al disincanto, la fede alla critica. Dotato di intelligenza affilata è mai posata, preferì costeggiare l’eresia ed abitare in quella fascia scomoda ed isolata dove non si è “fascisti organici” ma si è fedeli ad un’idea e ribelli ad un potere.
Sarebbe giusto ricordare a tutti quei giovani che si “infervorano” cercando miti oltreoceano che, qui in Italia, abbiamo avuto uno dei più grandi eroi del ‘900 ed il suo nome è Berto Ricci.
Valentina Carnielli
Mi si rammenti il cuore di cantare sempre
in tramonti, in aurore e in notturne paure.
Questo ti chiedo Signore!
- preghiera di Berto Ricci