Al via firme contro l’invio di armi. Enzo Pennetta (Portavoce “Ripudia la guerra”): “Superare le distanze politiche. Lo chiede la maggioranza degli italiani”

Antonio Di Siena

Enzo Pennetta, saggista e docente di scienze naturali, è il portavoce di Ripudia la Guerra, comitato promotore della campagna referendaria contro l’invio di armi in Ucraina e negli altri teatri di guerra. L’Antidiplomatico l’ha intervistato alla vigilia dell’avvio, domani 22 aprile, della raccolta firma su tutto il territorio nazionale.

 Come nasce il comitato Ripudia la Guerra?

Ripudia la Guerra nasce per volontà di un gruppo di giuristi che si interroga da tempo sul fenomeno dell’invio delle armi, una deroga a una norma generale. L’idea è intervenire sulla legge che consente l’eccezione. E il comitato ha precisamente questo compito: creare le condizioni per mettere in collegamento tutte le realtà interessate a sostenere la causa. Hanno avviato un meccanismo pensato per essere  apartitico e rivolto ai cittadini, di cui io sono il semplice portavoce.

La legge che volete abrogare con il referendum – la 185/1990 che vieta “l’esportazione, il transito, il trasferimento di armi verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite” –  non è già palesemente in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione?

Nel nostro nome c’è già un chiaro riferimento all’articolo 11, ma l’obiettivo non è certo una dichiarazione di incostituzionalità. Dal punto di vista giuridico siamo testimoni di come l’interpretazione giuridica della Costituzione possa essere molto varia. Il principio del ripudio della guerra è di carattere assoluto oppure è lecito contraddirlo perché l’Ucraina si sta difendendo? Dipende dall’interpretazione. La mia idea è che l’Italia ripudi la guerra in toto. A meno che non ci siano di mezzo i trattati internazionali. Ma è un punto discutibile. Ciò che sappiamo per certo, invece, è che possiamo salvaguardare il principio dell’art. 11 chiedendo l’abrogazione di una legge nazionale. Andando cioè a colpire un articolo di una legge nazionale che è svincolato da qualunque Trattato. Il popolo con un referendum può abrogare qualunque legge. Ci potranno bloccare lo stesso ma non per quel motivo. Non serve far leva sull’incostituzionalità – che probabilmente c’è pure – ma promuovere un atto più diretto: l’abrogazione della norma.

Qualcuno sostiene che un referendum di questo tipo è estremamente rischioso perché sussiste la possibilità che non si raggiunga il quorum. In questo caso il governo avrebbe sostanzialmente mano libera per agire indisturbato.

Inizierei col dire che il governo sta già facendo quello che vuole. Non mi piace scommettere ma raccoglieremo le firme necessarie. E quando 500.000 cittadini dicono “no” è già un segnale fortissimo, che obbliga chi vuole agire diversamente a farlo in maniera sfacciata. Il mancato raggiungimento del quorum è un rischio che possiamo correre, perché se invece lo raggiungiamo la vittoria sarà schiacciante.

Eppure, anche difronte a vittorie inequivocabili, la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria potrebbe essere comunque ignorata, disattesa o aggirata con nuovi provvedimenti di legge in nome della ragion di Stato. È già accaduto al referendum italiano sull’acqua pubblica o a quello greco contro la Troika. Ti sembra una valida ragione per non imbarcarsi in questa avventura?

La possibilità certamente esiste, ma dobbiamo guardare la cosa con altri occhi. L’unico risultato utile non è che il referendum passi e la legge venga abrogata, quello è il risultato massimo. Ce ne sono altri, altrettanto importanti, che si ottengono strada facendo. Già oggi abbiamo ottenuto un risultato: l’informazione è obbligata a occuparsi del tema che solleviamo. La dissonanza tra decisione del parlamento e volontà della maggioranza della popolazione è già posta alla loro attenzione, mentre magari sarebbe più comodo fare finta di niente. E sarà così per ogni fase successiva. I banchetti per strada sono una presenza fisica che infastidisce i media, specialmente se l’intenzione è condizionare l’opinione pubblica. E il referendum è uno strumento straordinario, perché anche le persone più distratte si accorgono che sta succedendo qualcosa. Per assurdo se anche ci fermassimo adesso – per il solo fatto che tanta gente ne sta parlando e ha iniziato ad aggregarsi in un corpo solo che non vorrebbero che ci fosse, perché scardina la propaganda e la manipolazione mediatica – ne sarebbe già valsa la pena.

Pochi giorni fa Michele Santoro ha fatto appello per una staffetta contro le armi. Quanto è importante allargare il più possibile il fronte contro la guerra?

Serve allargarlo il più possibile. Tutti possono sostenere Ripudia la guerra senza temere che qualcuno se ne intesti i meriti. Quindi non c’è motivo di valutare le opportunità o le alleanze. Certo, se si presentasse una formazione palesemente delinquenziale starebbe certamente fuori. Ma nell’ambito delle forze politiche, per quanto fra loro molto distanti, il problema non si pone. Restano eventualmente in conflitto ma convergono sulla questione specifica. La pluralità non può che essere un valore aggiunto, d’altronde ci serve il sostegno della maggioranza della popolazione italiana. Un risultato possibile solo coinvolgendo realtà molto differenti.