A Bergoglio piace Mina – Danilo Quinto

 


Nel corso dell’Angelus del 31 gennaio, l’inquilino di Santa Marta ha parlato degli scribi che “ripetevano tradizioni precedenti e leggi tramandate”. “Ripetevano parole, parole, parole, come cantava la grande Mina”, ha detto. Avremmo preferito che dai “Sacri Palazzi” fosse stata citata la bellezza della musica gregoriana o quella di Chopin, Rachmaninov o Brahms, ma questi sono “tempi moderni”, dov’è consentito liquidare “tradizioni precedenti e leggi tramandate” con il verso di una canzonetta e bastonare così i cosiddetti conservatori o tradizionalisti. Non è la prima volta che accade e non sarà l’ultima.

Non dobbiamo scandalizzarci. Dobbiamo, invece, comprendere in profondità perché questo accade. Il compianto cardinale belga Godfried Danneels chiamò in causa la “Mafia di San Gallo” per spiegare il ruolo decisivo che questo gruppo di prelati ebbe nell’elezione di Bergoglio. Per “mafia” qui si deve intendere un “gruppo di persone che usano illecitamente il potere anche a danno di qualcuno o qualcosa per conseguire i loro interessi particolari” (Sabatini- Coletti, Dizionario della Lingua Italiana). Potremmo anche chiamarla “combriccola”, sempre in base alla voce del Dizionario.

Quali sono i loro interessi particolari? Sono molteplici, ma ve n’è uno preminente: la riforma in chiave luterana del Cattolicesimo. Che cosa voleva Lutero? Voleva una Chiesa “senza”. Una Chiesa senza sacerdoti, senza dogmi, senza magistero, senza un’interpretazione ufficiale della Sacra Scrittura, che dovrebbe essere interpretata dai singoli secondo quanto il loro spirito – presunto – suggerisce. Una Chiesa sinodale, dove sacerdoti, vescovi, papi, non sono espressione del sacro, ma della politica, della comunità che li elegge – o, meglio – che li nomina. Una Chiesa di popolo. Si sa che il popolo è un’immagine puramente retorica. «Neppure in politica si può sapere quello che vuole il popolo – cioè una moltitudine di persone diverse – tanto meno in teologia», chiosava in una delle sue ultime interviste il grande mons. Antonio Livi, che “riponeva nel cestino” la diceria che dopo otto anni è ancora in voga: “Bergoglio l’ha voluto lo Spirito Santo”. «Questa è una sciocchezza», diceva Livi, che aggiungeva: «Lo Spirito Santo ispira tutti perché facciano il bene, ma non tutti fanno il bene che lo Spirito Santo ispira loro. C’è chi fa una cosa buona e chi fa una cosa cattiva».

La “cosa cattiva” che “appartiene” a Bergoglio ed al suo entourage – e che deriva direttamente dalla “combriccola” di cui dicevamo sopra – è sancire che rispetto ai duemila anni di Storia della Chiesa, c’è un solo evento che travolge tutto: Tradizione, Sacra Scrittura, Dogmi, ecc., ecc. Ha sostenuto Bergoglio il 30 gennaio nell’udienza all’ufficio catechistico della Cei: «Coloro che criticano il Concilio Vaticano II o non lo seguono, sono fuori dalla Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio o se lo interpreti a tuo modo non sei nella Chiesa, il Concilio non va negoziato. Per favore, nessuna concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia in accordo con il magistero della Chiesa».

Perché tanta premura, tanto interesse, tanta forza nel perseguire coloro che anche solo criticano o non seguono un Concilio di natura pastorale? Per una ragione molto semplice: non è sufficiente stravolgere quotidianamente la Parola di Dio o ignorare costantemente l’eliminazione dei principi dell’identità cristiana da parte delle leggi degli Stati o rendere sacrilega la Santa Messa con le modifiche del Nuovo Messale o essere sodali con il potere civile – come accade con il Covid – al fine di assoggettare le persone a vessazioni inaudite rispetto alla libertà personale e alla coercizione di una campagna a favore di pseudo-vaccini fabbricati con linee cellulari di feti abortiti. E’ abbastanza, ma non è sufficiente. Bisogna far accettare a tutti – pena la scomunica – la “chiave di volta”, quel Concilio indetto da Giovanni XXIII, per la cui attuazione lavorarono per decenni membri assai autorevoli della Chiesa, molti dei quali legati all’Istituzione che ha per obiettivo principale la sua distruzione: la Massoneria. Lo “spirito del mondo” s’introdusse così nella Chiesa e la Chiesa se ne compiacque, al fine di distruggerla dall’interno. Questo proposito fu formalizzato dalle parole che usò Paolo VI, nel discorso di apertura della Seconda Sessione del Concilio, il 29 settembre 1963: «Sappia con certezza il mondo», disse, «che è visto amorevolmente dalla Chiesa, che nutre per esso una sincera ammirazione ed è mossa dallo schietto proposito non di dominarlo, ma di servirlo, non di disprezzarlo, ma di accrescerne la dignità, non di condannarlo, ma di offrirgli conforto e salvezza. Se alcuna colpa fosse a noi imputabile per tale separazione, noi ne chiediamo a Dio umilmente perdono e domandiamo venia altresì ai Fratelli che si sentissero da noi offesi».

La Chiesa conciliare nutre, quindi, “ammirazione” per il mondo. Che cos’è il mondo per il cristiano? Ce lo dice Gesù che cos’è il mondo. Nella sua “preghiera sacerdotale”, contenuta nel Vangelo di Giovanni (17, 1-25), Egli usa per diciotto volte la parola “mondo”, in tre accezioni. Nella prima, “mondo” sta per universo creato, per esempio nell’espressione «prima che il mondo fosse». Nella seconda, “mondo” indica l’umanità destinataria della misericordia di Dio, in attesa della salvezza. La terza accezione è contenuta in questi due passi (17, 6-11): «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscite da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro, non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi». Commenta il cardinale Giacomo Biffi in “Pecore e pastori”: «Questa terza accezione dev’essere ben considerata, senza indulgere ad attenuazioni o magari a censure ideologiche. Il termine “mondo” evoca un’oscura opposizione all’amore fattivo di Dio per le sue creature; un’opposizione che resterà sempre operante e malefica fino alla venuta gloriosa del Signore. E’ quindi una realtà in aperto contrasto con l’iniziativa divina di riscatto e di elevazione dell’uomo; una realtà irrimediabilmente ottusa, incapace di accogliere il mistero della giustizia, della misericordia, della paternità del Creatore: “Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto” (17, 25). E’ dunque qualcosa di irredimibile, tanto che il Salvatore di tutti e di tutto può tranquillamente affermare: “Io non prego per il mondo”. Non ha nulla in comune con Cristo, e perciò non può avere nulla in comune con quelli che sono di Cristo, poiché tutto è avvolto in un unico odio spaventoso: “Il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (17, 16). Essere “nel mondo” ma non “del mondo”: è il dramma del “piccolo gregge”, che è fatalmente sempre alle prese con questo enigma di malvagità, ma deve evitare di avere con esso la minima consonanza; ed è anche l’implorazione più accorata che si eleva dal cuore del nostro unico vero Pastore: “Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno” (17, 15)». Aggiunge il cardinale Biffi: «Il “mondo” come umanità che attende di essere raggiunta dall’amore salvifico del Padre (e quindi ogni uomo) ci induce ad avere instancabilmente nei suoi confronti ogni simpatica attenzione e ogni generosa apertura. Invece il pensiero dell’esistenza del “mondo” come antitesi a ogni salvezza scoraggerà ogni dialogo spensierato con le ideologie deliberatamente anticristiane, con l’intrinseca cultura della negazione e del niente, con i programmi spregiudicati e astuti di soffocare la voce e la libertà della Chiesa».

Quindi, da una parte c’è Cristo, la Verità. Dall’altra, il mondo, la Menzogna, il nemico di Cristo e di coloro che sono nella Sua sequela. L’alleanza della Nuova Chiesa con il mondo, quel “dialogo spensierato” di cui parlava il cardinale Biffi, ha prodotto, nel corso del tempo, una simbiosi con la Menzogna.

Di fronte a questa situazione, che cosa deve fare il buon cristiano? In questi giorni, mons. Carlo Maria Viganò ha scritto una risposta ad un sacerdote che gli sottoponeva alcuni interrogativi, che chiarisce bene questo punto e ad un certo punto afferma: «A ben vedere è proprio per difendere la Comunione gerarchica con il Romano Pontefice che occorre disobbedirgli, denunciare i suoi errori e chiedergli di dimettersi. E pregare Iddio che lo chiami a Sé il prima possibile, se da questo può derivarne un bene per la Chiesa».

Quando mons. Viganò usa il termine “Chiesa” si riferisce – naturalmente – alla Chiesa Universale. Un problema, questo, che a molti sfugge. Quando pensiamo alla Chiesa – infatti – dobbiamo considerare i suoi tre rami: la Chiesa militante (con i suoi membri che lottano tra le battaglie della loro vita presente); la Chiesa “paziente” o “purgante” (formata da coloro che espiano in Purgatorio l’ultimo debito dovuto alla divina giustizia); la Chiesa trionfante (di coloro che godono in Cielo il premio della loro salvezza, promessa da Nostro Signore). Quando ascoltiamo parole o vediamo gesti o comportamenti di un Sacerdote, di un Vescovo o di un Papa che ci scandalizzano, dobbiamo sempre pensare – aiutati dal “retto giudizio”, che Gesù ci ha invitato ad usare – che esiste questo Unico Corpo Mistico, che ha a capo Cristo. Dobbiamo pensare che in Cielo ci sono miliardi di Angeli, milioni e milioni di Santi e di anime purganti, che per i meriti di Nostro Signore proteggono le nostre vite e vigilano su di esse in questo combattimento con il Male che fino alla fine saremo chiamati a vivere.

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