I lavoratori tedeschi osano criticare l’«Impostura Climatica»

Dissonanza nel Valhalla Green :

Thomas Kolbe

Per la prima volta da anni, un gruppo di rappresentanti dei lavoratori tedeschi ha rotto i ranghi. In una lettera aperta al Cancelliere Friedrich Merz, criticano aspramente la politica climatica di Berlino. La loro sfida scatenerà una tempesta di fuoco o svanirà nel vuoto della memoria creato dai guardiani dei media? Devo ammetterlo: dopo anni di cocente delusione nella lotta per un discorso razionale sull’energia, considero iniziative come questa con cauto pessimismo.

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In Germania, la politica climatica è diventata dominio di una triade paternalistica: politica, media e adesione pubblica. La prima vittima? Il dibattito aperto. L’aria è carica di un’apocalisse passivo-aggressiva. Criticare il Green Deal è quasi un tabù. Non mi viene in mente alcun precedente storico in cui una nazione, pienamente consapevole, si sia impalata economicamente al rallentatore. Calma prima della tempesta? Negli Stati Uniti, la macchina del cambiamento climatico potrebbe essere in ritirata con il ritorno di Trump. Ma nell’UE, il cartello del clima e i suoi beneficiari mantengono il pieno controllo, nonostante la recessione, la deindustrializzazione e la disperazione pubblica. È solo la quiete prima della resa dei conti? La Germania ha pagato il prezzo più alto in questa crociata climatica. La sua transizione forzata alle energie rinnovabili, pur vietando l’energia nucleare, potrebbe ancora essere salutata come “progresso di civiltà” in enclave eco-parassitarie come Berlino-Prenzlauer Berg o Colonia-Ehrenfeld.

Ma nel mondo reale, dove cittadini, famiglie e imprese produttive dipendono da energia e mobilità a prezzi accessibili, l’umore si è inasprito. La festa è finita. Le tasche sono vuote. E la pressione sta crescendo. Ora, finalmente, qualcuno sta parlando. Un gruppo di comitati aziendali industriali chiede al Cancelliere Merz di porre fine alla corsa suicida alle politiche climatiche. Da quando sono iniziati i lockdown per il COVID, oltre 300.000 posti di lavoro nel cuore industriale tedesco sono scomparsi. La produzione ad alta intensità energetica è diventata un miraggio, soprattutto quando concorrenti come gli Stati Uniti pagano fino al 75% in meno per l’elettricità.

Fine del cartello del silenzio

Tra i firmatari della lettera figurano rappresentanti sindacali di LEAG, ArcelorMittal Eisenhüttenstadt, BASF Schwarzheide, il consiglio aziendale di Lausitz Energy e la dirigenza regionale del sindacato IGBCE. Non si tratta di casi isolati, ma di sopravvissuti alla fallita “trasformazione verde” della Germania.

ArcelorMittal ha recentemente abbandonato i suoi piani per l’acciaio verde, nonostante i miliardi di sussidi offerti. BASF sta tagliando 700 posti di lavoro a Ludwigshafen. La “ristrutturazione verde” dell’economia tedesca sembra ormai un necrologio industriale. Ogni giorno, un altro progetto sovvenzionato crolla nella pattumiera della pianificazione centralizzata. La loro ribellione è il vero titolo: ci vuole coraggio per uscire dall’ortodossia climatica e venire alla luce. Rispetto. Basta consenso

Non si tratta di populisti o di piazzisti aziendali. Sono comitati aziendali, da tempo considerati integrati nel modello sindacale tedesco basato sul consenso. Pubblicando una lettera pubblica, stanno commettendo una sfida aperta. Stanno prendendo di mira il Green Deal, la metastasi amministrativa che ha paralizzato la linfa vitale economica dell’Europa. Il tono è sorprendente: descrivono “la peggiore crisi economica dalla Seconda Guerra Mondiale”. Oltre 100.000 posti di lavoro persi nell’industria, solo quest’anno. In realtà, il totale delle perdite di posti di lavoro dal 2020 è il triplo, secondo Ernst & Young.

Definiscono la transizione energetica “un’operazione fallita a cuore aperto”. Dopo 35 anni di sussidi all’eolico e al solare, la stabilità della rete non è migliorata, eppure i costi di rete ammontano a centinaia di miliardi. Gli elevati prezzi dell’energia non sono solo socialmente ingiusti: rappresentano una minaccia esistenziale per la prosperità e la pace civile.
I consigli chiedono un prezzo dell’elettricità industriale di 0,05 €/kWh e che l’industria sia esentata da sovrapprezzi e imposte. L’economia controllata di Bruxelles In risposta, la Commissione Europea ha approvato a giugno un controverso regime di sussidi: alcune aziende selezionate possono ricevere fino al 50% di sconto sui prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica, ma solo per metà del loro consumo annuale e solo se investono in “tecnologie verdi”.

Ancora una volta, invece di una disciplina di mercato o di una concorrenza leale, Bruxelles fissa i prezzi e distribuisce il denaro dei contribuenti in base a un atteggiamento ideologico. Non possono – e non vogliono – rinunciare all’economia del comando e controllo. Una sana risposta immunitaria

Il fatto che questi leader sindacali parlino chiaro e smantellino l’agenda verde riga per riga è incoraggiante. Una parte della società tedesca ha ancora un sistema immunitario quando la sua esistenza è in gioco. Chiedono la fine delle esagerazioni climatiche a livello nazionale ed europeo, a meno che e finché non vengano presi impegni globali vincolanti. Chiedono inoltre tutele commerciali eque e politiche tecnologiche realistiche, che includano l’idrogeno e la cattura del carbonio.

Questa è la chiave: in un mercato globale integrato, i sacrifici unilaterali portano solo alla distruzione. La leadership tedesca ha consapevolmente ignorato questa verità per decenni. La lettera dei lavoratori, sebbene indirizzata a Berlino, è chiaramente rivolta a Bruxelles. Il piano dell’UE era semplice: costringere il mondo alla camicia di forza climatica per compensare il suo deficit energetico strategico. L’UE importa il 60% della sua energia.

Questa dipendenza rende Bruxelles vulnerabile. E nulla la spaventa di più che negoziare alla pari con i partner esportatori di energia. Ribell

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Ribellione dal basso

Questa protesta ha un potere dal basso: proviene da persone che vivono la realtà del fallimento dell’economia climatica, non da think tank o da opinionisti. Inizialmente circolerà attraverso sindacati e consigli aziendali, ma il dolore condiviso potrebbe presto generare un’ondata di resistenza comune. Se ciò accadesse, il complesso mediatico-industriale farebbe fatica a ignorarlo, seppellirlo o deriderlo, anche se ci proverebbe.

Potremmo assistere a una svolta, in cui le pressioni interne costringerebbero Bruxelles e la Commissione von der Leyen a cambiare rotta. Il fatto che la sfida non provenga da lobby aziendali, artisti finanziati dallo stato o partiti di orientamento verde, ma dagli stessi lavoratori sacrificati, le conferisce una potenza mai vista nel dibattito sul clima. Se questa lettera raggiungerà l’opinione pubblica, nonostante il blackout mediatico, allora i venti seminati da Bruxelles e dalla lobby climatica potrebbero scatenare una tempesta che nemmeno le élite verdi europee riuscirebbero a contenere. Restiamo ottimisti.

* * * Thomas Kolbe è laureato in economia. Per oltre 25 anni ha lavorato come giornalista e produttore mediatico per clienti di diversi settori e associazioni imprenditoriali.

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Le materie prime non sono mai state così sotovalutate rispetto alle azioni. Eco perché ci sembra che l’economia dell’Occidente sa enorme rispetto aalla Russia.

Francia, ulteriore taglio dello stato sociale – senza nemmeno la scusa green ndo

IL TRATTAMENTO D’URTO DI FRANÇOIS BAYROU (Le Figaro, Louis Hausalter, 16 luglio 2025

Punti chiave: – Il primo ministro francese François Bayrou propone un piano per ridurre il deficit pubblico di 44 miliardi nel 2026, con misure drastiche come il congelamento di pensioni, prestazioni sociali e scaglioni fiscali. – Il piano prevede la soppressione di due giorni festivi, una “contributo di solidarietà” per i redditi più alti, la riduzione di 3.000 posti pubblici e il taglio di agevolazioni fiscali per i pensionati. – Le proposte, definite “esplosive”, rischiano di incontrare forti resistenze in un’Assemblea nazionale frammentata, con critiche da Marine Le Pen, Jean-Luc Mélenchon e altri.