ERDOGAN STA PER TRADIRE DI NUOVO?

Le forze americane lasceranno la base aerea di Al Udeid in Katar, e saranno sostituite da truppe della Turchia.  La notizia, da Fars News e Rai al-Youm, parla di un “accordo tripartito” fra Katar, Washington ed Ankara  per il sopra citato rimpiazzo.

Al Udeid è la più grossa base americana in Medio Oriente, vi operano 11  mila militari ed è la sede dell’US Central Command, che da qui ha condotto la pseudo-offensiva contro l’Isis in Siria (in realtà contro il governo Assad) e  in Irak.  Nel giugno scorso,  al colmo della crisi  fra Arabia Saudita e Katar (accusato da Ryad di sostenere i Fratelli Musulmani in Egitto e di essere troppo amico dell’Iran) , Trump – parteggiando apertamente per i sauditi – aveva minacciato di chiudere la base, lasciando così senza la protezione americana il piccolo ma potente  emirato di Doha; Erdogan già allora si era schierato con Doha, offrendosi di inviare truppe di protezione. Ma  questo era ai tempi di Obama, che Erdogan ha accusato di aver tentato il colpo di stato per abbatterlo,  all’origine del quasi-rovesciamento delle alleanze turche in Siria.

Adesso, tutto lascia intendere da parte americana un ritiro ordinato e pianificato da Udeid, per giunta coordinato con Ankara, ossia con Erdogan. Il che lascia indovinare un’intesa rinnovata fra Ankara e il Pentagono –o forse mai venuta meno?

Questa intesa per una pacifico avvicendamento nella base del Katar viene nelle stesse ore in cui la NATO  ha criticato aspramente l’acquisto da parte di Ankara dei S-400 russi, ricevendo da Erdogan una rispostaccia sprezzante” Cosa vi aspettate? Dobbiamo aspettare voi? Noi ci occupiamo di garantire la nostra sicurezza su ogni punto”.   Le stesse ore in cui Ankara –  attraverso l’agenzia  di stato Anadolou  –  ha vantato  che con quei missili è in grado di abbattere tutti i modelli di aerei americani, citandoli  esplicitamente: “B 52, F22, Tomahawk…”

Ma soprattutto sono i giorni in cui i curdi dell’Irak stanno per tenere un referendum indipendentista  il 25 settembre, con il sostegno aperto di Israele, e sottotraccia degli Usa, che Erdogan vede come fumo negli occhi. “Non accetteremo il fatto compiuto”, ha sibilato il vice primo ministro turco Bekir Bozdağ, “non tollereremo passi che minacciano il nostro futuro,  prenderemo tutte le misure necessarie  a questo fine e le applicheremo  con decisione”. Le forze armate turche hanno   ampliato  una esercitazione militare che avevano in corso ai  confini con  l’Irak.

Insomma i rapporti fra Usa e Erdogan dovrebbero essere  pessimi: ma il pianificato e coordinato avvicendamento nella base di Al Udeid fa sospettare altro.

Anche perché Ankara   ha ammassato truppe e  carri armati  lungo la frontiera della Siria,  dice in base a  un accordo di de-escalation raggiunto ad Astana: secondo  il quale la Turchia “controllerà” una parte della provincia di Idlib, dove ci  sono anche “ribelli”  che la Turchia protegge.  La de-escalation in quella tormentata zona  sarà “un processo molto complicato –  scrive Jason Ditz – per il gran numero di  gruppi  islamisti rivali  che vi si affollano specialmente il Fronte al Nusra che non intende de-escalare”.  Al Nusra è stata sostenuta anzi guidata dagli americani anche nell’attacco proditorio contro  la polizia militare russa del 19 settembre.

Il convoglio turco avviato alla frontiera con la Siria.

Una situazione favorevole a voltafaccia e colpi ritorti di cui Erdogan sappiamo ben capace.  Nelle ultime ore, sembra persino che il gran turco abbia annacquato la sua opposizione al referendum di Erbil. Che ci siano accordi sottobando? Più che probabile.

“La  nuova nazione curda sarà  la tuttofare   per i clienti che hanno gestito il popolo curdo come marionette  attraverso  la loro oligarchia di comando: sì, parlo dei grassi conti in banche svizzere  e  dei molti anni di affiliazione con le agenzie di spionaggio di Israele,America, Turchia e Saudi”, scrive  Gordon Duff di Veterans Today,  che  è stato ad Erbil durante la guerra del Golfo come ufficiale dei Marines.  I conti in Svizzera sono una delicata allusione al clan familiare  Barzani, immarcescibile guida dei curdi iracheni  e facile ad allearsi coi migliori offerenti. Da  anni, dopo la caduta di Saddam,  i Barzani hanno reo il Curdistan iracheno una dependance di Israele.

“Gli hotel di Erbil”,   continua Duff, “sono stati per anni sede degli ISR teams  (cosa andate a pensare: Intelligence/Reconnaissance/Surveillance) che hanno fatto dell’ISIS una forza di cui tener conto. Erbil, col suo aeroporto internazionale, era il vero quartier generale dell’ISIS. “Uomini d’affari” di compagnie  petrolifere immaginarie andavano e venivano, agenzie di sicurezza li scortavano  “al fronte”, dove la loro esperienza, il loro equipaggiamento hi-tech, i loro occhi,  orecchie e pianificazione strategica erano per lo Stato Islamico Al Nusra, la Armata Siriana Libera (Anti-Assad) e una decina di altri gruppi.

Quanto al Mossad, c’era già da molto prima.  Del resto, almeno 200 mila israeliani  vengono da lì, dal Kurdistan iracheno, parlano la lingua e conoscono i costumi. “Israele usò i curdi per infiltrare l’Irak, spiare i programmi militari di Saddam e comprarsi l’accesso alle tribù dissidenti che avrebbero avuto  peso dopo la fine di Saddam.  Forse è stata Israele a manovrare Saddam inducendolo ad invadere il Kuweit….”.

Come che sia, un nuovo  stato curdo sarà una filiale di Sion alle spalle dell’Iran,  che indebolisce l’Irak sciita   e sta a ridosso  della Siria, una minaccia ravvicinata contro lo stato-canaglia du jour, Teheran,   a cui fare la guerra.  Soprattutto, “è dal 2005 che Netanyahu caldeggia la necessità di costruire un oleodotto da Kirkuk e Mossul (città irachene sotto controllo curdo) al Mediterraneo,  attraverso la Siria, per garantire ad Israele una fonte costante  di energia”, ha spiegato Ahmed Al Sharifi, esperto militare iracheno.  Conferma Gordon Duff: i curdi non solo siedono su enormi riserve di greggio e gas, ma “possono essere formati in una nazione a forma serpentina  che si prolunga da vicino al Mediterraneo in Siria, lungo la nazione, attraverso l’Irak e fino all’Iran sul Caspio”.  Insomma la nazione amica ideale per Netanyahu, spina nel fianco della mezzaluna  sciita.

Ma  Erdogan? Certo non sarebbe contento.  Ma se  invece sì?

Tayyip Erdogan e Masoud Barzani (qui nel 2013)   non sono stati mai nemici: l’odore dei soldi li affratella.  

Duff ragiona: “Se l’America  sotto Trump è, come molti sospettano, uno stato   cliente Israelo-Saudita”, uno stato curdo in quella posizione “non è forse certamente l’invito ad un nuovo tentativo di Saudi Arabia, Israele ed Usa di usarlo come piattaforma per muovere contro l’Iran e aprire una nuova stagione di terrorismo nella regione?”.

In questo caso, ad Erdogan potrebbe convenire unirsi a questa alleanza, ritenendola vincente – e pagante.   magari potrebbe aver  ottenuto una compensazione per la sua accettazione di uno stato curdo in Irak? Che riguarda un pezzo di Siria occupato dall’ex PKK? Per lui sarebbe tornare insomma alla vecchia strategia che aveva dovuto abbandonare,  che i russi gli hanno rovinato:  abbattere Assad e impadronirsi di una parte della Siria  petrolifera. Ricordiamoci che la famiglia Erdogan ha sostenuto l’ISIS e comprato il petrolio che quello rubava all’Irak.  Il piano di sostituzione degli americani nella base di Al Udeid potrebbe avere dato l’occasione per l’aggancio? Alla prossima puntata.

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