VERITA’ DELL’EUCARESTIA – di Luigi Copertino

VERITA’ DELL’EUCARESTIA

Non essendo lo scrivente un teologo, questa riflessione non ha nessuna pretesa “dottrinaria” o “magisteriale”. E’ soltanto la testimonianza di un semplice Christi fidelis (neanche tanto, in verità, sotto il profilo morale visto che, come tutti, anche lo scrivente è un peccatore).

Partiamo dalla constatazione che, pur essendosi spinto dopo il Vaticano II fino a raggiungere punte inusuali ed estreme, non senza spericolate acrobazie teologiche, il dialogo tra Chiesa cattolica e “chiese” luterane tuttavia esso è rimasto incagliato sul tema dell’Eucarestia, nonostante le sempre più insistenti spinte alla comunione inter-confessionale. Il fatto non mi è mai sembrato strano. Anzi è del tutto logico e conseguente.

Allo scrivente, nella sua esperienza di fede, una cosa è assolutamente irrinunciabile – e lo è, si badi, in nome di quella Kenosis che Francesco d’Assisi salutava quale essenza misericordiosa dell’Incarnazione – ovvero la possibilità, “scandalosa” per gli “spirituali”, di poter toccare Dio nella Sua Carne. Gli spirituali non accettano la prospettiva che Dio possa amare la carne, così sporca, così lurida, soprattutto se è quella dei poveri, tanto da farsi uomo. Stando alla Rivelazione il primo tra gli spirituali fu Lucifero, il quale si ribellò proprio perché gli apparve inconcepibile che Dio volesse “insozzarsi” con la carne ed abbassarsi al livello della creatura. Non è un caso se quella che il Vangelo chiama “sapienza del mondo” è sempre altamente spirituale.

Al contrario il buon cristiano non può che essere “materialista”. Infatti, se Dio non si fa toccare nella Sua Carne, non solo l’uomo resta fuori dalla Sua dimensione ma addirittura Egli gli resta estraneo. Senza l’intermediazione dell’Incarnazione è impossibile a qualunque uomo, anche al più dotto ed al più spirituale, entrare nella dimensione di Dio e divinizzarsi. San Tommaso apostolo non fu rimproverato da Nostro Signore Gesù Cristo perché voleva toccare le Sue Sante Piaghe, tanto è vero che gliele porse, ma perché non credette al racconto dei suoi amici. Cristo, al contrario di quel che pensano gli spirituali, ci invita a toccare la Sua Carne per farci rendere conto – ponendosi al nostro livello di creature umane che a differenza degli angeli hanno anche un corpo – che Egli non è una idea, un’astrazione, ma Luce di per Sé inaccessibile la quale tuttavia si offre kenoticamente alla nostra esperienza necessariamente corporale.

Per questo Egli ci ha lasciato l’Eucarestia che E’ la Sua Carne. Essa non è il “simbolo” della Sua Carne. Né in Essa Lui si congiunge soltanto in un modo meramente evanescente ossia consustanziale restando la Sua Sacra Divino-Umanità separata dalla materia delle specie eucaristiche. Nell’Eucarestia avviene ben altro che una eterea “consustanziazione”! Anche la scienza oggi attesta la possibilità della trasmutazione atomica della materia. La transustanziazione, dunque, se non razionalmente spiegabile, è del tutto certamente comprensibile laddove si riconosca la possibile coesistenza della trasformazione sostanziale, atomica, e la persistenza fenomenica dell’apparenza.

I miracoli eucaristici, che – attenzione! – non sono cosa di tempi passati ma accompagnano tutta la storia della Chiesa, tanto è vero che anche nei nostri anni ne sono avvenuti e ne avvengono molti, ci consentono di constatare con i nostri sensi, grazie alle analisi scientifiche compiute su di essi, la realtà per la quale le specie si trasformano nella Carne di Cristo, nel Cuore per l’esattezza (e questo ci ricollega alla profondità mistica, “graalica”, della Realtà del Sacro Cuore).

Le specie eucaristiche non si giustappongono semplicemente ad una evanescente “presenza spirituale” ma subiscono una trasformazione, nell’essenza della loro costituzione atomica, pur continuando ad essere percepite fenomenologicamente come inalterate. I risultati dell’analisi scientifica sui miracoli eucaristici lo confermano in modo irrefutabile. In Abruzzo, residenza dello scrivente, abbiamo il caso del miracolo eucaristico di Lanciano, in provincia di Chieti, risalente al secolo VII. Le risultanze istologiche degli esami effettuati su di esso, nel 1970, sono indiscutibili: trattasi di un cuore umano al completo e di sangue umano di gruppo AB. Lo stesso gruppo sanguigno del sangue riscontrato sulla Sindone ed in tutti gli altri miracoli eucaristici. Il gruppo AB è quello tipico delle popolazioni semitiche.

Questo genere di considerazioni probabilmente lasceranno indifferenti i teologi alla moda che vogliono la canonizzazione di frate Martino. A questi teologi “spirituali” è ostico il sano “materialismo cristiano”. Per essi è troppo rozzo e devozionale accettare la transustanziazione. Una cosa, a loro giudizio, da spiritualmente incolti.

Quindi chi, come lo scrivente, vuole toccare Dio nella Sua Carne non può sfuggire al giudizio spregiativo degli spirituali. Tuttavia benché rozzo, spiritualmente incolto e devoto, qualche notizia teologica e storica circa la discussione, precedente allo stesso Lutero, sull’Eucarestia è pervenuta anche allo scrivente.

Il quale è perfettamente al corrente, ad esempio, che il dogma eucaristico fu compiutamente definito soltanto dal IV Concilio Laterano e dal Tridentino – i dogmi, infatti, come anche quelli dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione di Maria, altro non sono che verità da sempre credute dalla Chiesa e che soltanto le circostanze dinamiche della storia hanno poi reso necessario, ad un certo momento, definire in una formula dogmatica – e che, prima di tali Concili, dotti teologi hanno discusso per secoli sull’Eucarestia ponendosi persino ridicoli problemi come quello del residuum stercorarium (dove finisce l’Eucarestia una volta digerita?).

Berengario di Tours, maestro arcidiacono dell’XI secolo – che fu protetto, fino ai limiti del possibile, da Ildebrando di Soana, il futuro Gregorio VII, il quale si dimostrò verso di lui molto più paziente di altri – a causa di un mal impostato aristotelismo (succede quando si è più aristotelici che cristiani, errore dal quale si tenne lontano l’Aquinate) riteneva che se si trasforma la sostanza anche gli accidenti devono necessariamente farlo, sicché le specie consacrate dovrebbero anche visibilmente, tattilmente e gustativamente diventare carne. Berengario, tuttavia, non si rendeva conto che se si presentassero fenomenologicamente in guisa di carne anche le apparenze delle specie consacrate, come accade nei miracoli eucaristici (i quali si caratterizzano come tali proprio perché anche le apparenze si mostrano nella realtà carnale), sarebbe per noi impossibile accostarci al Corpo di Cristo assaporando il gusto intenso della carne e del sangue umani.

Quelle di Berengario, di Lutero, e simili, sono, scusate il termine, “masturbazioni mentali” di gente di poca fede, di “dotti” che, nella loro sapienza mondana, non hanno mai preso in considerazione quanto attestano i mistici. Questi infatti, sulla base della loro esperienza straordinaria, spiegano che la stessa materia delle specie consacrate, quindi transustanziate, interagisce con il nostro corpo iniziandone sin da ora, qui sulla terra, la “trasfigurazione gloriosa”. E questo è attestato non solo nella Tradizione cattolica ma anche in quella ortodossa. Cito da Pavel Nikolaievic Evdokimov “Teologia della Bellezza” (Paoline, 1990) p. 118: «Le parole dell’istituzione eucaristica, “questo è il mio corpo”, indicano il corpo vivente, il Cristo tutto intero che conferisce ad ogni comunicante una consanguineità e una concorporalità vivificante (La preghiera di s. Simeone Metafraste dopo la santa comunione sottolinea: “Tu che mi hai dato la tua carne in nutrimento … penetra tutte le mie membra, tutte le mie articolazioni, i miei reni e il mio cuore … fortifica le mie gambe e le mie ossa e stabiliscimi tutto nel tuo amore”). Così pure “il Verbo si è fatto carne” vuol dire che Dio ha assunto la natura umana nella sua totalità e in essa tutto il cosmo. E la “risurrezione della carne” di cui parla il Credo confessa la ricostituzione dell’uomo tutto intero, anima e corpo: perciò “ogni carne vedrà la salvezza di Dio” …».

Persistendo nella sua ignoranza teologica e storica, un’altra cosa è sempre apparsa chiara ed evidente allo scrivente – certamente perché manchevole della “sapienza del mondo” – ossia che l’attacco all’Eucarestia è stato costantemente condotto lungo i secoli, anche prima di Lutero (il quale semplicemente si aggiunge alla sequela eterodossa, non la apre), da parte di tutte, nessuna esclusa, le posizioni eterodosse: dagli gnostici dei primi secoli cristiani ai catari, da Berengario agli hussiti, fino appunto a frate Martino. Negare la Presenza Reale nell’Eucarestia – dove Reale deve intendersi sia nel senso di reale che nel senso di regale – significa, infatti, negare a Cristo gli attributi universali di Sacerdos et Rex al modo di Melchisedek e, quindi, negare la Visibilità e Corporeità stessa della Chiesa, perché una Chiesa carnale, visibile, corporea dà fastidio mentre una “chiesa spirituale”, ridotta soltanto alla “sola fides”, all’interiorità soggettiva dell’individuo, è esattamente quel che vuole il mondo e, in particolare, il mondo moderno.

Dietro la polemica di Lutero contro le indulgenze, benché in apparenza fondata sulla innegabile corruzione ecclesiale del suo tempo, c’era in realtà questa avversione alla Chiesa visibile, carnale, corporea, gerarchicamente fondata sul Sacerdozio Regale di Cristo. Tutta questa avversione alla carne, è bene ripeterlo, deriva dallo spiritualismo disincarnante che ha ambigue e lontane radici: quelle della primordiale protesta angelica contro lo scandalo dell’Incarnazione.

Che Lutero fosse in profondità un medioevale, che la sua fosse una cultura teologica molto medioevale, come ricordano alcuni, è vero. E’ anche vero che la sua rivendicazione del primato di Dio è in sintonia con la Rivelazione. Si tratta della questione degli “initia Lutheri”. Tuttavia se poi le cose si sono sviluppate nel modo nel quale sappiamo è perché in quegli stessi “initia” già serpeggiava l’equivoco che si sarebbe manifestato successivamente, e non solo per l’irrigidirsi delle reciproche posizioni. Siamo, del resto, sicuri che Lutero si ricollegasse ad Agostino nel rivendicare la priorità dell’iniziativa di Dio e non agisse invece in lui una idea disequilibrata del rapporto tra l’iniziativa di Dio e la pur necessaria risposta dell’uomo? Uno squilibrio teologico prodotto, se non dal riemergere, quantomeno dal conquistare terreno da parte di un certo spiritualismo, unilateralmente apofatico (il cui problema stava in questa unilateralità che svalutava la materia, la dimensione catafatica), presente anche durante il medioevo ma trionfante con l’umanesimo e con il ritorno di un platonismo “pagano” (diverso da quello “cristianizzato” dei Padri della Chiesa)? Il collegamento tra Lutero e questa equivoca spiritualità di ritorno è stato ampiamente dimostrato da Theobald Beer in un’opera importante purtroppo pubblicata solo in tedesco e della quale, comunque, sono circolate recensioni e sunti in italiano (1). E’ pertanto evidente che se Lutero era monaco agostiniano, dal canto suo Agostino non era però luterano.

Insomma Lutero non ha inventato nulla perché si è limitato soltanto a raccogliere gli sparsi liquami di equivoche correnti spirituali già ben note prima di lui. Tra le posizioni “puriste” e “rigoriste” dei catari, dei luterani e dei puritani corre un innegabile, benché carsico, filo rosso. Pertanto, qualsiasi dialogo tra Chiesa cattolica e luterani non può prescindere dalla chiarezza delle reciproche posizioni intorno alla realtà dell’Eucarestia in quanto Essa o è Reale Presenza oppure possiamo chiudere la baracca, gettare alle ortiche la nostra fede cattolica, magari bruciare le “fandonie” raccontate nei loro scritti da tutti quei santi e mistici che letteralmente piangevano di fronte al mistero eucaristico, e quindi ritirarci a vita privata chiedendo scusa all’umanità per averla infastidita per secoli con l’assurda pretesa del nostro materialismo cristiano di vedere e toccare Dio.

Luigi Copertino

NOTE

1) Cfr. Theobald Beer “Der fröhliche Wechsel und Streit. Grundzüge der Theologie Martin Luthers”, Johannes Verlag, Einssiedeln, 1980.