Un segno che apre alla speranza

https://twitter.com/cinico_realista/status/1724385107664920857

https://twitter.com/cinico_realista/status/1724388845095981406

https://twitter.com/cinico_realista/status/1724385344353665354

https://twitter.com/cinico_realista/status/1724389893579616378

https://twitter.com/giampdisan/status/1724676902575550483

Il motivo della speranza:

I militari israeliani hanno massacrato a colpi di armi da fuoco l’uomo anziano e invalido, che si spostava usando un bastone . Prima hanno sfruttato l’uomo per scattare alcune foto foto di propaganda, per mostrare come loro sono amichevoli con i palestinesi che si spostano dal nord a sud di Gaza per fuggire dai bombardamenti israeliani. Una volta pubblicata la foto di propaganda gli assassini sionisti hanno ucciso l’uomo abbandonando il suo cadavere per strada. Lui fu trovato dalla nipote che ha fotografato e divulgato questa storia.

massacrato

Il fondamentalismo razzista dello Stato di Israele

Don Curzio Nitoglia

Prologo

Per capire le ragioni prossimamente remote di quanto succede in Palestina in questi giorni è bene studiare la questione ebraico/palestinese alla luce della storia del sionismo e soprattutto della sua filosofia.Per essere obiettivo e imparziale, in un tema così delicato e scottante, mi sono basato sui libri di un autore ebreo (Israel Shahak), internato dal 1943 al 1945 nel campo di lavoro di Bergen-Belsen ove perse i genitori.

Israel Shahak è nato a Varsavia il 29 aprile 1933. Dal 1943 al 1945 ha trascorso due anni nel campo di lavoro di Bergen-Belsen. Finita la guerra, ha raggiunto la Palestina nel ‘45. Nel 1963 si è laureato in chimica e si è recato negli USA per specializzarsi. Nel 1973 è stato nominato professore all’università ebraica di Gerusalemme. Perseguitato, ma anche rispettato per il suo rigore intellettuale, dagli Ebrei stessi, a causa delle sue denunce del razzismo che anima il sionismo e lo Stato israeliano che ne è nato; è stato più volte minacciato anche di morte, ma ha continuato tranquillamente la sua missione sino alla morte sopravvenuta il 2 luglio 2001.

Il professor Israel Shahak, nel 1975, ha scritto un libro (1), nel quale riporta una serie di fatti che denotano la concezione razzista sulla quale si basa lo Stato israeliano.

«Nello Stato ebraico – scrive lo Shahak – solo gli Ebrei sono considerati come esseri umani, i non-ebrei hanno uno statuto che è riservato agli animali» (2).
E continua: «Nello Stato ebraico, solo i cimiteri ebrei sono sufficientemente rispettabili perché non li si distrugga. Gli altri cimiteri sono distrutti senza esitazione se ve n’è bisogno. L’Hotel Hilton a Tel Aviv, per esempio, è stato costruito sull’antico cimitero di Jaffa (…) nella maggior parte dei villaggi palestinesi che furono distrutti nel 1948, i cimiteri furono rasi al suolo» (3).

Inoltre – prosegue – «Vi sono degli ebrei che non sono ebrei, sembra uno scherzo ma è realtà. Vi sono delle persone, la cui nonna non è ebrea. Secondo la legge ebraica, una persona è ebrea se sua madre e sua nonna sono ebree (…). Se si scopre (…) che la nonna di un israeliano non era ebrea, si cerca di confiscargli la carta d’identità per cambiare la denominazione da ebreo a non-ebreo» (4).

Per quanto riguarda le prigioni israeliane, lo Shahak c’insegna che i carcerati comuni «sono spogliati (…) e, certe volte, privati di cibo». (5) Nella striscia di Gaza «1°) I prigionieri sono malmenati abitualmente; 2°) Hanno diritto a una passeggiata di 15 minuti ogni due-tre giorni; 3°) Il silenzio assoluto è imposto loro. Certe volte si versa acqua fredda sui vestiti dei prigionieri, la sera, e li si lascia così tutta la notte» (6).

Lo Shahak parla, inoltre, delle persecuzioni contro i cristiani: «La persecuzione dei cristiani, e specialmente delle famiglie miste, aumenta in Israele. Pressioni sociali e governative sono messe in atto per convertirle al giudaismo o per separarle del tutto. Inoltre, la polizia israeliana, in questi ultimi mesi [del 1975] si è costantemente rifiutata di proteggerli contro gli attacchi del popolo. (…) Un esempio di tali persecuzioni è dato dal giornale Yediot (26 marzo 1973): una famiglia di 5 persone, con un padre ebreo e una madre non-ebrea, 2 figli e 1a figlia è arrivata dalla Polonia in Israele, presso un kibbutz. Quando si è saputo che la donna era goy, i membri del kibbutz cominciarono a insultarla e “suggerirono” al marito di divorziare. Siccome rifiutava, li obbligarono a lasciare il kibbutz, poi qualcuno attentò alla vita del padre sparandogli di notte. La famiglia si rifugiò nella città di Beth-Shemesh; ma, lì le persecuzioni s’aggravarono. Non potevano uscire da casa senz’essere malmenati. La gente s’affacciava alle finestre e gridava: “Dovete essere sterminati! Siete goyim!”. La polizia si rifiutò di proteggerli … » (7).

I territori occupati

Per quanto riguarda i territori occupati, lo Shahak scrive: «A mio avviso, il regime israeliano, nei territori occupati, è uno dei più crudeli e dei più repressivi che abbia conosciuto la storia moderna; la prima cura delle autorità d’occupazione è stata quella di organizzare l’espulsione in massa dei palestinesi dalla loro patria, che è durata sino all’agosto del 1968» (8).
Lo Shahak accusa lo Stato d’Israele di violare sistematicamente la Convenzione di Ginevra: «Prendiamo l’esempio della distruzione delle case quando le autorità d’occupazione arrestano un sospetto, prima ancora che sia giudicato, si dà l’ordine di distruggere la casa ove abita. Certe volte essa appartiene alla famiglia, ma non sempre. Non s’insiste mai troppo sulla barbarie di un tal comportamento. Delle persone che, secondo le autorità israeliane stesse, sono innocenti, si ritrovano così spodestate. Dei bambini, dei vecchi, donne, malati sono messi in mezzo alla strada, senza considerare le condizioni metereologiche, questo è un esempio di punizioni collettive che sono formalmente proibite dalla convenzione di Ginevra» (9).
I dibattiti tra governo e pseudo-liberali riguardano unicamente se il fatto sia utile o no allo Stato israeliano. «Non c’è, in Israele, il diritto, di dire che il fatto d’infliggere a un bambino innocente un castigo crudele è un atto barbaro e abominevole, una tale asserzione sarebbe considerata come una calunnia, poiché si tratta di palestinesi, di non-ebrei, che sono considerati come esseri non-umani» (10).

Quanto alle espulsioni individuali l’Autore scrive: «Le espulsioni individuali son continuate anche dopo il 1968. In questi casi succede così: i rappresentanti delle autorità israeliane entrano nella casa d’un uomo, nel cuore della notte. Gli si dà una mezz’ora o un’ora per prendere gli oggetti personali, poi questi uomini sono riuniti in gruppo nella valle del Giordano. Là, li si obbliga, malmenandoli e minacciandoli di sparare loro, di traversare il Giordano ben inteso non sono ufficialmente accusati di nulla di preciso, di modo che non possono difendersi …» (11).

Per quanto riguarda l’installazione di colonie ebraiche nei territori occupati, lo Shahak spiega che si tratta ancora una volta d’una violazione della convenzione di Ginevra. «Le terre confiscate divengono luoghi ove solo gli Ebrei hanno diritto di vivere» (12).
Il terrorismo anche ebraico

Lo Shahak parla anche del terrorismo ebraico e cita il caso Meir Har-Zion «il quale ha rivelato lui stesso, in numerose interviste alla stampa israeliana, che tipo di assassino fosse, e con quale piacere uccidesse. Quanto gli piacesse uccidere un arabo, soprattutto con il coltello (Ha’ aretz, Supplemento, 9 novembre 1965) racconta come domandò al suo comandante il permesso di uccidere, con il suo coltello, un pastore arabo disarmato, e descrive con una gioia sadica come il suo compagno tenesse fermo il povero arabo, mentre lui stesso gli infilzava il pugnale alle spalle, e come sgorgasse il sangue. Ora, quest’uomo è considerato dalla maggior parte degli israeliani come un eroe nazionale. È stato lodato, e proposto come un modello alla gioventù dal ministro della Difesa e dal generale comandante la regione sud (Moshe Dayan e Ariel Sharon)» (13).

In un articolo pubblicato sul Sunday Times del 15 novembre 1998, Uzi Mahnaim e Marie Colvin scrivono: «Israele sta lavorando su un’arma biologica in grado di colpire gli Arabi, ma non gli Ebrei (…). Nello sviluppo della loro ‘bomba etnica’, gli scienziati israeliani stanno cercando di sfruttare i progressi della medicina per identificare i geni distintivi di alcuni arabi (…). Il dottor Daan Goosen, direttore di un impianto sudafricano per la guerra chimica e biologica, ha detto che negli anni Ottanta la sua squadra aveva ricevuto l’ordine di sviluppare un’arma a ‘pigmentazione’, capace di colpire soltanto persone di pelle nera. (…).
Foreign Report, una pubblicazione che segue da vicino le questioni di sicurezza e di difesa, cita fonti sudafricane imprecisate, secondo le quali gli scienziati israeliani avrebbero usato in parte le ricerche sudafricane per cercare di sviluppare una ‘pallottola etnica’ contro gli Arabi. (…) Port Down, la sede della struttura britannica di difesa, ha affermato la settimana scorsa, che tali armi erano teoricamente possibili» (14).

Ogni cellula del corpo di un Ebreo contiene la divinità

Il rabbino Ginzburgh in un’intervista a The Jewish Week diceva: «se ogni cellula del corpo di noi Ebrei contiene la divinità, è una parte di Dio, allora anche le sequenze del nostro DNA sono una parte di Dio. Per questo c’è qualcosa di speciale nel DNA di noi Ebrei. La vita ebraica ha un valore infinito. C’è qualcosa in essa infinitamente più sacro ed unico di quanto non vi sia nella vita dei non ebrei» (15).

Lo Shahak stesso racconta: «Avevo visto con i miei occhi, a Gerusalemme, un Ebreo ultra-ortodosso, rifiutare che si utilizzasse il suo telefono, di sabato, per chiamare un’autoambulanza, per soccorrere il suo vicino di casa non-ebreo, colpito da un grave malore. (…) Ho domandato un’udienza al tribunale rabbinico di Gerusalemme, che è composto di rabbini nominati dallo stesso Stato d’Israele. Ho chiesto loro se questo modo di fare si accordasse con la loro interpretazione della religione ebraica. Mi hanno risposto che l’Ebreo in questione s’era comportato correttamente, ed anche piamente, e mi hanno rinviato ad un certo versetto di un compendio delle leggi talmudiche compilato nel nostro secolo: (…) un Ebreo non deve violare il sabato, per salvare la vita ad un non-ebreo» (16).

È uscito, l’anno scorso, un terzo interessante libro dello Shahak, che parla delle ricerche e degli esperimenti nucleari dello Stato israeliano, s’intitola Jewish Fundamentalism in Israel, Open secrets (Pluto Press, Londra, 1998).

Mentre nel 1999 è uscito il quarto libro di Shahak coadiuvato da Norton Mezvinsky, dal titolo simile al secondo: The Jewish Fundamentalism in Israel, che tratta del come e del perché il fondamentalismo abbia peso nella politica dello Stato laico d’Israele. Questi argomenti rientrano nel soggetto che tratto nel presente libro, perciò ne traggo i saggi insegnamenti ivi contenuti e li porgo al lettore.

Il “fondamentalismo” ebraico e lo Stato “laico” d’Israele

L’Autore analizza alcune realtà dello Stato d’Israele, note solo agli israeliani colti ma sconosciute fuori d’Israele.

Il fondamentalismo – spiega lo Shahak – ha una notevole importanza politica in Israele e, quindi, nel Medio Oriente e negli USA.

«Il “Fondamentalismo ebraico” può essere definito come certezza che gli insegnamenti contenuti nel Talmud e nella letteratura halachica, sono ancora validi e lo resteranno per l’eternità. I fondamentalisti ebrei credono che la Bibbia considerata in se stessa non abbia, alcuna autorità, invece se è interpretata secondo gli insegnamenti talmudici, allora soltanto, acquista una certa autorità (…). Il fondamentalismo israeliano ha molte sfaccettature. Per esempio, molti fondamentalisti vogliono ricostruire il Tempio sul luogo ove ora stanno le Moschee del Monte del Tempio a Gerusalemme» (17).

Per capire appieno la realtà dello Stato israeliano e il ruolo che gioca su di esso il fondamentalismo, occorre dividere Israele in due partiti: il primo può esser chiamato Israele “A”, che sarebbe la sinistra politica, rappresentata dai Laburisti; il secondo è Israele “B”, che è la destra politica, rappresentata dal Likud e dai vari partiti religiosi.

«Quasi tutti gli Ebrei di Israele “A” e la grande maggioranza di Israele “B” aderiscono all’ideologia sionista la quale sostiene che tutti gli Ebrei o la maggior parte di essi devono immigrare in Palestina, che, poiché terra d’Israele, appartiene a tutti gli Ebrei e deve diventare uno Stato ebraico. Mentre, i fondamentalisti o ultra-ortodossi non accettano questo punto di vista.

Esiste una grande animosità tra le due parti (“A” e “B”) d’Israele, la ragione principale di tale ostilità va ricercata nel fatto che Israele “B” simpatizza per il fondamentalismo ebraico, mentre Israele “A” no» (18).

«Ma», prosegue l’Autore, «occorre suddividere gli Ebrei religiosi in due gruppi assai diversi: a) gli Haredim, più estremisti, che costituiscono circa il 13% dell’ebraismo israeliano;
b) gli Ebrei Nazional religiosi, organizzatisi nel Partito Nazional Religioso (NRP), più “moderati” (rispetto agli Haredim) che costituiscono l’11% degli ebrei israeliani» (19).

Ora, ci si chiede come facciano gli Haredim, che sono un piccolo partito, a imporre la loro volontà al resto della società. La risposta è che v’è una particolare affinità tra tutti i partiti religiosi e fondamentalisti con il Likud e con la destra in genere; hanno tutti la stessa visione del mondo e pensano che il trionfo di Israele sui non-ebrei sarà certo. Tuttavia, vi sono delle differenze: l’NRP crede che la redenzione sia già iniziata e che presto si compirà con la venuta del Messia; mentre gli Haredim non condividono tale opinione. Inoltre «per la maggior parte dei sostenitori del Likud, il “sangue ebraico” distingue nettamente Ebrei e non-ebrei. Mentre per gli Ebrei religiosi ortodossi il sangue dei non ebrei non ha nessun valore intrinseco, per gli Ebrei del Likud esso ha un certo valore anche se limitato» (20).

Anche la questione della normalità divide la destra dalla sinistra, che aspira alla normalità, vuole cioè che Israele sia una Nazione come le altre. Invece, la destra intera disprezza tale normalità, (poiché gli Ebrei sono esseri eccezionali, diversi dagli altri), venera il passato e crede che Dio abbia reso gli Ebrei “unici al mondo” diversi da tutti, e che essi siano predestinati a esserlo.

«Altro motivo d’affinità tra destra politica, ed Ebrei fondamentalisti, consiste nel fatto che i religiosi sono in grado di fornire argomenti convincenti sulla necessità che gli Ebrei regnino sulla Palestina in perpetuo, e sul fatto che bisogna negare certi diritti ai Palestinesi a causa dei diritti conferiti agli Ebrei da Dio su quella terra. Mentre, i politici o gli intellettuali laici del Likud, spesso, sono estranei al passato storico ebraico e non sanno parlarne con competenza, quindi solo i religiosi sanno fornire una base ideologica alla politica del Likud, basata sul fatto di reputarsi ancor oggi il “popolo eletto” da Dio. Tutto ciò offre una spiegazione delle concessioni fatte ai religiosi» (21).

Per quanto riguarda il mondo degli Haredim, il professor Shahak c’insegna che: «Il mondo Haredi è “giudeo-centrico”. L’essenza della filosofia Haredi è che un abisso insormontabile separa gli Ebrei da tutti i non-ebrei» (22).

Gli Haredim pongono un’obiezione al sionismo: essa si fonda sulla contraddizione esistente tra il giudaismo classico, del quale gli Haredim sono i continuatori, e il sionismo, «in un passo del Talmùd del Trattato Ketubot, si dice che Dio ha imposto agli Ebrei dei giuramenti, alcuni dei quali sono in aperto contrasto con il sionismo, per esempio: gli Ebrei non possono immigrare in Palestina, come gruppo, in massa, prima della venuta del Messia. I rabbini del NRP affermano invece che i suddetti giuramenti, non s’applicano durante il tempo messianico e che, sebbene il Messia non sia ancora apparso, il tempo messianico è già iniziato e che con l’inizio della redenzione non si deve dare nessuna parte di terra d’Israele ai non ebrei» (23).

Una parte della realpolitik d’Israele, si spiega facilmente alla luce degli insegnamenti dei rabbini Joseph e Shach, secondo i quali non appena gli Ebrei fossero diventati abbastanza potenti, avrebbero avuto l’obbligo religioso d’espellere da Israele tutti i non-ebrei e di distruggere tutte le chiese cristiane poiché sono idolatre poiché adorano Gesù come Dio. Tuttavia, per Rabbi Joseph il tempo messianico della redenzione non è ancora giunto, quindi ci si deve ritirare dai territori occupati, poiché Dio non sarebbe obbligato a salvare delle vite ebree in una guerra di conquista sino a che gli Ebrei non diventeranno più forti, e solo allora potranno applicare l’obbligo religioso di cui sopra. Il punto di vista dei due rabbini, fa parte del cuore della filosofia politica dei falchi in Israele.

Il ragionamento dei due rabbini è questo: «Gli Ebrei di fatto non sono ancora più potenti dei non-ebrei, non sono in grado di cacciare i non-ebrei, anzi li temono perciò il comandamento divino non è ancora valido. Persino non ebrei idolatri [i cristiani che adorano Gesù come Dio; mentre i musulmani non sono idolatri per l’ebraismo ortodosso, poiché non adorano Maometto ma lo venerano come un profeta, ndr] vivono tra noi senza che vi sia possibilità d’espellerli. Il governo israeliano è obbligato da una legge internazionale a mantenere la chiese cristiane [idolatre] in Israele. La situazione è questa, malgrado che la nostra legge religiosa ci ordini di distruggere ogni idolatria e i suoi seguaci sino a estirparli dalla faccia della terra» (24).

I pacifisti e parte della sinistra israeliana lodavano i due rabbini, ma ritenevano una sola parte del loro pensiero: l’abbandono dei territori occupati; mentre nascondevano l’altra: non appena saremo più forti, distruggeremo gli idolatri, i loro templi e cacceremo i non-ebrei [Palestinesi] dalla terra di Palestina.

«Le opinioni dei due rabbini sono chiaramente simili a una gran parte della politica estera dello Stato d’Israele. Gli Ebrei hanno il dovere religioso di espellere i cristiani dallo Sato d’Israele soltanto se, così facendo, non mettono in pericolo vite ebree» (25).
L’influsso “Haredi” sullo Stato d’Israele

Gli Haredim ebbero un grande successo alle elezioni del 1988 e a quelle del 1990, così che poterono imporsi alla maggioranza laica. Secondo Shahak, «una corretta comprensione della politica della destra israeliana, presuppone una buona conoscenza dei principii politici fondamentali degli Haredim» (26).

Essi esercitano una grande pressione nel campo dell’educazione, che consente loro di influenzare la futura classe politica.

«Gli Haredim hanno sempre istruito i loro figli e i figli degli altri Ebrei che erano loro affidati. Hanno esercitato la loro influenza su molti Ebrei per mezzo del potere che avevano direttamente nelle loro scuole o influenzando indirettamente i membri delle altre scuole ebraiche. Durante il secolo XX, essi hanno cercato di mantenere l’istruzione ebraica com’era stata nella Diaspora, prima che l’Illuminismo influenzasse la società ebraica. Dopo il 1980, grazie ai generosi aiuti del Governo israeliano, hanno potuto mantenere e stabilizzare l’antico ordinamento degli studi in varie cittadine, piuttosto povere e nelle zone più povere delle grandi città; con lo scopo di continuare a esercitare la loro influenza nel campo dell’istruzione su una parte sempre maggiore delle generazioni giovanili d’Israele … » (27).

Le materie non strettamente religiose, come la matematica, le lingue straniere, la scienza naturale non sono insegnate nelle loro scuole, anzi «la maggior parte della Bibbia è esclusa dall’insegnamento. Dopo aver studiato soltanto il Pentateuco, col supporto del commento di Rabbi Shlomo Ytzaki († 1099), gli allievi passano direttamente allo studio delle parti più facili del Talmùd. Dopo otto anni, i meno bravi sono indirizzati a imparare diversi mestieri, mentre i migliori sono ammessi in una yeshiva (scuola superiore) […]. Gli studenti che superano il livello più alto della yeshiva dedicano tutta la loro vita soltanto alla letteratura talmudica. È loro proibito di avere qualsiasi contatto con i miscredenti. L’autorità dell’insegnante è totale ed assoluta» (28).

Naturalmente questo tipo di educazione ha creato, non solo Haredim, ma anche dei dissidenti.

Per gli Haredim la santità e lo studio del Talmùd e della Càbala sono fondamentali. «Essi credono che tutto ciò che di buono avviene agli Ebrei, dipenda dalla virtù che emana da persone che si impegnano negli studi sacri» (29).

Anche i lutti o le sconfitte degli Ebrei, sarebbero causate dalla mancanza di fervore di quest’ultimi, che attirerebbe il castigo di Dio sul popolo ebraico. «Vi sono molti rabbini Haredi che sostengono che la Shoah è stata una punizione divina meritata, non solo a causa di tutti i peccati di “modernità”, ma anche perché lo studio del Talmùd era in decadenza nell’Europa degli anni Quaranta» (30).

Per quanto riguarda la psicologia Haredi, lo Shahak spiega che: «Gli Haredim e molti fondamentalisti ebrei d’Israele, vivono psicologicamente, in un tempo diverso da quello attuale in cui agiscono altri ebrei laici. I primi non hanno fatto il passo dei tempi moderni, dall’Illuminismo in poi, i secondi sì. La tensione che regna tra Israeliani fondamentalisti e laici, si fonda sul fatto che essi vivono in due periodi di tempo diversi» (31).

Spesso, paradossalmente, l’estremismo Haredi si spinge sino all’antisemitismo; infatti, non temono di affermare che: «La terra d’Israele appartiene solo agli Haredim e che gli Ebrei laici e i Palestinesi devono andarsene … » (32).

Gli Haredim presentano marcate caratteristiche di misoginia, «definiscono le donne impegnate in politica streghe, fattucchiere, demoni. Il Giudaismo tradizionale in genere disprezza le donne, un piccolo compendio del Talmud, accessibile a tutti, ordina che un maschio non deve mai camminare in mezzo a due femmine, o a due porci o cani; e reciprocamente, due uomini non devono permettere a una femmina, un cane o un porco di camminare in mezzo a loro. Tutti i ragazzi Haredim, tra i 10-12 anni, studiano queste regole e sono obbligati ad osservarle» (33).

Per quanto riguarda l’etica medica, le autorità Haredi si son poste la questione se «un ebreo devoto possa ricevere la trasfusione di sangue da un non-ebreo o da ebrei non praticanti. Gli Haredim temono che ricevere “sangue corrotto”, secolare, laico o non-ebreo, possa danneggiare l’ebreo devoto, moralmente e religiosamente» (34).

Quanto al trapianto degli organi «la legge religiosa ebraica stabilisce che è vietato trapiantare organi di ebrei devoti sia in non-ebrei sia negli ebrei non praticanti. Molti rabbini non-Haredim, invece, permettono che un organo di un non-ebreo sia trapiantato nel corpo di un ebreo per salvargli la vita, tuttavia sono contrari al trapianto da un ebreo a un non-ebreo» (35).

Il rabbino Ginsburg, membro del movimento Habad, in un articolo del 26 aprile 1996 sul Jeuisli Week, scriveva che: «Ogni singola cellula di un corpo ebraico è divina, ogni segmento del DNA ebraico è divino. Perciò, se un ebreo ha bisogno di un fegato, può prenderlo da un innocente per salvarsi? Probabilmente sì, infatti la vita di un ebreo ha un valore infinito e vi è qualcosa di più santo anzi di unico nella vita di un ebreo» (36).

In politica gli Haredim vogliono che l’Halacha sia la legge vincolante dello Stato (teocratico) d’Israele.
Haredim Askenaziti e Sefarditi

I due più importanti gruppi Haredi sono quello Askenazita e quello Orientale una volta chiamato Sefardita.

«A partire dalla Diaspora sino al 1050 d. C. una comunità ebraica [Keillah] era riconosciuta dalle altre comunità, disseminate in tutto il mondo, come Centro ebraico [Kahal] ed aveva così l’autorità di stabilire regole e dare istruzioni che valevano per gli Ebrei di ogni parte del globo. L’ultimo di questi centri fu la comunità ebraica dell’Iraq. Quando questo Centro o Kahal venne a mancare, si approfondì il divario tra le diverse Keillah: «Le Comunità askenazite, che si formarono tra il X e il XII secolo nel nord della Francia e nella Germania occidentale, divennero più innovatrici non senza sviluppare una certa tendenza esclusivista, per esempio gli Askenaziti si rifiutano di mangiare carne Kasher controllata da rabbini non-askenaziti. D’altra parte, i Sefarditi hanno sviluppato il loro esclusivismo, sin dal XII secolo, basato sulla loro convinzione d’essere superiori agli altri Ebrei. Gli Ebrei di Spagna e Portogallo, che sono parte dei Sefarditi, hanno sviluppato un concetto orgoglioso sulla “purezza dell’origine”, che sarebbe solo sefardita. Molti di loro rifiutano non solo di sposare un askenazi ma perfino di frequentarli. Tuttavia l’esclusivismo askenazita è più spinto di quello sefardita.

La Comunità askenazi si formò da sé senza conoscere e senza avere come guida le antiche comunità ebraiche, che erano vissute in Oriente e parlavano il greco o l’arabo, mentre gli Askenaziti, che parlavano il latino, non le capivano, e viceversa.

Gli Askenaziti occupavano l’Europa centro-orientale, mentre i Sefarditi, espulsi dalla Spagna (1492) e dal Portogallo (1498) si sono insediati in altri luoghi, grossomodo, nei Paesi mediterranei per gli spagnoli e il Brasile per i portoghesi.

Essi vi hanno introdotto delle trasformazioni, poiché essendo vissuti nella Spagna, ben sviluppata, ed essendosi insediati in Paesi meno sviluppati, divennero in breve gli Ebrei più ricchi, più colti e più “politicizzati” nei paesi mediterranei.

Così, imposero, grazie alla loro supremazia, la loro lingua e le loro abitudini e anche il loro nome (Sefarad significa Spagna), alle comunità ebraiche di tutti i paesi in cui emigrarono.

Fino al 1550 gli Ebrei che parlavano greco incominciarono a chiamarsi “Sefarditi” e a parlare il latino o lo spagnolo antico. Gli Askenaziti, erroneamente, chiamano Sefarditi tutti gli altri Ebrei, anche coloro che non vengono dalla Spagna, e ciò dimostra che i Sefarditi hanno fondato un’egemonia duratura sulle altre comunità mediterranee o latino-americane.

Fino alla fine del Seicento, gli Askenaziti erano una minoranza nel mondo ebraico ed erano culturalmente arretrati rispetto alle altre comunità ebraiche, specialmente quelle italiane e sefardite. Però, a partire dal Settecento, le popolazioni mediterranee, specialmente quelle dell’Impero Ottomano, cominciarono a subire un declino economico e demografico che non risparmiò i “sefarditi” ivi residenti; mentre, l’Europa progrediva politicamente e tecnologicamente assieme agli Askenaziti. Verso l’Ottocento essi erano diventati la maggioranza ebraica. Nella prima metà del Novecento avevano oramai superato i Sefarditi anche negli studi talmudici e negli ultimi due secoli, quasi tutti i rabbini più eminenti sono stati Askenaziti … » (37).

Fine della Parte Prima

NOTE

  • 1 – I. SHAHAK, Le racisme de l’Etat d’Israel, Guy Authier, Paris, 1975.
  • 2 – I. SHAHAK, op. cit., p. 58.
  • 3 – Ibid., p. 58.
  • 4 – Ibid., p. 79.
  • 5 – Ibid., p. 119.
  • 6 – Ibid., pp. 120-121.
  • 7 – Ibid., pp. 184-185.
  • 8 – Ibid., p. 258.
  • 9 – Ibid., p. 261.
  • 10 – Ibid., p. 261.
  • 11 – Ibid., p. 262.
  • 12 – Ibid., p. 263.
  • 13 – Ibid., p. 265. – D’Israel Shahak si può leggere, in lingua italiana, con gran profitto, Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia (TO), 1997.
  • 14 – Citato da Orion, n. 170, p. 15-16.
  • 15 – Cit. in I. SHAHAK, Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia (TO), 1997, p. 246.
  • 16 – I. SHAHAK, op. cit., p. 9-10.
  • 17 – I. SHAHAK-N. MEZVINSKY, The Jewish Fundamentalism in Israel, Pluto Press, London, 1999, p. 5.
  • 18 – Ibidem, p. 5.
  • 19 – Ibidem, p. 7.
  • 20 – Ibidem, p. 11.
  • 21 – Ibidem, p. 7.
  • 22 – Ivi.
  • 23 – Ibidem, p. 18 e 19.
  • 24 – Ibidem, p. 19.
  • 25 – Ibidem, p. 20.
  • 26 – Ibidem, p. 23.
  • 27 – Ibidem, p. 24.
  • 28 – Ibidem, p. 25.
  • 29 – Ibidem, p. 26.
  • 30 – Ibidem, p. 31.
  • 31 – Ibidem, p. 30.
  • 32 – Ibidem, p. 34.
  • 33 – Ibidem, p. 38.
  • 34 – Ibidem, p. 41.
  • 35 – Ibidem, p. 42-43.
  • 36 – Ibidem, p. 43.
  • 37 – Ibidem, p. 44-47.