Quale verità per Giulio Regeni?

(Sarà vero?  C’è un magistrato che verifichi?):

“…. domanda alla signora Regeni, madre di Giulio, attivista numero uno nell’esecrazione dell’Egitto, al cui dolore per la scomparsa del figlio rendiamo sincera partecipazione: “Perchè, cara signora Regeni, ha sottratto dall’abitazione del figlio al Cairo ai legittimi inquirenti, il suo computer e cosa ne ha fatto?”

 – da Comedonchisciotte

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Italia fuori dai mercati e dai giacimenti. Grazie Giulio

Giacimento ENI a Zohr

L’allievo dell’Università di Cambridge, dalla quale riceve un mandato da attuare al Cairo, mai rivelato agli inquirenti, sparisce il 25 gennaio 2016 e viene ritrovato morto, con segni di tortura, su una strada poco fuori dalla Capitale, il 3 febbraio. E’ il giorno in cui una delegazione italiana di alto rango incontra i suoi equipollenti egiziani e il presidente Al Sisi per concludere e firmare una serie di trattati commerciali di elevato valore che comprendono ZOHR, il più vasto giacimento di idrocarburi del Mediterraneo, affidato all’ENI. L’incontro salta alla notizia del ritrovamento del corpo di Regeni, che dell’annullamento è evidentemente la causa, con conseguente danno per entrambi i contraenti. Grossi sono invece i vantaggi che si aprono a concorrenti meno disposti a inchinarsi alle trovate dei servizi occidentali.

La logica ci dice che un regime che tortura, uccide e poi fa ritrovare in strada la vittima, è un regime di puffi dediti alla baldoria lisergica. Cosa che quello egiziano, anzi, i suoi servizi segreti, non sono mai stati. La logica aggiunge che, con l’Italia fuori dai piedi, perchè alla mercè di governanti e media che curano gli interessi propri e dei loro poteri di riferimento e non, sia mai, quelli della nazione, il vasto mercato e i vastissimi giacimenti egiziani finiscono alla portata di altri.

Storia di una giovane promessa

I fatti ci dicono che la formazione di Regeni è iniziata negli USA presso istituti legati all’Intelligence. E’ proseguita con la collaborazione, poco prima di recarsi in Egitto, a Oxford Analytica, società multinazione di spionaggio diretta da un trio di specchiata esperienza: John Negroponte (squadroni della morte in Nicaragua e Iraq), Colin McColl, ex-capo del MI6 britannico e David Young, caposquadra dell’operazione Watergate di Nixon. La sua base operativa al Cairo era la American University, da sempre santuario, come quella di Beirut, di personale vicino ai servizi occidentali.

Un investimento in progetti “colorati”

A questo punto i fatti davvero successi possono sorprendere solo i boccaloni e i commentatori per partito angloamericano preso. Ci dicono di un Regeni che gira per il Cairo alla ricerca di contatti con esponenti dell’opposizione al governo. Ha una dotazione di denaro da offrire. Incontra il capo del sindacato che raggruppa tutta l’enorme economia informale egiziana, ne diventa amico, non sospetta che gli avrebbe potuto essere messo alle costole da un governo giustamente sospettoso. Alla richiesta provocatoria di Mohamed Abdallah, ripresa dalla sua telecamera, di un aiuto finanziario per la madre ammalata di cancro, Regeni risponde di no, ma offre “10.000 dollari per un progetto”. Lo offre a chi pensa sia uno che vuole abbattere il governo. Vale a dire uno che, sotto mentire spoglie, agisce contro le istituzioni. In qualsiasi stato questo è considerato spionaggio e sabotaggio e viene punito con la massima pena. Abdallah, dati i suoi rapporti col ragazzo, capisce che la proposta è di un lavoro di destabilizzazione del paese e ne dà comunicazione ai suoi referenti nella Sicurezza. Fa il suo dovere di cittadino. Del “Progetto” nessuno degli inquirenti romani si chiede mai il cosa, come, perchè.

Un flop pagato con la morte

A questo punto, e qui siamo in area ipotesi, logiche peraltro, i mandanti di Regeni si rendono conto che il gioco è stato scoperto, l’operazione è fallita, l’inviato è bruciato. Rientra nelle tradizioni di tutti i servizi disfarsi di un operativo ormai controproducente. Tutto questo non è stato mai minimamente preso in considerazione dai nostri magistrati, dai media sputafuoco, capeggiati da un Giuseppe Giulietti, presidente FNSI, visibile nelle centinaia di presidi di Amnesty pro-Giulio (mai in quelli per Julian Assange!!!), da Luigi Manconi, immancabile dove vi sia da sostenere il politicamente abietto, da un personaggetto come Roberto Fico, che arriva al nonsenso di “rompere i rapporti tra i parlamenti dei due paesi”.

Una Procura al di sopra di ogni sospetto

Dopo ripetuti incontri e scambi tra la magistratura del Cairo e la Procura romana (quella di Pignatone e di altri trascorsi indimenticabili), gli inquirenti romani hanno un fugace pour parler con la tutor di Regeni all’Università di Cambridge, caratterizzato da silenzio-assenso e poi morta lì. Per quattro anni i togati romani hanno pestato nel mortaio qualsiasi cosa il Cairo gli fornisse. Ma ora la Procura impeccabile dell’ex-Pignatone ora uomo-giustizia del Papa, te pareva, e del successivo Palamara, ha tagliato la testa al toro. Quello immaginario, tipo Creta.

L’uovo di Colombo degli eredi di Pignatone: li processiamo noi, tanto sono in contumacia, e li mandiamo dritti all’inferno, almeno a quello della riprovazione universale. Vengono scelti e accusati, del tutto a casaccio, quattro dirigenti della Sicurezza cairota. Per i quali di prove, documenti e testimonianze ce ne sono quante per il leggendario Gesù davanti a Ponzio Pilato. Ma media e politici volano all’apogeo della soddisfazione “per giustizia fatta o, almeno, in vista”. Salta fuori, dopo quattro anni, anche “il testimone”, tipo Kafka, che giura di aver visto (glielo hanno fatto vedere apposta perchè li incastrasse!) il povero Giulio, maltrattato, con segni di percosse, ammanettato in una stanza della Sicurezza del Cairo.
E, ciliegina sulla torta, risolutiva per la damnatio di uno di cui non sai un cazzo, che ha fatto il sindacalista-spia Abdallah dopo l’incontro dei 10.000 dollari per un “progetto”? Colpo di scena del “sicario degli assassini”: ha telefonato nientemeno che all’ispettore della Sicurezza che lo aveva incaricato di seguire un Regeni ingiustamente caricato, nonostante i trascorsi nobili, di bruttissimi sospetti. E cosa gli aveva rivelato circa il complotto contro l’italiano? Nientemeno che lui, Abdallah, non riusciva a spegnere il videoregistratore e gli si dicesse come fare. Che altro occorreva alla Procura di Roma per dichiarare chiuse le indagini, ineludibili le accuse, da iniziare il processo. Impeccabili giuristi. Come con Virginia Raggi.

Al Sisi mostro, costi quel che costi!

Ci vuole qualcosa, per quanto indegno di qualsiasi procura seria, per almeno mettere alla gogna per un altro po’ Al Sisi e tutto il paese, “con tutte le sue pratiche di tortura e incarcerazione di massa?” Non le attestano Amnesty e HRW e “il manifesto”, testimoni inconfutabili, benchè lontani, delle efferatezze e  degli gli abominii dei paesi che l’Occidente deve abbattere? Non ci sono forse 60.000 prigionieri politici in Egitto. E se sono quasi tutti malfattori e, soprattutto, terroristi ISIS dei Fratelli Musulmani, che hanno massacrato migliaia di poliziotti e civili, i diritti umani valgono anche per loro, no? Dopotutto, ci hanno reso dei favori contro il “tiranno” amico dei russi. Liberiamo anche quelli!

Qui non si tratta di fare le lodi del presidente egiziano. Io le condizioni vere del popolo egiziano non le conosco ed è giusto che sia più preciso una volta che ci sarò stato.  Ma delle demonizzazioni di leader e governi praticate in Occidente, mi fido meno dei diritti umani come propalati dal pensiero unico.  Intanto so che i fondamentali dell’economia egiziana sono migliorati enormemente rispetto al passato. Che si è ridotta la disuguaglianza sociale. Che sono state costruite infrastrutture utili alla società. Che Al Sisi sta con i giusti: Assad e Haftar.  Che di rivolte di massa non ce ne sono. Dirai che è perché le reprimono. Le reprimeva anche Morsi, che faceva bruciare le chiese copte, massacrava gli scioperanti e imponeva la Sharìa, ma le rivolte c’erano eccome.

C’è qualcosa che accomuna Al Sisi a Vladimir Putin. Non sono le nequizie che gli attribuisce ogni due per tre “il manifesto”Si tratta di due governanti che, dopo coloro che avevano demolito, screditato e svenduto il loro paese (Gorbaciov, Eltsin, Mubaraq e Morsi), l’hanno rimesso in piedi. Di più si sono alleati tra loro, contrastano il Krakken turco in Libia, sono schierati con la Siria aggredita e massacrata. Non basta per provocare l’ossessione compulsiva-diffamatoria che manifestano coloro per i quali la svendita del proprio paese è pratica familiare?

Non solo Regeni. Sequestrato anche il suo computer. Dalla mamma.

Alla Procura del Cairo che, per i nostri razzisti e colonialisti di ritorno, non è che il foro di un regime di subumani, ma che ha illuminato di fatti, logica e ironia quella di Roma, va sollecitata una domanda. Una domanda alla signora Regeni, madre di Giulio, attivista numero uno nell’esecrazione dell’Egitto, al cui dolore per la scomparsa del figlio rendiamo sincera partecipazione: Perchè, cara signora Regeni, ha sottratto dall’abitazione del figlio al Cairo ai legittimi inquirenti, il suo computer e cosa ne ha fatto? Non potrebbe essere un formidabile elemento di prova? In un senso o nell’altro? La vogliamo la verità?” O no?

(L’integrale qui:  https://comedonchisciotte.org/quale-verita-per-giulio-regeni/