La polveriera kazaka

di Sacha Cepparulo

Dall’inizio del conflitto ucraino i riferimenti ad altre «polveriere» dovute ai processi di disgregazione e formazione di nuovi Stati dopo il crollo dell’URSS sono notevolmente aumentati. C’è chi parla di Caucaso in generale, chi di CeceniaGeorgia e addirittura Daghestan. Escluso un cambio di paradigma e di sistema che è molto improbabile avvenga con il successore di Putin (ammesso che la Russia non imploda prima), a fronte del sacrificio che sta sostenendo in questa guerra è molto difficile сhe nel breve-medio termine la Cecenia decida di impegnarsi in una guerra secessionista di natura etnica o religiosa. Per quanto riguarda la Georgia le tensioni in realtà non sono mai state sopite del tutto dopo il 2008. Il Daghestan invece è una realtà profondamente diversa da quella cecena, infatti il suo essere un Paese multietnico, multilinguistico e multiculturale lo estranea da qualsiasi retorica etnico-nazionalistica e religioso-fondamentalista, non a caso il tentativo dei ceceni-akkincy (cioè di un sottogruppo etnico ceceno storicamente residente nella parte centro-occidentale del Daghestan) di coinvolgere il Paese in un conflitto con la Russia nel 1999 non è andato a buon fine. In ogni caso sembra che nessuno osi guardare oltre Baku e il Mar Caspio. Sebbene quello che fra venti o venticinque anni potrebbe dare le preoccupazioni maggiori al Cremlino è il Kazakistan.

Dopo l’intervento russo di gennaio che ha permesso all’attuale classe politica kazaka di mantenere il potere, con il suo nuovo governo, il Presidente Tokaev ha cambiato radicalmente la direttiva politica e geopolitica del Paese. Pur rimanendo per la Russia un Paese naturalmente amico, il Kazakistan ha intrapreso un percorso fortemente indipendente da Russia e Bielorussia. Quei legami tra Bielorussia, Russia e Kazakistan che hanno storicamente costituito il nerbo geopolitico dell’Eurasia e segnato profondamente la storia dell’URSS e dello spazio postsovietico si sono rotti. A questo cambiamento sono seguite le forti dichiarazioni di Tokaev al Forum economico di San Pietroburgo in cui ha affermato che il Kazakistan non intende riconoscere le repubbliche di Doneck e Lugansk, e a cui si aggiungono inoltre le decisioni di rispettare e non cercare di eludere in senso pro-russo le sanzioni occidentali dovute al conflitto ucraino, di continuare ad inviare aiuti umanitari in Ucraina, di avere rapporti diretti con Zalens’kyj, del divieto di mostrare simboli come Z/V, dell’autorizzazione a proteste contro la guerra e, dulcis in fundo, della rilettura del passato sovietico che ha portato ad annullare la tradizionale parata della vittoria del 9 maggio. Il 2022 è il terzo anno consecutivo in cui in Kazakistan non viene celebrata questa parata. Per il 2020 e 2021 a giustificazione di questa decisione senza precedenti era stata addotta la situazione pandemica, mentre ora le motivazioni sono evidentissime e, perciò, taciute.

Questo è il segnale di un processo di rilettura e revisione del passato sovietico e in generale del passato comune con la Russia che è lontano dall’essere una dinamica secondaria o epifenomenica. Tutti quei Paesi che di solito iniziano un processo del genere tendono infine ad allontanarsi dalla sfera d’influenza russa con il rischio di un cambiamento/peggioramento delle loro relazioni diplomatiche. Un esempio: l’Azerbaigian non rinnega in nessun modo il proprio passato sovietico e vive con più serenità il nome delle vie principali intitolate agli eroi sovietici, le statue e i monumenti dei principali scrittori e intellettuali della Russia zarista e la russofonia generale (anche quella dei giovani). In Armenia, invece, la giornata della vittoria è ancora celebrata, ma in ogni caso l’esperienza sovietica è vissuta diversamente e non solo dai giovanissimi. Oltre al conflitto ucraino questa è una delle cause alla base del cambiamento dell’atteggiamento russo in senso più pro-azero in merito alla crisi del Nagorno-Karabach. Considerando che Armenia, Azerbaigian e Russia fanno parte dell’OTSC (l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) questa novità non deve essere sottovalutata. La reazione del Premier armeno Nikol Pashinyan che ha lasciato l’assemblea rifiutandosi di firmare la dichiarazione congiunta non ha precedenti. Questa ambivalenza armena ha fatto in modo che prima del 24 febbraio la Russia non prendesse posizioni nette e definitive contro il ben disposto Azerbaigian.

Le cause principali di questa polveriera del futuro se da un lato hanno molto in comune con le relazioni russo-ucraine post-2014, dall’altro rispecchiano la specificità del contesto kazako: l’umiliazione della Russia dopo la guerra fredda, l’assenza di una nuova Yalta, il senso di rivalsa di entrambe le parti, il nazionalismo kazako, una lettura differente del passato comune (sia zarista sia sovietico), le importantissime relazioni economiche e la dipendenza energetica.

Pretesti territoriali potrebbero essere, secondo una tesi debole, solo quei territori che oggi fanno parte della regione kazaka del “Kazakistan Settentrionale” che ha centro amministrativo a Petropavl (in russo Petropavlovsk), secondo una tesi forte invece anche quelli della regione del “Kazakistan Orientale” (nei suoi confini odierni) che ha centro amministrativo a Öskemen (in russo Ust’-Kamenogorsk).

L’insoddisfazione russa per le condizioni umilianti seguite al suicido dell’URSS si basano sulla gestione politica e il processo di re-iscrizione dei confini da parte del bolscevichi della prima generazione (stessa cosa per quanto riguarda l’Ucraina, si veda il riferimento a Lenin nel discorso di Putin del 21 febbraio 2022). Nel 1920 il Consiglio dei commissari del popolo della RSFSR (la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa) e il Comitato esecutivo centrale dell’URSS hanno creato la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma del Kirghizistan (1920-1925) in cui erano inclusi il Kazakistan e anche alcuni territori dell’Uzbekistan con capitale a Orenburg (oggi città russa). In questa occasione molte delle regioni e delle città non solo ufficialmente appartenenti all’impero russo, ma ormai tradizionalmente russe come Petropavlovsk e Ust’-Kamenogorsk sono state incluse nei territori di questa nuova compagine statale. Tra l’altro è bene ricordare che tradizionalmente i kazaki considerano Orenburg e territori limitrofi come propri in quanto storicamente abitati dalle tribù kazake. Nel 1925 la regione di Orenburg venne inclusa nella RSFSR e successivamente nel 1936 venne creata la Repubblica Socialista Sovietica Kazaka che ebbe fine solo con il crollo dell’URSS. La storia dei confini di queste due regioni (soprattutto di quella orientale) è molto complessa: su proposta del Presidente Tokaev l’8 giugno di quest’anno è stata creata la regione di Abai con centro amministrativo a Semei (città che fino al 2007 si chiamava Semipalatinsk) in cui sono Stati inclusi molti territori prima appartenenti al Kazakistan Orientale, richiamando in questo modo i confini regionali in vigore dal 1939 al 1997.

Oggi la Cina è il secondo partner commerciale del Kazakistan e le relazioni diplomatiche fra i due Paesi sono ottime. Il fatto che in Kazakistan vivano circa 250.000 uiguri e che una parte consistente degli uiguri residenti in Cina siano etnicamente kazaki per il momento non scalfisce minimamente le relazioni fra i due vicini. Un governo che si basasse sull’identità etnico-linguistica kazaka o addirittura nazionalista potrebbe rendere le relazioni politiche con la Cina un pò più complesse. D’altro canto la dipendenza economica è molto forte e un ipotetico conflitto con la Russia obbligherebbe il Kazakistan a non esagerare nelle sue pretese nei confronti della Cina, avendo bisogno del suo sostegno militare ed economico. In questo caso la Cina avrebbe tutto l’interesse a sostenere (non apertamente) il Kazakistan per iniziare la derussificazione della Siberia.

In ogni caso se questo ipotetico conflitto portasse a una crisi del ruolo politico e  geopolitico russo nell’Asia Centrale, si assisterebbe a un vuoto difficilmente colmabile nel breve-medio termine. La Cina fatica a far seguire alla sua influenza economica nell’area anche quella politica, poiché in tutti questi Paesi (soprattutto in Kirghizistan) ad esclusione del Tagikistan c’è un forte sentimento anticinese. Inoltre bisogna precisare che in queste aree la Cina investe meno rispetto, per esempio, all’Africa e ora non sembra disposta ad entrare in conflitto diplomatico con la Russia per l’egemonia politica nella regione. Il miglior candidato sarebbe quindi la Turchia. Al di là della narrazione turca secondo la quale sembra sia possibile unire istantaneamente tutti questi Paesi in un solo, raggiungere lo stesso livello di integrazione politica, geopolitica e culturale che la Russia ha in quest’area richiederebbe molti anni. Per comprendere la reale capacità d’azione culturale della Russia si potrebbe considerare una dinamica caratterizzante lo spazio post-sovietico a cui nessuno ha ancora prestato seriamente attenzione: la rinascita della Massoneria. La Grande Loggia di Russia (regolare e di rito francese) negli ultimi anni ha intrapreso a oriente un processo di “massonizzazione” e sotto la sua egida sono state aperte le prime logge regolari in Georgia, Armenia e anche Kazakistan. Pertanto l’appartenenza all’Organizzazione degli Stati turchi (in precedenza Consiglio di cooperazione dei Paesi turcofoni o Consiglio turco) e la nuova autocoscienza nazionale di queste popolazioni non garantiscono necessariamente la buona riuscita di questa proposito culturale e geopolitico.

La dittatura dell’intellighenzia

Sebbene questi territori non rivestano l’importanza strategica e il significato storico della Crimea, essi sono molto significativi per i russi. Orenburg è la città in cui hanno luogo una buona parte delle vicissitudini di Grinёv, il protagonista del celebre romanzo “La figlia del capitano” di Puškin. Con un esempio più concreto: attualmente la popolazione di Petropavl è composta per il 59 % da russi e per il 31 % da kazaki.

Oggi il Kazakistan resta un Paese amico della Russia, sebbene un pò anomalo. Dal canto proprio la Russia per il momento farà di tutto al fine di mantenere con tutti i Paesi dello spazio post-sovietico le relazioni diplomatiche pre-24 febbraio. Il tentativo del Kazakistan di mostrarsi a livello politico e narrativo come un Paese disposto ad accogliere benevolmente i russi fuggiti per evitare la mobilitazione e a livello economico aperto nei confronti delle aziende russe espatriate dopo le nuove sanzioni (che Mosca non è assolutamente disposta a cedere) nella realtà dei fatti cozza con ciò che avviene livello sociale: la discriminazione etnico-linguistica kazaka colpisce quotidianamente non solo la popolazione russa storicamente residente in Kazakistan dai tempi dell’URSS (i cui giovani stanno “tornando” in Russia, mentre adulti o anziani rimangono, infatti secondo le stime più pessimistiche entro il 2050 la popolazione russa del Kazakistan scenderà al di sotto del 10%), ma anche e soprattutto quei russi che sono appena arrivati nel Paese. Nonostante i giovani kazaki conoscano ancora il russo, in ogni situazione ormai si opta esclusivamente per il kazako. Queste discriminazioni linguistiche rendono il soggiorno temporaneo dei giovani russi poco piacevole obbligandoli ad una scelta definitiva: o tornare in patria appena possibile o provare ad “integrarsi” decidendo di rimanere e accingendosi all’apprendimento di lingue come il kazako o nel caso delle altre repubbliche dell’uzbeko, del kyrghizo etc. Le nuove generazioni kazake hanno iniziato ad apprezzare Tokaev dopo il suo “smacco” nei confronti della Russia e dopo l’inizio di un lungo processo di transizione politico-costituzionale che si rifà al progetto che doveva essere inizialmente applicato in Bielorussia. Trattandosi però di una posizione politica di compromesso, la questione non è naturalmente conclusa. Questo tipo di nazionalismo riguarda soprattutto coloro che ora hanno dai 20 a 30 anni. Quando questa generazione sarà al potere la politica intrapresa da Tokaev subirà sicuramente un’ulteriore forzatura in senso antirusso. Sarà anche interessante capire come l’attuale élite politica kazaka che non è solo russofona, ma è anche economicamente dipendente dalla Russia sarà (se sì, come?) sostituita o integrata da questi nuovi elementi.

La dipendenza dell’economia kazaka da quella russa non è necessariamente un fattore stabilizzatore o foriere di buone relazioni diplomatiche. Il 40 % del budget kazako dipende direttamente dal petrolio di Mosca che nel suo 80% viene esportato attraverso l’oleodotto magistrale del Caspio (il cui 31% appartiene alla Russia) del Consorzio dell’oleodotto del Caspio (CPC). Esistono naturalmente altre vie: il porto Baku, le ferrovie dell’Uzbekistan e gli oleodotti della Cina. In ogni caso però la Russia rimane l’opzione meno cara. Perdipiù attualmente esiste una seria dipendenza dalla Russia per prodotti essenziali come olio, burro, zucchero e latte. A fronte delle considerazioni già svolte in presenza di un qualsivoglia casus belli questa dipendenza economica potrebbe configurarsi come la testimonianza di quel passato comune tanto deprecato e spronare la classe dirigente a prendere decisioni anche drastiche per dare al corso del Paese un’ulteriore sferzata antirussa, “liberandosi” definitivamente da Mosca. Chi prima del 24 febbraio e memore della Guerra Fredda pensava che fosse realmente possibile e “augurabile” sganciarsi dal gas russo?

Nonostante il conflitto ucraino abbia dimostrato le difficoltà nell’effettuare previsioni e anche una certa importanza del fattore umano (o forse la post-storicità dell’Occidente che fatica ormai a comprendere realmente tutto ciò che esuli dal suo economicismo di fondo?), è doveroso continuare ad elaborare previsioni di possibili scenari futuri. La questione kazaka è complicata anche da come andrà a finire la guerra e quali equilibri geopolitici seguiranno, da chi sarà il successore di Tokaev e da come cambieranno l’OTSC e l’Unione economica eurasiatica (UEE). Al netto dell’imprevedibilità a cui si è appena fatto cenno si possono abbozzare i seguenti scenari:

  • La Russia implode (indipendentemente dalla causa specifica: disfatta militare, umiliazione geopolitica, default etc). In questo caso è molto probabile che il conflitto fra Russia e Kazakistan scoppi, diventando una delle tante guerre regionali di confine: i Paesi baltici e la Polonia sfrutterebbero sicuramente il momento (con il sostegno NATO), allo stesso modo la Georgia, invece grazie all’appoggio turco e data l’assenza della mediazione russa il conflitto tra Armenia e Azerbaigian potrebbe prima acuirsi e poi volgere positivamente per il secondo e, infine, le tensioni e lo scontro con il Kazakistan. L’atteggiamento della Cina nei confronti di questo conflitto potrebbe essere ambiguo e surrettiziamente pro-kazako.
  • La Russia non implode, ma esce sconfitta e/o umiliata dal conflitto. In questo caso data l’ipotetica debolezza russa le pretese dei Paesi baltici, della Polonia e della Georgia potrebbero essere soddisfatte in maniera più diplomatica o “soft”. Il risentimento russo che ne seguirebbe renderebbe più sensibile alla questione dell’integrità territoriale del Paese anche quelle giovani generazioni che troppo spesso in Occidente vengono considerate ineludibilmente post-storiche e quindi indifferenti o contrari alle storiche pretese russe da grande Paese. In questo caso le tensioni potrebbero anche essere esacerbate dal fatto che la classe dirigenziale sarà rappresentata della generazione Prilepin che in realtà è meno disposta della generazione oggi al comando (cioè dei sovietici russi che hanno dai 55 ai 70 anni) a qualsiasi tipo di compromesso con l’Occidente.
  • La Russia non implode ed esce dal conflitto vincitrice o almeno a condizioni più che soddisfacenti. In questo caso i vari teatri di crisi già elencati potrebbero essere parzialmente risolti in maniera diplomatica in senso favorevole per la Russia. Un ulteriore conflitto nel breve termine sarebbe da escludere e i nuovi equilibri geopolitici permetterebbero di gestire senza l’uso della forza la polveriera kazaka.

Sacha Cepparulo

Nato nel 1996 a Magenta, in provincia di Milano. Dopo la laurea in Filosofia si trasferisce a San Pietroburgo, dove risiede tuttora, per studiare Filosofia e Letteratura russa. Si occupa di affari del Cremlino per le diverse testate per cui collabora.

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