La libertà d’espressione è un’ossessione dell’uomo bianco

di Roberto PECCHIOLI

Tempi durissimi per le libertà. Digitalizzazione dell’uomo- riduzione a cifra- green pass come strumento di controllo, le mascherine della sottomissione, il pensiero unico sulla guerra, la cultura della cancellazione, ossia la cancellazione della cultura, l’esproprio del corpo fisico da parte di un sistema diventato biopotere, dominio sulla vita. L’attacco più forte si concentra contro la libertà che contiene tutte le altre, quella di espressione.

Un articolo di Time, il settimanale americano più progressista, liberale e avanzato, Bibbia dell’élite americana e occidentale, ha finalmente svelato il segreto che ci soffocava: la libertà d’espressione – pensare liberamente, affermare e diffondere opinioni e convinzioni – non è un diritto, tanto meno una conquista. E’, nientemeno, un’ossessione dell’uomo bianco. Espresso su un foglio di provincia, il concetto sarebbe liquidato come il delirio di un cretino, ma se viene pubblicato, nero su bianco, su Time, diventa una forza storica, un programma politico, una verità scolpita nel marmo per i progressisti e il gregge che li segue.

Conoscevamo già il fastidio di lorsignori per certe tendenze del popolo, spesso testardamente contrarie alle preferenze degli illuminati. Costoro, irritati dagli errori della plebaglia, sono da tempo al lavoro per restringere gli effetti del voto, il suffragio universale da contenere, limitare, destituire di valore. Ma non erano ancora arrivati al punto da lanciare l’attacco – diretto, senza equivoci – da una tribuna, quella di Time, per (loro) definizione prestigiosa, colta, liberale. Negli Usa governati dai sedicenti democratici è in corso un dibattito sulla creazione di un “Ministero della Verità” di memoria orwelliana, alle dipendenze dal Dipartimento della Sicurezza Nazionale, incaricato di individuare, eliminare, punire le idee infedeli alla linea. Credevamo che fossero retaggi dell’era sovietica, che però non ostentava devozione per le libertà.

Pensare e parlare liberamente è uno sproposito che nella terra della libertà, o della sua statua, sarà controllato da un servizio pubblico dedicato a bloccare i contenuti non ammessi, chiamati “disinformazione”. Poiché bisogna comunque nascondere i panni sporchi, occorre inventare una teoria che, per quanto stupida, venga creduta attraverso il bombardamento mediatico e para-culturale. L’incarico è toccato a Charlotte Alter, la giornalista di Time che ha estratto dal cilindro progressista la più sconcertante associazione d’idee: la libertà d’espressione non è altro che un’ossessione dell’uomo bianco.

E ti pareva. Già colpevole di tutto, al malato terminale è stata diagnosticata un’altra infermità dell’animo. In psichiatria, l’ossessione è un fenomeno patologico che si manifesta con la presenza di una rappresentazione mentale, un impulso, un affetto che la volontà non riesce a eliminare, accompagnato da un sentimento di ansia, paragonabile a una minaccia incombente. Insomma, siamo malati e non è l’unica patologia di cui siamo portatori infettivi: omofobia, xenofobia, propensione per la violenza, specie se di genere e via diffondendo panzane. La medicalizzazione della vita ci rende vittime di accanimento terapeutico.

Ben scavato, vecchia talpa! scriveva Karl Marx nel Diciotto Brumaio di Luigi Napoleone, riferendosi alla rivoluzione che “va fino al fondo delle cose.” La talpa della decostruzione, diventata aperta cancellazione della civiltà europea e occidentale, giunge al suo culmine con la dichiarazione che la libertà è una sindrome ossessiva legata al genere e alla razza. Strano che la medesima ossessione non colpisca le donne “caucasiche”. Curiosa disuguaglianza di genere, mistero buffo della cultura “risvegliata”, spiegabile con la necessità della Alter- bianca suo malgrado- di allontanare da sé il sospetto di intelligenza con il nemico, maschio, bianco, eterosessuale.

L’attacco sembra diretto principalmente all’odiato – da quando ha comprato Twitter – Elon Musk, il cui obiettivo di liberare dalla censura la rete sociale dell’uccellino cinguettante ha scatenato l’attacco (quello sì patologicamente ossessivo) delle vestali progressiste. Con la mano sul cuore, la Alter depreca che Musk abbia speso tanto per una causa negativa come la libertà di espressione (se così sarà). Perché, si chiede, non dedicarlo alla giustizia sociale e alla non discriminazione? Grottesca domanda nel paese dei supermiliardari, del più cupo darwinismo sociale e del potere assoluto del dio dollaro.

La Alter, angosciata, si domanda quale sia il vero movente del bieco magnate sudafricano. “Perché a un tipo che ha superato i limiti della fabbricazione di auto elettriche e sondato i limiti dei voli spaziali commerciali dovrebbe importare quello che si può dire su Twitter?”. Già, perché? E chi stabilisce la verità e la menzogna, nel luccicante regno woke, chi decreta la sanità mentale e la follia? Per fortuna, esiste la soluzione, rassicurante, definitiva, in grado di restituire speranza e offrire la Verità con la maiuscola alle orfanelle del Progresso. Pazienza se la risposta è la solita, negli Usa e nelle colonie culturali, per qualsiasi domanda politica: il movente di Musk e di quelli come lui è la perpetuazione del privilegio bianco. Tombola. Vengono in mente l’elisir di Dulcamara che curava ogni malanno e perfino il comico mito sovietico di Popov, l’inventore di tutto. A un dignitario dell’Unione Sovietica che attribuiva all’inesistente Popov ogni scoperta tecnica e scientifica, qualcuno chiese a bruciapelo: chi ha inventato Popov? Noi, fu l’incauta risposta, in un lampo di sincerità.

Non troppo diverso è l’articolo di Time, che cita Jason Goldman, uno dei responsabili dell’architettura censoria di Twitter, diventato membro dell’amministrazione “democratica” di Barack Obama. La libertà di espressione, sentenziò costui “è diventata un’ossessione dei membri maschi dell’élite tecnologica, in maggioranza bianchi”, brutta gente che “preferisce che le cose tornino come prima”. Simile l’opinione di un docente di comunicazione dell’università di Stanford, Fred Turner, il quale spiega ex cathedra che si tratta di un’ossessione dominante nell’ élite, presente soprattutto tra gli uomini. Le signore di pelle bianca sono scagionate: fortunatamente non credono nella libertà d’espressione, chissà perché e in base a quali evidenze statistiche.

La censura, per i nuovi mandarini, non è ancora la soppressione diretta di idee o persone dissidenti, ma un meccanismo tecnico di controllo per eliminare idee sbagliate o narrazioni false. Il ministero della verità non si chiamerà così- impossibile in tempi liquidi, idee cangianti dalla sera alla mattina – ma della disinformazione. La decisione sul vero e il falso, il nocivo e il giusto sono nelle mani del potere, il cui primo obiettivo è l’autodifesa e la perpetuazione di se stesso. Facile osservare che il primo emendamento della costituzione americana proibisce limitazioni alla libertà di parola, di stampa e di riunione. Ancora più ovvio ribattere che fu il frutto delle ossessioni di una minoranza malata di maschi bianchi, per di più eterosessuali.  La talpa ha scavato alla perfezione: come obiettare?

L’ Unione Europea – fedele alla linea tracciata oltre oceano – sta creando un organismo incaricato di vigliare sui contenuti della stampa digitale, dei siti Internet e delle reti sociali. E’ evidente che il nostro futuro è in gravissimo pericolo e occorre attrezzarsi per una guerra decisiva, sapendo qual è la potenza di fuoco e la capacità di manipolazione dell’avversario, riconoscendo che la libertà è una causa di minoranza. Gli esseri umani preferiscono la sicurezza, si muovono prevalentemente in gregge e sono assai sensibili agli inganni di chi esercita potere. Ciò che abbiamo sperimentato da febbraio 2020 con la pandemia e ora con la narrazione di guerra sono prove schiaccianti. La docilità delle masse non fa ben sperare sull’esito di una battaglia per la libertà d’espressione.

Nel 1970 uno scienziato della politica consigliere delle amministrazioni democratiche Usa, Zbigniew Brzezinski, scrisse che nel futuro sarebbe stato impossibile un pensiero autonomo. Quel tempo è arrivato e le giustificazioni teoriche del nuovo– il capovolgimento del retaggio della civiltà bianca europea, ridotta a malattia dello spirito dei suoi artefici- rendono pericolosissime idee e suggestioni che fino a pochi anni fa potevano essere liquidate come stranezze di dottori Stranamore della cultura. La manipolazione delle opinioni pubbliche è resa più facile da una stampa e da una TV in gran parte di proprietà delle centrali di potere, mentre le telecamere mostrano ciò che interessa a chi le imbraccia o addirittura creano le immagini e gli avvenimenti.

Nonostante le dichiarazioni pubbliche preoccupate, il potere è felice dell’indifferenza crescente alla cosa pubblica. La parte più ricettiva della popolazione vede l’intercambiabilità dei programmi politici, percepisce che il potere non è più nei governi e le istanze di cambiamento sono rese pressoché impossibili perfino nella rappresentanza. La libertà di pensare, discutere e manifestare convinzioni dissidenti è in pericolo al di là delle sciocchezze di Time. Il prossimo obiettivo è abolire il suffragio universale, già reso inoffensivo dal potere del denaro, da sistemi e regole che impediscono un vero ricambio di idee e dalla potenza di fuoco delle idee dominanti, ossia le idee della classe dominante.

L’oligarchia ha sottratto valore al voto, ora non le resta che impedirlo con discrezione. Le opzioni sono già sul tappeto, tutte contrarie alla libertà di pensiero, malattia psichiatrica da curare. Potrebbe accedere al voto solo chi supera un test di educazione civica in cui la commissione esaminatrice sono lorsignori. Il filtro preventivo consentirebbe di eliminare tutti i pensieri liberi e dissidenti. A quel punto, perché votare, se tutti sono d’accordo?

Nel 2017 il quotidiano liberale spagnolo El Mundo ospitò un intervento dello scrittore Ignacio Vidal-Folch, dal titolo Contro il suffragio universale. La proposta era negare il voto ai giovani sotto i 28 anni – troppo sventati – e ai pensionati over 65, i quali “non dovrebbero partecipare a piani per un futuro dal quale saranno assenti per legge di vita.” Semaforo rosso anche per i disoccupati, giacché lo Stato gestisce il denaro che incassa e “poiché il denaro è l’unico linguaggio universale, il diritto di voto potrà limitarsi ai cittadini che pagano imposte”. Fuori gli incapienti. Chissà se Vidal-Folch, che ha raggiunto i 66 anni di età, la pensa ancora così e se prevede deroghe per la gerontocrazia al potere (Soros, Buffett, Schwab, Draghi, Biden).

L’ossessione per la libertà di quei mascalzoni degli uomini bianchi è curata con terapie d’urto, curiosamente proposte da esponenti illuminati della stessa categoria umana, vincenti in base al principio di stupidità osservato da un pastore protestante, Dietrich Bonhoeffer. La radice dell’adesione massiccia al nazismo, spiegò, non è la malvagità, ma la stupidità di massa contro la quale l’uomo libero è indifeso. Allo stupido basta non credere ai fatti che contraddicono il suo pregiudizio, e quando tali fatti sono innegabili, li elimina come irrilevanti o casuali. Egli si compiace di se stesso e quando passa all’attacco diventa pericoloso. Il suo non è un difetto intellettuale, bensì morale e psicologico.

Ogni potere infetta di stupidità gran parte delle persone, una sorta di legge sociologico-psicologica per la quale il successo dell’uno ha bisogno della dabbenaggine dell’altro. Sotto l’influsso di un potere crescente, gli esseri umani sono privati dell’indipendenza interiore e rinunciano al giudizio autonomo.  Lo stupido è cocciuto e nel dialogo si ha la sensazione di avere a che fare non con una persona, ma con slogan e parole d’ordine. Vive in un incantesimo, usato e abusato nel suo stesso essere, ridotto a strumento, capace di ogni male perché incapace di vedere che di un male si tratta. Raggelante.

Non resta che difendere l’ossessione dell’uomo bianco e lottare per la libertà d’espressione, che libera dalla stupidità perché obbliga a pensare, argomentare, pronunciare negazioni e affermazioni. Aumenta il rischio, ma vale l’avvertimento di Ezra Pound: se non siamo disposti a lottare per le nostre idee, o non valgono nulla le idee o non valiamo niente noi.