La globalizzazione, l’Europa e la nuova guerra fredda

Di Luigi Copertino

Lo scenario geo-politico internazionale attuale, le cui tensioni sono state accentuate prima dalla pandemia da covid ed ora dalla guerra russo-ucraina, si presenta come una grande partita globale tra opposti schieramenti di Stati portatori di paradigmi politico-sociali diversi e conflittuali.

Il processo di globalizzazione economica, in atto ormai da decenni, che avrebbe dovuto consegnarci alla “fine della storia” ed a “secoli di noia” nella pacificazione e prosperità mondiali, secondo la fallita previsione millenarista di Francis Fukuyama, ha inaugurato invece una “Nuova Guerra Fredda” che, con la risposta russa in Ucraina alla decennale aggressività occidentale (la guerra non è infatti iniziata il 24 febbraio 2022, con l’invasione moscovita, ma almeno nel 2014 con il regime change anti-russo a Kiev, organizzato dalla Nuland, la plenipotenziaria statunitense per l’Europa dell’est), sta assumendo un carattere piuttosto caldo, benché al momento non siamo ancora all’incendio vero e proprio. Nonostante questo recente surriscaldamento, riteniamo che non sia possibile parlare tout court di “guerra fredda” se con tale termine si vuole intendere il mero remarke dello scenario mondiale postbellico durato dal 1945 al 1989.

Non è possibile per tre ordini di motivi. Innanzitutto perché, nonostante la presenza sullo scenario geopolitico di due principali antagonisti, ossia il blocco costituito da Stati Uniti d’America ed Unione Europea verso il blocco costituito da Russia e Cina, tra gli stessi membri di ciascuno dei due schieramenti sussistono divergenze di civiltà e di interessi politico-economici. In secondo luogo perché, nello scenario attuale, un ruolo importante lo giocano anche altre potenze regionali emergenti come l’India, il Brasile, l’Iran, la Turchia. In terzo luogo perché le nuove tensioni non riguardano tanto o solo la dimensione militare, bellica, territoriale e degli armamenti, che pur continua ad aver un suo peso, quanto piuttosto la inedita dimensione “immateriale” imposta dalla nuova tecnologia digitale con le possibilità che essa offre di influenzare l’opinione pubblica delle popolazioni degli Stati antagonisti.

UN PO’ DI STORIA

Durante i decenni della Guerra Fredda postbellica 1945-1989 la contrapposizione dei due blocchi Americano-Occidentale e Sovietico-Comunista, sconfitto il terzo incomodo dell’Europa-Fascismo, era prevalentemente ideologica imperniata sui due modelli politico-sociali di matrice sette-ottocentesca ossia la democrazia liberale capitalistica ed il totalitarismo comunista (autodefinitosi democrazia popolare). Questa contrapposizione divideva quasi tutto il pianeta, salvo i cosiddetti Paesi non allineati che tuttavia non avevano un peso tale da poter costituire una alternativa al duopolio sovietico-americano.

Lo scenario iniziò a cambiare a partire dagli anni ’80 del secolo scorso quando la superiorità tecnologica ed economica del blocco occidentale finì alla lunga per sfiancare l’avversario contribuendo dall’esterno all’implosione interna del suo sistema. Non ci fu quindi un vincitore sul campo quanto, piuttosto, l’autonomo dissolversi di uno dei due contendenti. Gli Stati Uniti, rimasti soli sulla scena, hanno creduto, per oltre un trentennio, di poter organizzare un mondo a propria immagine e somiglianza. G.W. Bush, alla fine del XX secolo, annunciava un “Nuovo Ordine Mondiale” nel quale la potenza egemonica sarebbero stati, appunto, gli Stati Uniti autoproclamati guardiani planetari della democrazia liberale con il diritto ad esportare la democrazia stessa, anche manu militari, laddove sorgessero “Stati canaglia”. Le guerre in Afganistan, in Iraq, nello Yemen, in Siria ed in Libia, seguirono questo cliché mentre a Washington un gruppo di intellettuali, ben rappresentati nell’amministrazione Bush junior, culturalmente attrezzati, allievi del filosofo Leo Strauss, passati da originarie posizioni liberal a posizioni conservatrici – non a caso furono denominati “neoconservatori” – pubblicavano un manifesto, il cosiddetto “Project for a new american century”, nel quale esprimevano, in termini decisionisti, la volontà statunitense di costruire un mondo unipolare guidato dall’America.

Il progetto unipolare dei neoconservatori statunitensi, tuttavia, ha incontrato prima resistenze sparse e poi l’opposizione di potenze emergenti le quali, anelando anch’esse ad assicurarsi spazi di egemonia ed influenza, operavano affinché lo scenario mondiale prendesse forma piuttosto multipolare. La prima di queste potenze emergenti è stata la Russia, risorta dopo la gestione fallimentare di Eltsin che l’aveva umiliata e prostrata. Il successore di Eltsin alla leadership russa, Vladimir Putin, è riuscito, facendo aggio soprattutto sul tradizionale spirito patriottico e religioso dei propri concittadini, a restituire alla Russia una dimensione, politica, economica e militare, di potenza regionale con rilievo globale. Contemporaneamente anche la Cina, guidata da un partito unico comunista, attraverso una svolta economica in senso dirigista, ossia realizzando sotto egida comunista una forma di capitalismo di Stato, è assurta al rango di nuovo protagonista mondiale. Forse anche più della Russia perché, con silenziosa penetrazione, essa è diventata il principale sostenitore del debito pubblico americano mentre, con l’ingresso permesso dagli stessi occidentali, nutriti dall’utopia del libero mercato mondiale, nel WTO (l’Organizzazione del Commercio Mondiale), ha attratto sul suo territorio gli investimenti industriali e le tecnologie occidentali. Percorsi simili a quello russo e cinese si sono registrati anche in India ed in Brasile.

Tutto questo accadeva mentre la globalizzazione economica, con l’interdipendenza totale che ne è conseguita, si presentava promettendo – una promessa accreditata soprattutto in Occidente – l’approssimarsi di una Nuova Era di Pace e di Prosperità Mondiale. In realtà, lungi la promessa dal compiersi, proprio l’Occidente è entrato in una fase di instabilità politica e sociale causata in primis dal fatto che il capitale, venuti meno i muri, da quello di Berlino a quello cinese, e quindi i dazi, si è denazionalizzato. Operando il capitale in termini globali, ossia alla ricerca di aree a basso salario, incurante della disoccupazione da delocalizzazione che lasciava nel primo mondo, non tardarono a manifestarsi in Occidente i conseguenti contraccolpi politici che hanno trovato espressione nel sorgere un po’ ovunque di forze “sovraniste” e “nazionaliste” fortemente identitarie e contrarie alla globalizzazione. Contemporaneamente la crisi economica sopraggiunta nel 2007, alla quale ha contribuito anche la cecità capitalista del subitaneo profitto da delocalizzazione che ha provocato il crollo della domanda in Occidente per via della disoccupazione e delle riduzioni salariali, accettate per evitare le delocalizzazioni, ha fatto esplodere l’emergenza dei debiti sovrani scoperchiando il vaso di pandora dell’eccessiva finanziarizzazione dell’economia. L’Unione Europea, il partner degli Stati Uniti, si è ritrovata sull’orlo del collasso della sua moneta unica. Le Autorità tecnocratiche di Bruxelles e Francoforte per salvare l’euro e le banche tedesche e francesi – essendo Francia e Germania i dominus nella UE –, non hanno esitato a massacrare socialmente gli Stati più deboli ed esposti dell’eurozona, come la Grecia.

Insomma, nel volgere di pochi anni, l’Occidente è passato dal sogno americano neoconservatore ad una crisi non solo economica ma anche e soprattutto di identità dato che al suo interno – con la presidenza Trump persino negli stessi Stati Uniti – il modello liberal-democratico è entrato in agonia sia perché non riesce più a garantire quel benessere diffuso che aveva assicurato nei decenni dello sviluppo nel secondo dopoguerra, sia perché insidiato dal fascino del modello identitario che proviene dall’esterno, dalle zone del mondo antagoniste all’Occidente medesimo.

LA REALTA’ DIETRO L’APPARENZA

La dinamica della globalizzazione ha, dunque, indebolito il blocco occidentale mentre riemergeva un blocco orientale. Quest’ultimo, tuttavia, non ha affatto i connotati dell’“Oriente Rosso” precedenti il 1989. Infatti, al di là dell’apparenza comunista, la Cina è in realtà un Paese a capitalismo dirigista mentre la Russia – nonostante conservi una memoria storica senza cesure e quindi ricomprendente anche il periodo sovietico come capitolo della storia nazionale – ha svoltato pagina tornando alle originarie radici spirituali, che per essa erano l’unica base sulla quale ricostruire saldamente la propria identità e quindi il proprio destino politico e sociale.

Già prima dell’esplodere del conflitto russo-ucraino, che è indirettamente un conflitto russo-occidentale, tra i primi a richiamare il concetto di guerra fredda è stato il ministro degli esteri moscovita, Lavrov. Egli, incontrando nel 2021 il suo omologo cinese Wang Yi, ha delineato la necessità di una stretta vicinanza russo-cinese a fronte della aggressiva strategia statunitense che mira a distruggere l’architettura legale internazionale, utilizzando la sua forza e le sue alleanze. Lavrov sa molto bene che Pechino è attenta al discorso di Mosca, quindi a politiche concordate per contenere ed affrancarsi dall’egemonia globale statunitense. Non a caso la Cina sta sperimentando uno yuan digitale per ridurre la sua dipendenza dal dollaro americano, e dai sistemi di pagamento occidentali, in modo da porre un freno all’agenda ideologica dell’Occidente. La stessa Russia, con la pretesa del pagamento in rubli delle forniture di gas, ha intrapreso una strada intesa a stabilizzare la propria indipendenza monetaria dal dollaro ed al tempo stesso, una assoluta novità, a restituire un collaterale, un sottostante materiale, al sistema monetario internazionale che, dal 1971, con la fine degli Accordi di Bretton Woods, è stato de-metallizzato.

Sul versante opposto, dopo le incertezze di Trump non alieno da simpatie per Putin in misura equivalente all’avversione dimostrata verso Pechino, l’America di Biden è tornata a fare la voce grossa chiamando gli alleati dell’UE e della Nato ad una maggiore unità di intenti contro Russia e Cina, accusate di violare i diritti umani e di essere regimi autoritari. Una accusa del tutto propagandista.  Dietro la parvenza del mantenimento, come un guscio vuoto, delle forme liberal-democratiche, l’Occidente conosce oggi un invadente autoritarismo tecno-finanziario, impolitico ed economico, che condiziona i suoi governi piegandoli agli interessi dell’élite globalista e transnazionale periodicamente riunita in quel di Davos per stabilire, in barba alla volontà popolare, le linee guida della politica occidentale.

Tuttavia, sia sull’uno che sull’altro versante, le dinamiche in atto sono molto più complesse di quanto sembra in apparenza.

Cina e Russia, al di là di una alleanza di convenienza per fronteggiare un comune avversario, hanno poco da spartire. Alleate uniscono sul campo la maggior potenza navale del pianeta, quella cinese (400 mezzi cinesi contro i 335 americani), con la forte potenza militare territoriale russa, tuttavia «[Se]Entrambe sono sicuramente simili per quel che riguarda l’astio verso le … regole della democrazia politica – ha scritto Maddalena Tulanti su First online del 31.03.2021 – [al tempo stesso] … sono del tutto diverse … per quel che riguarda il rispetto della libertà personale dei singoli cittadini (…) i cinesi si annullano (grazie alla loro cultura millenaria) nel bene collettivo, i russi … sono riusciti a uscire dall’implosione dell’impero sovietico … [cercando] dentro se stessi [e] ritrovando Raskolnikov, il principe Myshkyn, il generale Kutuzov,[in altri termini] … hanno delegato … la politica, ma non il resto della vita … [per cui] … sarebbe un errore enorme da parte dell’Occidente se dimenticasse che la Russia è dentro la culla dei suoi valori, a cominciare da quelli cristiani. La Russia è “uno di noi” (…). La Cina è invece l’“altro”, con tutta la stima per essa e per “qualunque altro” sul pianeta». Un errore che l’America ha perseguito testardamente, gettando Mosca nelle braccia di Pechino, benché, va aggiunto, le faglie storiche religioso-culturali attraversano lo stesso Occidente: un ortodosso russo certamente si sentirà più vicino ad un cattolico euromediterraneo, e viceversa, piuttosto che ad un protestante americano o nord-europeo.

Un’altra divergenza sta nei rapporti economici molto stretti tra Cina e Stati Uniti. Se da un lato questo rappresenta una differenza notevole rispetto alla Guerra Fredda postbellica – l’Urss non è mai arrivata ai livelli di sviluppo economico attuali della Cina come ha osservato sul Sunday Times Nial Ferguson rilevando che «l’Urss non aveva un Pil paragonabile a quello americano, i cinesi sì» – dall’altro lato segna una differenza anche tra Russia e Cina dato che Mosca economicamente ha rapporti molto più stretti con l’UE. Inoltre gli interessi russo-cinesi divergono su altri quadranti ad iniziare da quello mediterraneo e vicino-orientale dove la Russia è impegnata a proteggere l’alleato siriano ed a collaborare con l’alleato iraniano, pur senza rompere del tutto con Israele, nonché a contenere l’espansione “neo-ottomana” della Turchia di Erdogan, in particolare nella Libia post-Gheddafi, mentre la Cina cerca in questo quadrante una maggior penetrazione onde assicurare lo sbocco occidentale al suo progetto di una “nuova via della seta” inteso al predominio economico di Pechino.

Se dunque linee di faglia percorrono lo schieramento russo-cinese, non si può dire che non ve ne siano, e di profonde, in quello occidentale. Prima del conflitto russo-ucraino, rispondendo alle pretese di Biden di bloccare la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania, la Merkel, memore della guerra commerciale che Trump aveva fatto all’industria automobilistica tedesca, non esitò a ribattere, al nuovo presidente americano, che «Con gli Usa ci sono molte cose in comune, ma non c’è un’identità di vedute (…) abbiamo i nostri interessi anche in Europa».

Fabio Marcelli, giurista internazionale, sul blog de Il Fatto Quotidiano il 26 giugno 2021 scriveva «… non ha senso continuare a porre le questioni di fondo in termini di contrapposizione armata tra sedicenti buoni (l’Ovest) e presunti cattivi (l’Est). Eppure … di un nemico ha bisogno urgente … Biden per ricompattare lo schieramento occidentale e confermare la perpetua subalternità dell’Europa». Questa osservazione ci spiega, molto più di qualsiasi analisi strategica, il motivo per il quale Washington, che controlla, tramite alcune società di proprietà di George Soros specializzate nella profilazione del management, le nomine dei ministri ucraini, abbia supportato, con il colpo di Stato dell’Euromaidan del 2014, la spavalderia di Kiev fino a spingerla alla provocazione costante verso Mosca, ad iniziare dalla violenta repressione delle popolazioni russofone del Donbass e dalla manifesta intenzione dell’adesione ucraina alla Nato con il conseguente piazzamento dei missili americani a ridosso del confine russo. La fase calda, scoppiata il 24 febbraio 2022, della decennale tensione russo-ucraina, è stata provvidenziale per gli Stati Uniti perché ne hanno approfittato per riportare all’ordine le spinte autonomistiche europee, affiorate qua e là, paventando la minaccia “autocratica” dell’orso russo. E gli europei l’hanno bevuta. Lo stesso Nord Stream 2 ha ora trovato quello stop che, invece, la Merkel aveva rifiutato. Ciononostante, al di là del provvisorio episodio bellico in corso, la strategia americana intesa a riesumare la Nato è destinata a fallire perché, alla lunga, sarà inevitabile l’emergere dell’anacronismo di tale Alleanza di fronte al diversificarsi degli interessi politico-economici della UE, che ormai chiaramente almeno in parte divergono da quelli americani, senza che tale divergenza possa essere definitivamente nascosta dal momentaneo ricompattamento anti-russo.

Il problema dell’Europa sta piuttosto nella sua attuale assoluta impoliticità. La strada economico-monetaria finora seguita per unire i popoli europei si è dimostrata illusoria – fior fiore di intellettuali, storici, filosofi, persino economisti avevano per tempo, inascoltati, avvertito che si trattava di una via fallimentare – perché nessuna moneta può sussistere senza una compagine politica, statuale o confederale, alle sue spalle che la sorregga. La moneta non è solo una fattispecie economica ma anche principalmente politica (il fiorino di Firenze si reggeva, ed era accettato in tutta l’Italia e l’Europa del tempo, non solo per l’oro con il quale era coniato ma anche e soprattutto per la potenza politica che lo esprimeva), quindi essa non ha solo bisogno di un ancoraggio materiale ma anche di una garanzia di ultima istanza di natura squisitamente politica.

La misura di tale impoliticità sono le difficili partite aperte all’interno della UE. Da un lato quella che vede contrapposti i cosiddetti Paesi di Visegrad (Ungheria, Polonia, Cechia, Slovacchia) a vocazione economica sovranista, quindi polemici verso Bruxelles, e dall’altro quella, emersa in connessione con la crisi economica, tra Paesi euronordici, rigoristi, e Paesi euromediterranei che, invece, puntano a rimettere in discussione le politiche d’austerità e di indebitamento verso i “mercati” imposte da Parigi e Berlino. A queste due partite intraeuropee se ne deve aggiungere una terza, non meno importante, ossia quella in atto tra Francia e Germania, mosse da spinte autonomistiche nei confronti di Washington, ed i Paesi dell’Europa dell’est, ex sovietici, Lituania, Lettonia, Estonia, o vassalli dell’Urss, Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria (benché quest’ultima con distanza e distacco dall’Atlantismo più radicale), molto sensibili all’influenza americana a causa della loro recente storia di sudditanza sovietica, quindi estremamente diffidenti verso la Russia post-comunista e, per questo, utilizzabili, come cavalli di Troia, dagli Stati Uniti nella loro strategia di mantenimento del dominio americano sull’Europa e di allontanamento di quest’ultima dal naturale e secolare dialogo, talvolta anche conflittuale ma comunque intra-europeo, con Mosca.

In fondo, con i Paesi baltici e la Polonia, Washington usa la stessa strategia utilizzata con l’Ucraina, che attualmente non è parte né della Nato né della Ue, per farne delle longa manus americane atte a condizionare e controllare l’UE dall’interno.

LE NUOVE DIMENSIONI DEL CONFLITTO GEO-POLITICO

Se ai tempi della Guerra Fredda postbellica il conflitto, benché indiretto, tra Stati Uniti e Unione Sovietica era di tipo ideologico ed era combattuto sul versante della conservazione dello status quo territoriale tra le rispettive aree di influenza nonché sul versante della deterrenza militare nucleare, che era tale da impedire a ciascuno dei due contendenti di sparare il primo colpo, attualmente le dimensioni del nuovo conflitto geo-politico – al di là del punto di contatto “caldo” ora in atto sulla faglia russo-ucraina, al momento abbastanza circoscritto e che nessuno ragionevolmente si spera voglia estendere – sono, invece, economico-finanziarie e, soprattutto, tecnologiche. Maddalena Tulanti, nell’intervento già citato, ha chiosato osservando «La verità è che come ha sostenuto Alec Ross, esperto di politiche tecnologiche … e professore all’Alma Mater di Bologna, … se un fronte si è aperto non è quello della “Cold War”, ma di una “Code War”, non di una guerra fredda, ma di una guerra dei codici informatici. (…). Una guerra nuova – sostiene Ross – non regolata da trattati, combattuta a colpi di cyber attacchi, con un livello magari basso di conflitto, ma costante. Russia, Usa, Cina, Israele, Iran e Arabia Saudita sono già i Paesi più coinvolti. Cosicché … non è distopico pensare che nel giro di pochi anni si potranno vedere persone morire in risposta non a un colpo di cannone, ma a un click su una tastiera».

Si tratta, in qualche modo, di un Great Reset applicato alla guerra ed alle sue modalità, disumanizzandola più di quanto non fosse quella tradizionale.

Ora, però, questa guerra tecnologica, permessa dalla sofisticata tecnologia digitale e robotica, è strettamente connessa alla potenza della finanza mondiale. La cosiddetta Nuova Guerra Fredda è guerra tecno-finanziaria. La globalizzazione finanziaria e mercantile è stata resa possibile dal graduale sviluppo dell’economia delle piattaforme informatiche (i cosiddetti GAFA, Google, Amazon, Facebook e Apple) lungo le quali corrono oggi gli scambi transnazionali di valute, denaro anch’esso ormai elettronico, e persino lo scambio delle merci come sa chiunque acquista qualcosa sul mercato digitale. Questi processi tecnologici cambiano il paradigma del potere. La recentissima tecnologia 5G diventerà l’ossatura del sistema mondo. I muri non saranno più fisici ma virtuali e le guerre commerciali saranno guerre tecno-finanziarie nelle quali la moneta digitale diventerà l’arma principale.

«Fra il 70 e il 75% degli scambi sui mercati finanziari – ha scritto Angelo Deiana nell’articolo “La nuova guerra fredda” su Huffpost del 07 novembre 2019 – è regolato da algoritmi. E quando qualcuno dice che è un passaggio epocale, noi sappiamo che è così da molto tempo ormai. Ecco perché l’orizzonte della nuova Guerra Fredda è profondamente incerto. Reti globali, grandi potenze economiche e militari, super computer che guidano algoritmi progettati per una finanza fredda e senza emozioni, raccontano di un mondo che non ha ancora capito quale sarà il nuovo equilibrio globale che lo governerà».

Se un tempo contava la conquista territoriale oggi quel che conta è la capacità di controllare i sistemi informatici in modo da dominare sulla rete hackerando l’avversario o influenzandone la rappresentazione che esso si fa della situazione, falsificandone i dati virtuali. Persino lo spionaggio classico ormai non ha più senso quanto invece ne hanno le campagne degli influencer per condizionare gli elettorati così come le aziende influenzano i gusti dei consumatori.

C’è oltretutto un aspetto ancora più inquietante, perché i monopolisti delle piattaforme, lungo le quali corrono i flussi finanziari e quelli delle informazioni, hanno un potere assoluto di ostracismo nei confronti di chi, per qualsiasi motivo, fosse considerato un nemico del sistema. Se nel blocco russo-cinese le piattaforme sono controllate dallo Stato, nel blocco occidentale invece fanno capo ad organizzazioni e potentati privati, vere e proprie multinazionali, che hanno acquisito una forza tale da imporsi persino ai governi che con essi devono scendere a patti. Un elemento, questo, che se da un lato complica ancora di più il conflitto geo-politico in atto, dall’altro differenzia la Nuova Guerra Fredda da quella postbellica nella quale era piuttosto l’economia al servizio delle strategie governative, non il contrario.

PERMANENZA DELL’ELEMENTO IDEOLOGICO

Benché il fattore tecno-finanziario sia ormai decisivo e prevalente negli scenari attuali del conflitto geo-politico, tuttavia non bisogna trascurare il fatto che l’elemento ideologico persiste, insieme agli altri fattori. Certamente non si tratta di quello che divideva le democrazie liberali dal totalitarismo comunista. Ne è nato uno nuovo, contestualmente alla scomparsa dell’Unione Sovietica ed al dissolversi del liberalismo nel suo esito estremo che è la baumaniana “società liquida”. Il nuovo elemento ideologico passa per la distinzione globalisti/identitari, ossia tra coloro che aspirano ad un mondo unificato secondo il cliché occidentale del mercato e coloro che invece, opponendosi a tale prospettiva, aspirano ad un mondo multipolare organizzato sulla valorizzazione delle differenti identità e culture umane. Il sovranismo è in qualche modo una variante dell’opzione identitaria. Una variante radicale che cresce proprio laddove il globalismo mostra i suoi limiti impoverendo ceti e popoli e, soprattutto, laddove mostra incapacità a mantenere la sua promessa di pace e prosperità universali. Allo spartiacque globalisti/identitari, che è trasversale al dualismo blocco occidentale e blocco russo-cinese, si affianca poi l’altro, più metafisico, Tradizione/transumanesimo, che vede opposti coloro che difendono l’ontologia della natura umana come essa ci è stata consegnata da tutte le Tradizioni religiose e spirituali e coloro che invece, in nome della tecno-scienza, e quindi del potere finanziario che la sostiene, mirano alla trasformazione della natura umana, sia assumendo una nuova normalità costruita sui “diritti civili” delle minoranze lgbt (piuttosto che su quelli “sociali” del tutto abbandonati anche dalla sinistra), sia aprendo al riconoscimento normativo della manipolazione genetica e bionica della stessa struttura psicologica e corporea dell’uomo.

La linea di faglia, di questi elementi ideologici, passa solo apparentemente per la distinzione tra schieramento occidentale, che è tendenzialmente favorevole al globalismo/transumanesimo, e schieramento russo-cinese, che al contrario si erge, perlomeno nella componente russa (per quella cinese i dubbi sono forti dato che in Cina non sussiste alcun ritorno alla propria Tradizione taoista o confuciana), a baluardo dell’identità e della tutela ontologica della natura umana. In realtà essa è, invece, profondamente interna agli stessi blocchi contrapposti, benché le forze globaliste-transumaniste siano molto più attive in Occidente che nel contesto russo-cinese dove o sono represse o non hanno ancora assunto, in modo palese e visibile, rilevanza politica.

Per questo possiamo concordare con Lorenzo Berti il quale, in un articolo “La nuova Guerra Fredda è cominciata. Ma stavolta lo scenario è tutto diverso”, apparso sul sito de Il Primato Nazionale l’11 aprile 2021, dopo aver esaminato la strategia americana, intesa ad aumentare la pressione militare sulla Russia aprendo conflitti locali, come nel caso dell’Ucraina, con lo scopo di indebolirne la tenuta economica e rendere possibile un “regime change” manovrando l’inconsistente opposizione interna di personaggi ambigui e prezzolati come Navalny, blogger senza seguito di massa, e dopo aver esaminato la risposta russa, come l’annessione della Crimea, il sostegno ai separatisi del Donbass e l’intervento a bloccare la tentata rivoluzione colorata in Bielorussia, ha messo in rilievo che «L’unica cosa che hanno sicuramente in comune la Guerra Fredda di ieri e quella di oggi è l’aspetto ideologico. Le guerre come noto vengono sempre mosse per motivazioni concrete, economiche e/o geopolitiche, e non ideali. Tuttavia anche l’ideologia politica spesso emerge sullo sfondo. Negli anni del secondo dopoguerra la contrapposizione era tra capitalisti e comunisti. Oggi la distinzione è tra nazioni progressiste (liberiste, antirazziste, lgbt-friendly, etc.) e identitarie (economia al servizio dello Stato, patriottismo, valori tradizionali, etc.). Il vero conflitto di civiltà nel prossimo futuro sarà questo».

L’identitarismo tradizionalista, forse in qualche modo presente tra le due guerre mondiali, era del tutto assente nello scontro tra due visioni del mondo a carattere cosmopolita e progressista come erano, nel dopoguerra, il liberalismo occidentale ed il comunismo sovietico. Per questo la Nuova Guerra Fredda e quella del secondo dopoguerra si distinguono anche sotto il profilo ideologico. Tempi interessanti e pericolosi ci aspettano.

Luigi Copertino

da WWW.DOMUS_EUROPAE.EU