Immacolata Concezione – Corrispondenze e circolarità (di Luigi Copertino)

La festa liturgica dell’Immacolata Concezione di Maria è occasione per riflettere su una evidenza che, come molte evidenze, è talmente palese ai nostri occhi che non ce ne accorgiamo al punto da assecondare luoghi comuni non fondati nella Rivelazione.

È noto che le fedi abramitiche non contemplano una visione ciclica della storia connessa alla ciclicità del tempo naturale. Questo, probabilmente, perché la storia, pur svolgendosi nel tempo, non coincide con esso. La storia è una dimensione propria soltanto dell’uomo, quale creatura centrale del livello fisico della teofania dell’essere. Animali, piante, astri pur avendo un tempo non hanno una storia e quella che ad essi si attribuisce – la storia del cosmo o la storia naturale – è in realtà la lettura umana, appunto storica oltre che temporale, dello svolgimento delle concatenazioni causali dei fatti e degli eventi cosmologici.

Un gatto vive soltanto il suo presente. Come tutti gli animali, non ha consapevolezza della morte, ovvero che il suo tempo avrà una fine, quindi non ha consapevolezza di sé. “Conosce” tutt’al più le sue esperienze ma nulla sa della storia della sua specie e neanche che c’è una storia della specie felina. L’uomo invece, sin dal suo apparire, vive la dimensione della storia e – attenzione! – tale dimensione non è estranea a quella del Mito, inteso nel senso tradizionale e sapienziale del termine, ossia come “Storia Sacra”.

Attilio Mordini, in una piccola ma preziosa opera “Il mito primordiale del Cristianesimo quale fonte perenne di metafisica” (Scheiwiller, Milano, 1976; Il Cerchio, Rimini, 2019), insegna che nel Cristianesimo la storia, intesa come vicenda umana lungo i secoli, ed il Mythos – ovvero la l’Originaria Storia Sacra, “in illo tempore” o “ab illo tempore”, del rivelarsi all’uomo del Logos, della Parola Divina – non si contrappongono, come troppo spesso si afferma, in quanto la prima è piuttosto la continuazione, o meglio, l’“incarnazione” del secondo nell’esperienza e nella memoria di un popolo, Israele, e poi, attraverso quel popolo, giunto il tempo dell’adempimento della Promessa Primordiale, nell’evento storico dell’Incarnazione del Verbo Divino che in Gesù Cristo si fa Carne per l’universalità del genere umano.

La dimensione esistenziale dell’uomo nella sua forma originaria, quella alla quale ci richiama il Mythos, era tale che egli non subiva i condizionamenti naturali della creazione perché viveva in comunione con il Logos Divino. La caduta – che qui non va intesa come caduta dello Spirito nella materia, secondo una accezione che tende a svalutare l’Opus Magnum della creazione in sé buona (Gen. 1,31) ma come chiusura del cuore all’Amore di Dio – ha introdotto nella scena del creato un elemento di disturbo dell’armonia di un Disegno che deve concludersi con la glorificazione dell’intero universo nel ricongiungimento della Fine con il Principio, come attesta l’Apocalisse. Un tentativo di perturbamento dell’Opera di Dio che ha reso necessario un Riscatto, ovvero la Passione, insieme all’Incarnazione la quale, invece, era contemplata sin dagli inizi come l’Asse portante dell’Opera Magna. Il rifiuto dell’Incarnazione, ovvero lo scandalo angelico per un Dio che vuol farsi carne “sporcandosi con la materia”, è insito nel luciferino “non serviam”.

Tutto questo, come è evidente, non ci parla affatto di una linearità del Disegno creativo e redentivo ma piuttosto di una circolarità trans-storica. Una circolarità volta all’Eterno attraverso la storia che si svolge nel tempo naturale. Non siamo certo di fronte ad una visione “ciclica”, senza senso nel continuo ripetersi sempre eguale di una storia modellata sulla ciclicità del tempo naturale o “cosmico” – non siamo, dunque, di fronte all’“eterno ritorno” delle culture extra-abramitiche e di tanti moderni come Nietzsche – ma certamente non siamo neanche di fronte ad una visione lineare ed ascendente, “progressiva”, della storia, come troppo facilmente ed erroneamente si afferma.

Nella Bibbia è chiaro che la storia, intesa come vicenda nella quale il Significato ed il Fatto coincidono, o tendono a coincidere, quindi come possibile oggetto di conoscenza secondo le umane categorie della storiografia, inizia soltanto con la vocazione del patriarca comune alle tre fedi monoteiste ossia Abramo. Prima di lui abbiamo la Storia Sacra dell’Origine, “in illo tempore”, che il Genesi narra quale Mythos. Sembra quasi che ci siano due fasi diverse ma che si intersecano intorno ad una Sapienza “antica”, primordiale, andata perduta per il resto dell’umanità dopo l’esilio dall’Eden. Questa Sapienza, tuttavia, attraverso vicende mitiche, ovvero proprie alla Storia Sacra dell’Origine che indicano un progressivo avanzare del male o un progressivo allontanamento del genere umano dalla Fonte Originaria – ad esempio il Diluvio Universale, che non a caso si riscontra in tutte le tradizioni religiose dell’umanità –, trapassa nella fase più propriamente storica allorché Abramo riceve la Benedizione, insieme ai simboli eucaristici, da Melkisedek, Re e Sacerdote di Salem. Melkisedek è un misterioso personaggio biblico, un cananeo, nel quale i Padri della Chiesa hanno visto la figura tipologica di Cristo. Il testo, affermando di lui che è “senza padre e senza madre”, lo accredita quale Depositario, nella nuova fase post-diluviana, della Sapienza Primordiale.

Vi è, dunque, nella Bibbia l’attestazione di una corrispondenza tra le due fasi, anzi tra tutte le fasi, del Disegno che va dalla Prima Creazione del Genesi alla Nuova Creazione dell’Apocalisse. Tanto è vero che la Rivelazione biblica non può essere correttamente interpretata se non cogliendo ciascuna sua parte, ciascun suo libro, in stretta correlazione con le altre parti, con gli altri libri. Non può intendersi il Genesi se non alla luce dell’Apocalisse e l’Apocalisse se non alla luce del Genesi: Alpha et Omega!

La narrazione della suadente tentazione ofidica in Genesi 3,5 è in stretta correlazione con quella della guerra celeste e della caduta di un terzo delle stelle che troviamo in Apocalisse 12,4 e 12,7-9. Qui è svelata, nel suo alto significato sapienziale e metafisico,  la stretta correlazione tra la realtà del “non serviam” proferito dal primo, dal più vicino a Dio, degli Arcangeli – al quale si oppone Michele –, di fronte alla richiesta fatta agli angeli viatori, per saggiarne nella libertà l’amore, di aderire alla futura Incarnazione del Verbo, mostrata loro in visione, e quella, conseguenziale, del tentativo di turbare l’opera divina mediante la perversione della creatura centrale nella dimensione temporale e materiale della creazione, ossia l’Adam, l’uomo, proprio per impedire l’Incarnazione rifiutata.

La corrispondenza, nella circolarità della Rivelazione, è massimamente evidente soprattutto nella figura di Maria che in Genesi 3,15 è Colei la cui stirpe è chiamata a schiacciare la testa dell’antico serpente – «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» – e che in Apocalisse 12,1-9 è «segno grandioso», ovvero «Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle», ed affronta, sostenuta da Dio, il drago, il quale, nell’intento di divorare Suo Figlio destinato a governare tutte le nazioni, le rovescia contro, vomitandole, ogni ingiuria. Infatti «Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra» (Ap. 12,9) la odia perché lei è “complementum Trinitatis” come la chiamavano i Padri della Chiesa.

Il Mistero di Maria, infatti, si rivelerà, si sta rivelando, man mano che andiamo verso il compimento escatologico quando l’Omega sarà ricongiunto all’Alpha nel Ritorno del Re ossia alla Seconda Venuta, questa volta trionfante, di Cristo Signore a gettare per sempre l’Avversario nello stagno di fuoco.

Luigi Copertino

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