IL GOVERNO DI CERUTTI GINO

(E LO CHIAMAVAN DRAGO)

di Roberto Pecchioli

Habemus papam, ecco il “governo di alto profilo”. A noi – e alla strada, nei commenti della gente comune in un freddo sabato di mercato – sembra piuttosto il governo del bilancino, del manuale Cencelli, dal nome del funzionario democristiano che teorizzò il dosaggio correntizio degli incarichi. Siamo passati in pochi giorni da Supermario – santo subito! – al governo di Cerutti Gino. Spopola in rete il ritornello della ballata di Giorgio Gaber: il suo nome era Cerutti Gino, ma lo chiamavan drago, gli amici al bar del Giambellino, dicevan che era un mago.  Giusto di un mago ci sarà bisogno, da subito, tra zone multicolori, distruzione economica e la rabbia sociale che inevitabilmente monterà. Pensiamo al mese di marzo, quando scadrà il blocco dei licenziamenti e la macelleria sociale potrebbe travolgere dipendenti e imprenditori dei settori massacrati dalla gestione del coronavirus.

L’atteso fiume di miliardi europei non sarà ancora in arrivo e in ogni caso non potrà essere utilizzato per dare ristoro (la parola magica di Giuseppe Conte) a milioni di italiani in difficoltà. Le priorità di Bisanzio assediata, tuttavia, sono altre: l’Università di Torino ha vietato l’esibizione, nelle case degli studenti impegnati negli esami a distanza, di croci e simboli religiosi. La Corte Costituzionale ci intrattiene piacevolmente sull’ingiustizia “patriarcale” di imporre ai nuovi nati il cognome del padre. Falso problema: la denatalità è alle stelle e il virus sembra aver dato il colpo definitivo; quella presente è l’ultima, tutt’al più la penultima generazione di italiani.

Intanto Cerutti Gino, drago e mago, ha estratto dal cilindro il “governo dei migliori”. Sono archiviati alcuni esponenti tra i più imbarazzanti della storia nazionale, la signora Azzolina dei banchi a rotelle, Don Fofò Bonafede, musicista prestato al ministero di giustizia, la brillante De Micheli, che osò dire che i problemi delle infrastrutture stradali sono solo una “narrazione”. Non ci mancheranno, come Gualtieri il ministro economico sdraiato agli ordini di Bruxelles e Francoforte.

Mandrake poco ha potuto con l’appetito famelico dei feudatari dei partiti. Gli è toccato consultare il manuale Cencelli come un primo ministro qualsiasi: un ministero pesante a te, uno più leggero a quell’altro, qualche poltrona “senza portafoglio” a destra e a manca. Ci teniamo Di Maio ministro degli esteri, ma l’Italia non ha una politica estera, pochi danni può fare l’ex bibitaro dello stadio ex San Paolo, ora intitolato all’ evasore fiscale milionario Maradona. Resta in sella – un premio per la splendida gestione dell’emergenza sanitaria, il melanconico Speranza (per la Carità ci stiamo attrezzando, ce ne sarà tanto bisogno).  L’ordine pubblico rimane saldamente in mano a un prefetto.

Che abbia ragione Alessandro Di Battista, il Che Guevara de noantri, il cui commento è: ma ne valeva la pena? Scomodato Rousseau, l’apostolo apocrifo della “volontà generale”, la piattaforma informatica della famiglia Casaleggio ha sancito l’ultima tappa della conversione sulla via di Damasco dei grillini, gli ex incendiari della mutua diventati pompieri volontari al servizio del nuovo padrone, Cerutti Gino il Drago del bar del Giambellino, con vista sui grattacieli di Goldaman Sachs e l’Eurotower della Banca Centrale europea.

Supermario sta sereno: ha messo in piedi un governo di scampoli, un patchwork multicolore destinato a miracol mostrare. Ci sono un po’ tutti i partiti. Quelli ufficiali e quelli ufficiosi, i più importanti. Non manca il redivivo Brunetta, che da ministro della Pubblica Amministrazione scontentò il cento per cento dei dipendenti pubblici, tagliando lo stipendio ai malati veri per colpire quelli finti. Nel rispetto delle quote rosa – una follia, i capaci non si scelgono secondo il sesso, pardon il genere – avremo Mara Carfagna ministro. Si occuperà del Sud: chissà che non ci faccia apprezzare lo sceriffo De Luca.

Tutti a bordo, nel frullatore di Mandrake. Ci sono ministri del partito del Quirinale, come Marta Cartabia, approdata alla Giustizia, a gestire il verminaio del dopo Palamara. Auguri vivissimi, le serviranno. L’unico settentrionale del governo Conte–bis, Dario Franceschini, perde qualche delega. I tecnici appartengono al partito delle banche, come Daniele Franco, direttore generale di Bankitalia, ministro dell’Economia, il peso massimo della compagine. Qualcun altro proviene dal governo Letta, disarcionato dal Renzi rampante di allora (Giovannini, ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture). Altri sono ex capi di gabinetto di governi di centrosinistra (Roberto Garofali), mentre all’istruzione arriva un fedelissimo di Prodi, Patrizio Bianchi.

Poco rimane ai leghisti neoeuropei, a parte Giorgetti, amico personale di Draghi. Perde qualcosa Renzi, ma è persona sua il tecnico Roberto Cingolani, un protagonista delle varie Leopolde, la fiera del potere renziano che, ai tempi di Craxi, sarebbe stata chiamata sfilata di nani e ballerine. Non manca un esponente del partito più influente di tutti, il Gruppo Bilderberg, che potrà contare su Vittorio Colao, responsabile della “transizione digitale”, criptica denominazione dei rapporti con i colossi BigTech.

Insomma, il manuale Cencelli applicato – per amore o per forza – anche da Draghi, i cui superpoteri si sono bloccati sulla soglia dei veti incrociati e degli appetiti paralleli. L’augurio di buona fortuna è d’obbligo, per carità di Patria e nella speranza di salvare portafogli e pellaccia, ma non ci pare che il governo di Cerutti Gino parta con il piede giusto. Un po’ annacquato l’ ”alto profilo” promesso, ammainata la bandiera del governo dei migliori, la navicella degli ottimati di Draghi – che ha tenuto per sé i rapporti con l’Unione Europea- “per correr miglior acque alza le vele “ . La montagna ha partorito il topolino, come pensiamo noi, o si aprirà una stagione di successi per l’Italia? Lo scopriremo vivendo, ma resta la delusione per i mancati “effetti speciali”.

Forse Cerutti Gino, il Drago, è un mago solo al bar del Giambellino. Oppure, ha dovuto cedere a un sistema politico irredimibile. Ci piacerebbe assistere al consiglio dei ministri, per capire che cosa avranno da dirsi e da condividere Speranza e Brunetta, Giorgetti e il post comunista Orlando, gli ex populisti superstiti di “uno vale uno” e gli austeri signori in grisaglia, mandatari delle banche e dei poteri forti, portavoce di chi “puote ciò che si vuole”.

Bene ha fatto Giorgia Meloni a tenersi fuori: fu San Giorgio il nemico del Drago. Noi, per il bene dell’Italia, speriamo che non rimanga sola all’opposizione. In democrazia, c’è bisogno anche di una sinistra sociale, di chi rivendica il primato della politica e della sovranità popolare e nazionale, di chi non vuole essere governato da poteri esterni. Se cambieranno i fatti, cambieremo senz’altro le nostre opinioni. Sino ad allora, non saliremo sul treno del Drago e ci impegneremo piuttosto ad animare un’opposizione di popolo, non preconcetta, ma convinti che la democrazia sia la partecipazione di un popolo al suo destino, non la cessione del potere a uomini della Provvidenza, rappresentanti di poteri esterni e lobby straniere. I tecnici e Draghi-Cerutti Gino sono il gatto e la volpe. Noi siamo i burattini, come il povero Pinocchio ingannato.

Edoardo Bennato cantava: Se ci ascolti per un momento, capirai, lui è il gatto ed io la volpe, stiamo in società, di noi ti puoi fidar. Puoi parlarci dei tuoi problemi, dei tuoi guai, i migliori in questo campo siamo noi, è una ditta specializzata, fai un contratto e vedrai che non ti pentirai. “

… E NON HA LE PALLE

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