“Grideranno le pietre!”: Viganò contro il divieto bergogliano del Vetus Ordo

Monsignor Carlo Maria Viganò

Traditionis custodes: questo è l’incipit del documento con il quale Francesco cancella d’imperio il precedente Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Non sarà sfuggito il tono quasi canzonatorio della ampollosa citazione di Lumen gentium: proprio nel momento in cui Bergoglio riconosce i Vescovi come custodi della Tradizione, chiede loro di impedirne l’espressione orante più alta e sacra. Chi cerca di trovare nelle pieghe del testo un qualche escamotage per aggirarlo sappia che la bozza fatta pervenire alla Congregazione per la Dottrina della Fede per la revisione era estremamente più drastica del testo finale: una conferma, se mai ve ne fosse stato bisogno, che non sono state necessarie particolari pressioni da parte dei nemici storici della Liturgia tridentina – ad iniziare dagli eruditi del Sant’Anselmo – per convincere Sua Santità a cimentarsi in ciò che gli riesce meglio: demolire. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.

Il modus operandi di Francesco

Francesco ha sconfessato ancora una volta la pia illusione dell’ermeneutica della continuità, affermando che la coesistenza tra Vetus e Novus Ordo è impossibile perché questi sono espressione di due impostazioni dottrinali ed ecclesiologiche inconciliabili. Da un lato vi è la Messa Apostolica, voce della Chiesa di Cristo; dall’altro la “celebrazione eucaristica” montiniana, voce della chiesa conciliare. E non è, questa, un’accusa pur legittima mossa da chi esprime riserve sul rito riformato e sul Vaticano II; ma un’ammissione, anzi una orgogliosa affermazione di appartenenza ideologica da parte dello stesso Francesco, capo della fazione più estremista del progressismo. Il suo duplice ruolo di papa e di liquidatore della Chiesa Cattolica gli permette da un lato di demolirla a colpi di decreti e atti di governo, dall’altro di usare del prestigio che la sua carica comporta per instaurare e diffondere la nuova religione sulle macerie di quella vecchia. Poco importa se le modalità con cui egli agisce contro Dio, contro la Chiesa e contro il gregge del Signore sono in stridente conflitto con i suoi appelli alla parresia, al dialogo, al costruire ponti e non erigere muri: la chiesa della misericordia e l’ospedale da campo si rivelano vuoti artifici retorici, quando a beneficiarne dovrebbero essere i Cattolici e non eretici o fornicatori. In realtà, ognuno di noi sa bene che l’indulgenza di Amoris laetitia nei riguardi dei pubblici concubinari e degli adulteri sarebbe ben poco immaginabile verso quei “rigidi”, contro i quali Bergoglio scaglia i suoi strali appena ne ha l’occasione.

Abbiamo compreso tutti, dopo anni di pontificato, che le ragioni addotte da Bergoglio per declinare un incontro con un Prelato, un politico o un intellettuale conservatore non valgono per il Cardinale molestatore, il Vescovo eretico, il politico abortista, l’intellettuale globalista. Vi è, insomma, una palese differenza di comportamento, dalla quale si può cogliere la parzialità e partigianeria di Francesco a tutto vantaggio di qualsiasi ideologia, pensiero, progetto, espressione scientifica, artistica o letteraria che non sia cattolica. Tutto ciò che anche solo vagamente rievoca alcunché di cattolico sembra suscitare nell’inquilino di Santa Marta un’avversione a dir poco sconcertante, non fosse che in ragione del Soglio sul quale egli sta assiso. Molti hanno rilevato questa dissociazione, questa sorta di bipolarismo di un papa che non si comporta da Papa e non parla come un Papa. Il problema è che non ci troviamo dinanzi ad una sorta di latitanza del Papato, come potrebbe avvenire in presenza di un Pontefice malato o molto anziano; ma di un’azione costante, organizzata e pianificata in senso diametralmente opposto all’essenza stessa del Papato. Non solo Bergoglio non condanna gli errori del tempo presente – non lo ha mai fatto! – ribadendo con forza la Verità cattolica, ma si adopera attivamente a divulgarli, a farsene promotore, a incoraggiarne i fautori, a diffonderne le massime e ad ospitarne in Vaticano gli eventi, mentre mette a tacere quanti quegli errori li denunciano. Non solo non punisce i Prelati fornicatori, ma li promuove e li difende addirittura mentendo, mentre rimuove Vescovi conservatori e non dissimula il fastidio per gli accorati appelli dei Cardinali non allineati al nuovo corso. Non solo non condanna i politici abortisti che si proclamano cattolici, ma interviene per impedire che la Conferenza Episcopale si pronunci a tal proposito, contraddicendo quel sentiero sinodale che sull’altro versante gli consente di avvalersi di una minoranza di ultraprogressisti per imporre la propria volontà alla maggioranza dei Padri sinodali.

La costante di questo atteggiamento, rilevabile nella sua forma più sfrontata e arrogante in Traditionis custodes, è la duplicità e la menzogna. Una duplicità di facciata, ben inteso, quotidianamente sconfessata da prese di posizione tutt’altro che prudenti a favore di una parte ben precisa, che per brevità possiamo identificare con la Sinistra ideologica, anzi con la sua evoluzione più recente in chiave globalista, ecologista, transumana e LGBTQ. Siamo giunti al punto che anche le persone semplici e poco addentro alle questioni dottrinali hanno compreso che abbiamo un papa non cattolico, quantomeno nel senso stretto del termine. Questo pone dei problemi di natura canonica non indifferenti, che non sta a noi risolvere ma che prima o poi andranno affrontati.

L’estremismo ideologico

Un altro elemento significativo di questo pontificato, portato alle estreme conseguenze con Traditionis custodes, è l’estremismo ideologico di Bergoglio. Un estremismo che è deplorato a parole quando riguarda altri, ma che si mostra nella sua espressione più violenta e spietata quando è lui stesso a metterlo in pratica contro i sacerdoti e i laici legati al rito antico e fedeli alla Sacra Tradizione. E mentre nei riguardi della Fraternità San Pio X egli si mostra disposto a concessioni e a rapporti di “buon vicinato”, verso i poveri sacerdoti e fedeli che per mendicare una Messa in latino devono sopportare mille umiliazioni e ricatti non mostra alcuna comprensione, alcuna umanità. Questo comportamento non è casuale: il movimento di Monsignor Lefebvre gode di una propria autonomia e indipendenza economica, e per questo non ha motivo di temere ritorsioni o commissariamenti da parte della Santa Sede; mentre i Vescovi, i sacerdoti e i chierici incardinati nelle Diocesi o negli Ordini religiosi sanno che su di loro grava la spada di Damocle della rimozione, della dimissione dallo stato ecclesiastico, della privazione degli stessi mezzi di sussistenza.

L’esperienza della Messa Tridentina nella vita sacerdotale

Chi ha avuto l’opportunità di seguire i miei interventi e le mie dichiarazioni, sa bene quale sia la mia posizione sul Concilio e sul Novus Ordo; ma sa anche quale sia la mia formazione, il mio curriculum al servizio della Santa Sede e la mia presa di coscienza relativamente recente a proposito dell’apostasia e della crisi in cui ci troviamo. Per questo motivo, tengo a ribadire la mia comprensione per il percorso spirituale di coloro che, proprio a causa di questa situazione, non possono o non sono ancora in grado di compiere una scelta radicale, come ad esempio celebrare o assistere esclusivamente alla Messa di San Pio V. Molti sacerdoti scoprono i tesori della veneranda Liturgia tridentina solo nel momento in cui la celebrano e se ne lasciano permeare, e non è raro che l’iniziale curiosità verso la “forma straordinaria” – certamente affascinante per la solennità composta del rito – si muti presto nella consapevolezza della profondità delle parole, nella chiarezza della dottrina, nella ineguagliabile spiritualità che essa fa nascere e alimenta nelle nostre anime. Vi è un’armonia perfetta che le parole non possono esprimere, e che il fedele riesce a comprendere solo in parte, ma che toccano il cuore del Sacerdozio come solo Dio sa fare. Lo possono confermare i miei Confratelli che si sono avvicinati all’usus antiquior dopo decenni di obbediente celebrazione del Novus Ordo: si apre un mondo, un cosmo che comprende la preghiera del Breviario con le lezioni dei Mattutini e i commenti dei Padri, i rimandi ai testi della Messa, il Martirologio nell’Ora di Prima… Sono parole sacre non perché sono espresse in latino, ma al contrario sono espresse in latino perché la lingua del volgo le avvilirebbe, le profanerebbe appunto, come osservava saggiamente dom Guéranger. Sono le parole della Sposa allo Sposo divino, parole dell’anima che vive in intima unione con Dio, dell’anima che si lascia inabitare dalla Santissima Trinità. Parole essenzialmente sacerdotali, nell’accezione più profonda del termine, che implica nel Sacerdozio non solo il potere di offrire il sacrificio, ma di unirsi nell’oblazione di sé alla Vittima pura, santa e immacolata. Nulla a che vedere con gli sproloqui del rito riformato, troppo intento a compiacere la mentalità secolarizzata per rivolgersi alla Maestà di Dio e alla Corte celeste; così preoccupato di rendersi comprensibile, da dover rinunciare a comunicare alcunché se non ovvietà prive di vigore; così attento a non urtare la suscettibilità degli eretici, da permettersi di tacere la Verità proprio nel momento in cui il Signore Iddio si rende presente sull’altare; così timoroso di chiedere al fedele il minimo impegno, da banalizzare il canto sacro e ogni espressione artistica legata al culto. Il semplice fatto che alla redazione di quel rito abbiano collaborato dei pastori luterani, dei modernisti e massoni notori dovrebbe far comprendere, se non la malafede e il dolo, quantomeno la mentalità orizzontale, priva di slancio soprannaturale, che ha mosso gli autori della cosiddetta “riforma liturgica”. I quali, per quel che è dato sapere, non brillarono certo della santità di cui rifulgono gli autori sacri dei testi dell’antico Missale Romanum e dell’intero corpus liturgico.

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