Franco Cardini: “Meloni atlantista e contro il salario minimo? Mussolini si rivolta nella tomba” su YouTube 

Da Luigi Copertino il 2023-09-09 20:33

L’intervento di Franco Cardini alla festa de Il Fatto Quotidiano. Pungente e puntuale, tocca il nodo della questione Meloni e Fratelli d’Italia. Ossia il taglio delle radici. Tuttavia al suo posto non avrei incensato Scanzi – che pure ha avuto parole di rispetto per la “destra sociale” (che in altre occasioni non ha avuto) – perché la sua definizione, se ho ben capito, del fascismo come “mentizia” non è solo riduttiva, come ha detto Franco, ma palesemente falsa ed ideologica. Sappiamo tutti che nato a sinistra il fascismo, per la cecità del psi dell’epoca, scivolò verso destra, ma la destra non liberale e non liberista, patteggiando con i fiancheggiatori conservatori per vent’anni, durante i quali, però, mai il fascismo originario si arrese nel suo sforzo di realizzare la “seconda ondata della Rivoluzione”, e contribuì alla fase dirigista e modernizzatrice degli anni trenta. Pertanto non c’era “mentizia” ma solo compromesso imposto dalle circostanze. Non avrei, al posto di Franco, neanche sottolineato come tradimento delle radici il no della Meloni al salario minimo. Il salario minimo è un favore al capitale perché laddove vigesse gli industriali non sarebbero più disposti a sedersi al tavolo delle trattative contrattuali con i sindacati ed applicherebbero direttamente il salario minimo di legge che nella misura di 9 euro lordi ad ora è peggiorativo per molti comparti. Proprio il fascismo, con l’esperienza corporativa, fece della contrattazione collettiva il perno dello Stato nazional-sindacalista, fino a trasformare i contratti collettivi da privati ed efficaci solo tra le sigle contraenti in pubblici e con efficacia erga omnes. I sindacati fascisti, come fanno quelli attuali, si sarebbero opposti al salario minimo. È vero che ci sono attualmente comparti scoperti dalla contrattazione o nei quali i contratti non sono rinnovati con puntualità. Ma questo va risolto estendendo la contrattazione e punendo con sanzioni economiche gli imprenditori che dilatano i tempi di rinnovamento contrattuale. Quel che sarebbe risolutivo è, invece, l’applicazione, fino ad oggi mancata, dell’articolo 39 della costituzione ossia dell’articolo con i quali i saggi padri costituenti, cattolici, socialisti e comunisti, in sostanza democratizzarono il corporativismo fascista. Quell’articolo prevede l’obbligo della contrattazione collettiva tra le rappresentanze unitarie delle parti sociali, ossia organi nei quali confluirebbero secondo consistenza di iscritti e votazione le diverse sigle sindacali dei lavoratori e degli imprenditori. Dette rappresentanze unitarie stipulerebbe poi contratti collettivi efficaci erga omnes. Gli imprenditori, in applicazione di tale articolo costituzionale, non potrebbero sottrarsi all’obbligo di sedersi al tavolo delle trattative, come spesso tendono a fare oggi, anche se non è previsto da detto articolo l’obbligo di concludere per forza un contratto. Altrimenti verrebbe meno la libera determinazione della volontà contrattuale delle parti. Ma a questo si potrebbe rimediare con una norma di legge per la quale, in mancanza di conclusione del contratto collettivo entro un tempo prefissato, la palla passerebbe al governo che in tal caso sarebbe legittimato a decretare ex lege, con appositi regolamenti, le tariffe salariali da applicare fino alla stipula del contratto collettivo. In questo modo non sarebbe introdotto un salario minimo ma un intervento sussidiario dello Stato che funzionerebbe come stimolo per gli imprenditori ad accordarsi, pena l’essere soggetti a tariffe di Stato. Questa è la via giusta, nel solco delle radici che non gelano invocate da Cardini nella risposta a Scansi. In merito al salario minimo forse è sfuggito che la Meloni ha chiamato in causa il CNEL, consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che l’articolo 91 della costituzione ha previsto quale terza camera, benché con poteri solo consultivi, nella non nascosta volontà di democratizzare la camera dei fasci e delle corporazioni la quale, nel 1939, aveva sostituito la camera dei deputati. Della Meloni non ho più stima ma ciò che è giusto va detto. Chiamando in causa il CNEL essa ha richiamato, forse senza volerlo o rendersene conto, le radici profonde cui allude Cardini.