“Dalla tv edonista la peggiore repressione della storia umana” (Pasolini 1973)

Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che “omologava” gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale “omologatore” che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?

No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i “figli di papà”, i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di “studente”. Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi al modello “televisivo” – che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale – diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto “mezzo tecnico”, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre.

(Pierpaolo Pasolini, “Corriere della Sera”, 9 dicembre 1973)

Per omolòogia, allego la riflessione di Marcello Veneziani su La Verità, 14 ottobre 2022

La Sinistra si è fusa con il Capitale nello sradicamento

Il muro con cui si scontrerà il nuovo governo sarà il connubio tra sinistra e potere economico, asse cruciale del sistema. Chissà se avrà il coraggio, l’intelligenza e la forza per affrontarlo ma è decisivo se vuol governare davvero.

Quando è avvenuto il passaggio della sinistra da contropotere a potere, da Piazza a Palazzo? Cosa è successo che ha trasformato una forza antagonista del Capitale a guardia rossa del Capitale e parte integrante del ceto dominante? Lo diciamo tante volte ma ci sfugge il passaggio chiave. Gli indizi di superficie sono molteplici e fin troppo noti: a est il fallimento delle esperienze comuniste, a ovest il collasso dello statalismo assistenziale; sul piano intellettuale il tramonto di Marx e dell’idea di Rivoluzione e sul piano sociale l’inclusione di militanti, agenti e funzionari della sinistra nell’apparato pubblico, nel settore privato e nella magistratura, nella scuola, nell’università, nell’editoria, nello spettacolo. Inclusione che oltre gli effetti politici e ideologici ben noti, ha comportato anche l’inevitabile “imborghesimento” del ceto progressista e l’upgrade nell’establishment.

Possiamo anche periodizzare questo processo: è avvenuto dopo il ’68, lungo gli anni settanta, poi espandendosi negli anni seguenti fino a integrarsi e compenetrarsi coi poteri e le istituzioni. Il vantaggio è reciproco: al Capitale ha dato una “buona coscienza” etica e una legittimazione culturale sul piano dell’emancipazione e della difesa dei diritti umani e civili; e alla Sinistra ha dato un potere d’influenza e d’interdizione, e la direzione culturale e civile.

Ma tutto questo ancora non spiega il motivo centrale del connubio tra sinistra e capitale, la saldatura di due egemonie, tra potere economico e potere culturale. Cosa ha determinato quella convergenza? E’ il comune proposito di sostituire il mondo comune fondato sulla realtà con il mondo uniforme fondato sui desideri indotti; il desiderio di un mondo nuovo per la sinistra e di nuovi mercati per il capitale. Come avviene questo cambio? Cancellando, disprezzando e spezzando i legami, i confini, i limiti. Quel che a sinistra chiamano emancipazione, liberazione, progresso; e in gergo capitalistico chiamano sviluppo, consumo, modernizzazione. La parola chiave di ambedue è sradicamento, l’identità si dissolve: è ritenuto uomo libero chi non ha legami né appartenenze, fluido in un mondo liquido, proiettato nei suoi desideri anziché ormeggiato alle sue eredità e alla sua natura; connesso al suo tempo e al web ma sconnesso dal suo luogo e dai suoi legami comunitari. In tal modo diventa cittadino del mondo, uomo senza confini (anche sessuali), individuo emancipato e globale, secondo il sogno convergente dell’internazionalismo di sinistra e della globalizzazione capitalista.

Il mondo da abbattere non viene denominato per quel che è – la realtà dei legami religiosi e civili, famigliari e comunitari – ma viene ribattezzato in negativo come razzismo, fascismo, omotransfobia, antifemminismo.

Questa convergenza ha una precisa ricaduta sociale: dichiarare guerra al mondo comune, alla realtà, alla natura, al contesto in cui vive l’uomo da sempre, significa rompere con i popoli e ripartire dalle élites. Oligarchie economiche e finanziarie, politiche e intellettuali, nemiche del comune sentire, delle radici popolari e dei legami. E’ la ribellione delle élite di cui scrisse nel 1994 un lucido sociologo americano, Cristopher Lasch, che faceva il verso alla ribellione delle masse di Ortega y Gasset (1930).

Nelle sue opere Lasch notava quel che acuti osservatori nostrani di opposta estrazione come Augusto Del Noce e Pierpaolo Pasolini avevano già colto: i contestatori, i rivoluzionari, la sinistra radicale dichiaravano guerra al capitalismo ma poi combattevano il patriottismo, la religione, la famiglia tradizionale, ritenendo così di colpire il cuore e le retrovie del capitalismo. La loro lotta, invece, era del tutto funzionale al capitalismo, che voleva abbattere proprio quegli argini e disfarsi di quei legami che si opponevano all’instaurazione di una società compiutamente sradicata di individui soli, facile preda del consumismo. Anche Marx nel Manifesto aveva spiegato che con il capitalismo “si dissolvono tutti i rapporti sociali stabili e fissi, con il loro seguito di concezioni e di idee tradizionali e venerabili”. Per ottusità, presunzione o malafede, la sinistra ha ignorato il Manifesto di Marx (non un autore reazionario) ed è diventata il sicario della società tradizionale, con la benedizione del capitale… Cancellando i credenti, i famigliari, i patrioti, restano solo i consumatori; di merci e di ideologie. “Ci si libera dalla tradizione solo per piegarsi alla tirannia della moda” nota Lasch nel saggio Contro la cultura di massa (edito ora da Eleuthera).

La libertà consiste nello scegliere tra marchi, prodotti, “opinioni preconfezionate e ideologie progettate da opinion makers”; il processo avverrà, notava trent’anni fa Lasch, “distruggendo la memoria collettiva, sostituendo un’autorità responsabile con un nuovo star system”, oggi diremmo con gli influencer e le fabbriche del consenso manipolato. Resterà come illusoria gratifica quel “narcisismo di massa” di cui scrisse Lasch ne La cultura del narcisismo: è il nuovo oppio dei popoli, ridotti in formato single davanti allo specchio (alias uno smartphone).

Lasch auspicava un’alleanza per resistere all’assimilazione, allo sradicamento e alla modernizzazione forzata. Per Simone Weil chi è sradicato sradica; per Lasch ”lo sradicamento sradica tutto, salvo il bisogno di radici”.

Ecco dov’è il punto di fusione tra sinistra e capitale: nella dissoluzione dei legami naturali, religiosi e comunitari spacciata per emancipazione e liberazione dai mostri. Ti tolgono tutto e poi ti dicono: hai meno pesi e vincoli, ora sei libero di correre. Poi ti dicono pure dove andare, cosa comprare e che strada percorrere…

La Verità – 14 ottobre 2022

A un neofascista:  Difendi, conserva, prega! Pasolini 1975

E’ quasi sicuro che questa, / è la mia ultima poesia in friulano; /

e voglio parlare a un fascista / prima che io, o lui, siamo troppo lontani. /

E’ un fascista giovane, / avrà ventuno, ventidue anni: / è nato in un paese / ed è andato a scuola in città. … /

… Ascolta. Voglio farti un discorso / che sembra un testamento. /

Ma ricordati, io non mi faccio illusioni / su di te: io so, io so bene, / che tu non hai e non vuoi averlo, /

un cuore libero, e non puoi essere sincero: / ma anche se sei un morto, io ti parlerò. /

Difendi i paletti di gelso, di ontano, / in nome degli Dei, greci o cinesi. / Muori di amore per le vigne. / Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi. / Per il capo tosato dei tuoi compagni./

Difendi i campi tra il paese / e la campagna, con le loro pannocchie / abbandonate. Difendi il prato / tra l’ultima casa del paese e la roggia. /

I casali assomigliano a Chiese; / godi di questa idea, tienila nel cuore. / La confidenza col sole e con la pioggia, / lo sai, è sapienza sant

a. / Difendi, conserva, prega! La Repubblica /

è dentro nel corpo della madre. / I padri hanno cercato e tornato a cercare / di qua e di là, nascendo, morendo, /

cambiando: ma son tutte cose del passato. / Oggi difendere, conservare, pregare. Taci! … /

… Dunque, ragazzo dai calzetti di morto, / ti ho detto ciò che vogliono gli Dei dei campi. Là dove sei nato. /

Là dove da bambino hai imparato / i loro Comandamenti. Ma in Città? /

Là Cristo non basta. / Occorre la Chiesa: ma che sia / moderna. E occorrono i poveri. /

Tu difendi, conserva, prega: ma ama i poveri: ama la loro diversità… /

… Dentro il nostro mondo, di’ / di non essere borghese, ma un santo /

un soldato: un santo senza ignoranza, / un soldato senza violenza. /

Porta con mani di santo o soldato / l’intimità col Re, Destra divina / che è dentro di noi, nel sonno. /

Credi nel borghese cieco di onestà. / anche se è un’illusione, perché /

anche i padroni hanno / i loro padroni, e sono figli di padri / che stanno da qualche parte nel mondo. /

E’ sufficiente che solo il sentimento / della vita sia per tutti uguale: / i

Il resto non importa, giovane con in mano / il Libro senza la Parola. /

Hic desinit cantus. Prenditi / tu, sulle spalle, questo fardello. /

Io non posso: nessuno ne capirebbe / lo scandalo. Un vecchio ha rispetto /

del giudizio del mondo: anche / se non gliene importa niente. E ha rispetto / di ciò che egli è nel mondo.

Deve / difendere i suoi nervi, indeboliti, / e stare al gioco a cui non è mai stato. …
Prenditi tu questo peso, ragazzo che mi odii:
portalo tu. Risplende nel cuore. E io camminerò
leggero, andando avanti, scegliendo per sempre

la vita, la gioventù.

Questo neifasciusta non c’è più –  C’è il tolkieniano…