VERITA’ CRISTIANA E PERENNIALISMO di Luigi Copertino – quarta parte

VERITA’ CRISTIANA E PERENNIALISMO

quarta parte

L’ESEGESI DEL GENESI

La gnosi spuria, quindi, identifica l’Adam Kadmon, o Uomo Universale, che è invece il Verbo di Dio, con l’Uomo Adamico prima della sua “caduta” nella corporeità-limitazione, nella corporeità-prigione. Essa, in altri termini, postula che l’uomo, perdendo la consapevolezza della propria connaturata auto-divinità, è “caduto” nella  manifestazione esteriore, materiale, che è stato “gettato” nell’“oscurità” del mondo, che è stato “esiliato” dal Cielo sulla terra. Il Giardino di Eden, infatti, viene qui inteso come uno stato superiore della manifestazione e non come  la terra stessa quale essa era in origine, ossia come era in origine vissuta dall’uomo adamico che, in comunione con Dio, non era soggetto alle condizioni spazio-temporali dell’esistenza pur vivendo nel suo corpo materiale ed in questo mondo creato.

La gnosi spuria, di fonte luciferina, si presenta come un complesso dottrinario che falsifica la Rivelazione originaria mescolandola con elementi estranei ed eterogenei. Si tratta di una strategia intesa a farsi accreditare dal cuore dell’uomo che è fatto solo per il Signore Dio. La narrazione biblica della prova e della tentazione dice, per l’appunto, del suadente ed ingannevole fascino che la gnosi spuria esercita sull’uomo, inducendo in lui la superbia luciferica dell’emancipazione da Colui che lo ha voluto per amore. Nel Genesi la gnosi spuria è simboleggiata dall’ourobouros, o serpente che si morde la coda. Con tale simbolo la Rivelazione indica le concezioni olistico-cicliche dell’eterno ritorno, senza trascendenza, che promettono la “conoscenza”, appunto la “gnosi”, del bene e del male intesi quali polarità dialettiche nell’ininterrotta ciclicità, intesi, in altri termini, quali “doppio contrario” – ossia dualismo nel quale i doppi si richiamano vicendevolmente sicché il bene è nel male ed il male è nel bene – che cela un monismo indifferenziato e nichilista. La “conoscenza ourobourica” promette all’io il potere di ergersi, di sostituirsi, a Dio nello stabilire cosa è bene e cosa è male. Posizione che, in termini filosofici, si definisce “soggettivismo”.

Abbiamo visto come  Attilio Mordini, nella citata “Verità del linguaggio”, per riconciliare la fede cristiana con la Philosophia perennis, nel tentativo di discernere il dato rivelato da quello spurio, sottolinea che Adamo, in quanto Icona del Verbo, è l’unica creatura ad essere dotata di parola, ad immagine appunto della Parola di Dio, sicché quando l’Adamo creatura, come narrato nel Genesi, attribuisce agli altri esseri il nome, che in termini metafisici equivale ad attribuire loro l’essenza, può farlo non per propria autonoma potenza ma soltanto nella Potenza dell’Adam Kadmon, del Verbo, di cui egli, l’uomo creatura, è partecipe icona. L’attribuzione adamica del nome alle creature, pertanto, non va intesa, al modo gnostico, come emanazione degli esseri nel modularsi della sostanza divina lungo il processo di manifestazione.

Nel Genesi l’Adamo creatura, icona dell’Adam Kadmon, è ab aeterno, in Mente Dei, proprio perché icona del Verbo di Dio, un archetipo principiale, una possibilità ideale. L’Adamo creatura è in Dio “sin dagli albori dei secoli” ovvero prima della creazione del cosmo spazio-temporale (il tempo stesso è creato) perché Dio crea il mondo per amore dell’uomo, affinché tra tutte ci fosse una creatura che potesse ricambiare il suo Amore e con la quale dialogare per l’eternità. Il Dio trinitario, infatti, è “ad intra” comunione d’Amore e per questo riversa il suo amore “ad extra” sulle creature.

Dio ha creato il mondo affinché il Figlio, l’Adam Kadmon, il Suo Verbo, potesse incarnarsi per glorificare il Padre attuando, con un sacrificio che senza il peccato dell’uomo non sarebbe stato cruento, la glorificazione della creazione nella trasfigurazione della  Gerusalemme celeste futura. Ed affinché l’Adam Kadmon si incarnasse era necessario l’Adamo creatura che del Verbo era ab aeterno, in Mente Dei, l’Icona. L’uomo quindi è stato gratuitamente voluto ed amato, quale icona di Dio, per sé stesso e non per una mera necessità dinamica intrinseca alla manifestazione del cosmo o, come pure ipotizza, in questo cedendo ad un elemento eterogeneo, lo stesso Mordini, quale risposta al “non serviam” di Lucifero sicché senza la ribellione angelica non vi sarebbe stata né la creazione del mondo materiale né quella dell’uomo.

Secondo una antica tradizione ebraico-cristiana, ma anche islamica, il peccato di Lucifero, il “non serviam”, fu il rifiuto da parte del più puro degli angeli, il più vicino a Dio, della prospettiva dell’Incarnazione futura del Verbo di Dio che il Signore mostrò alle sue creature angeliche per mettere alla prova il loro amore verso di Lui. La vicinanza a Dio, la sua vertiginosa spiritualità, si capovolse per Lucifero in una tentazione di orgoglio che lo portò a disprezzare la carne, il mondo materiale, e quindi a ribellarsi ad un Dio che voleva incarnarsi, che voleva “sporcarsi” con la materia. Il più spirituale degli angeli, di fronte alla prospettiva dell’Incarnazione del Verbo, giunse a proclamare che se Dio voleva incarnarsi non poteva essere veramente il Dio al di sopra di tutto, ma solo un mera deità intermedia che operava per disturbare la quiete assoluta del Divino Apofatico. Da qui il cedimento di Lucifero alla tentazione di imporsi sé stesso all’adorazione degli angeli al posto del Creatore, rinnegato in quanto tale. Tentativo contestato, come è noto, dall’Arcangelo Michele. Lucifero, dunque, fu il primo degli gnostici, degli adepti della gnosi spuria. Anzi ne fu il fondatore e sarebbe più tardi tornato sulla scena della creazione per tentare l’Adamo creatura, con le dottrine ourobouriche, allo scopo di “sfregiare” il disegno incarnazionista di Dio.

Dunque, per la Rivelazione originaria, ossia per la vera Philosophia perennis ancora immune da inquinamenti luciferini, l’uomo compare sulla scena del mondo non per caduta o per esilio ma, molto più beneficamente ed “ottimisticamente”, mediante passaggio dalla potenza all’atto di ciò che ab aeterno è in Mente Dei. L’uomo è creato, per attuazione potenziale, in Dio. «In Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» come disse Paolo ai filosofi dell’Areopago di Atene citando un passo dei “I Fenomeni”, 5, del poeta cilicio Arato di Soli. Le opere “ad extra” di Dio non sono “fuori” di Lui, dato che Egli è Omnicomprensivo ed Ubiquitario, ma sono, per partecipazione, in Lui, benché “altre da Lui” non potendo esserci affatto connaturalità, ma appunto solo partecipazione ontologica, tra Dio e creazione (affermare il contrario significa affermare la “coincidenza” panteista tra Dio e uomo, che è, come si è visto, l’essenza della gnosi spuria).

In termini più spirituali l’uomo è stato creato, per amore, dall’Amore Infinito di Dio, in questo mondo materiale che gli fu inizialmente dato in custodia nell’immunità mistica di una privilegiata condizione ontologica gratis data. L’Eden, infatti, è la creazione, questa stessa creazione attuale, come però “vissuta” dall’uomo in grazia, prima di essere sedotto dall’esoterismo ambiguo della gnosi spuria. L’uomo adamico era originariamente immune dalle sofferenze e dalle condizionalità che invece egli, oggi, sperimenta a conseguenza del suo allontanamento dalla Vera Conoscenza, dalla Vera Gnosi, dono gratuito di Dio, per la pseudo-gnosi ourobourica.

LA COSTITUZIONE TRIPARTITA DELL’UOMO

L’uomo è l’unica creatura dotata di spirito, anima e corpo (14). All’uomo adamico nell’Eden era concesso di vivere, contemporaneamente, nei tre livelli della Realtà, il soprannaturale, il preternaturale ed il naturale. Adamo, pur essendo stato tratto dalla “terra” (terra rossa è il significato proprio del termine Adam), dialogava perennemente con Dio – il Quale “passeggiava nel giardino alla brezza del giorno” (Gn. 3,8) laddove per “giardino” non deve intendersi soltanto l’Eden-creazione ma soprattutto il cuore dell’uomo che era agli occhi di Dio un “giardino di grazia” dove fiorivano le delizie dell’Amore infuso – e aveva accesso anche al Mondo intermedio, o Mundus Immaginabilis, che è il livello sottile, preternaturale, del tessuto cosmico. Nel quale operano forze incorporee di vario tipo come anche gli spiriti angelici, che puri spiriti, tuttavia creati, e non increati, abbisognano di un sottile “rivestimento di luce eterea” per manifestarsi all’uomo. Nel Mondo intermedio si situano anche quegli “stati post-mortem” che in origine erano soltanto paradisiaci ma ora, dopo la perdita della santità originale, sono suscettibili di capovolgimento infernale per coloro che in vita addensano un vissuto di negatività, di peccato.

La Rivelazione biblica, nel suo insieme di Tradizione orale e di Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, ci svela la tricotomia costitutiva dell’essere umano nel cui ambito al cuore, sede della coscienza, dello spirito, è assegnato un ruolo capitale nell’esperienza di vita e di fede (15).

Nel racconto della creazione – «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1,27) – l’uomo, imago Dei, è intronizzato al centro del creato. L’essere umano, uomo e donna, fatto ad immagine e somiglianza del suo Creatore, è l’apice di tutta la creazione. L’uomo è “plasmato” da Dio ed animato dal suo ruah. Il Libro della Sapienza ci svela il perché di questa centralità dell’uomo e il perché di tanto privilegio: «Dio ha creato l’uomo per l’immortalità» (Sap 2,23). Solo l’essere umano è, infatti, chiamato alla piena comunione con Dio per condividerne la Vita.

L’uomo è presentato come una unità tricotomica. Nel contesto biblico, in questo non dissimile dagli altri contesti religiosi, «la persona umana è unità dello spirito, dell’anima e del corpo; è la visione tricotomica dell’uomo in contrasto con la visione dualista: “l’uomo è corpo e anima”» (16).

La Rivelazione esprime la realtà umana con tre termini: corpo – carne: basar/sarx/sôma; anima: nefeš/psychê; spirito: ruâh/pneûma. Non si tratta di “parti” della persona poiché ciascuno di detti termini vuole esprimere sia la totalità della persona sia un aspetto singolare della realtà umana. La parola basar nell’Antico Testamento indica la realtà,  tanto umana quanto animale, del corpo, della carne. La corporeità è una realtà positiva in quanto uscita dalle mani di Dio, sua opera. Il corpo non è concepito come estraneo all’uomo, come un ostacolo per l’anima, poiché il corpo esprime la persona nelle tappe più importanti del suo cammino. Nel Nuovo Testamento il corpo è indicato mediante due differenti termini: sárx e sôma. E’ la teologia paolina che spiega il loro pieno significato. La parola sárx indica la “carne” che ha desideri contrari allo Spirito. D’altro canto, però, il corpo umano – sôma – è il tempio dello Spirito Santo ed è realtà che, nella triade con lo spirito e l’anima, è votata alla redenzione, alla resurrezione.

L’aspetto “sarxico” del corpo ebbe una forte sottolineatura nell’esperienza ascetica dei Padri del deserto, nel monachesimo e nell’eremitismo. Un grande influsso, in questo, fu apportato dalla filosofia greca che nel corpo vedeva la “prigione” dello spirito, un luogo di caduta del “nous” ossia dell’intelletto. Platone affermava, appunto, che il corpo è la prigione o la tomba dell’anima. Il corpo, soggetto al peccato per la colpa originaria di Adamo, diventa, in certe esperienze ascetiche eccessivamente influenzate dal pensiero ellenistico, un peso per l’anima. San Basilio ingiunge che: «bisogna riservare all’anima il meglio delle nostre cure; con l’aiuto della filosofia bisogna liberarla come da una prigione dal legame che la incatena alle passioni del corpo». Ma, nonostante l’influsso ellenistico, egli chiama “prigione” e “catene” le passioni del corpo, non il corpo in sé. Un altro padre del deserto così si esprime: «l’anima è il nostro unico e vero bene: all’infuori di essa, non c’è né bene, né male, né virtù, né vizio». L’influsso platonico, tuttavia, fu armonizzato con il riconoscimento della bontà originaria del corpo, sicché l’esperienza monastica ed ascetica giunse ad un sostanziale equilibrio nella considerazione dei rapporti tra spirito, anima e corpo. Così, secondo un insegnamento dei Padri del deserto «un anziano ha detto: “Alzati all’alba e dì a te stesso: corpo lavora per nutrirti; anima sii vigilante per ottenere l’eredità”».

Proprio perché il corpo non è affatto né estraneo né nemico della realtà umana, ed anzi è una componente fondamentale della costituzione tripartita della persona, che è tutta destinata alla salvezza, nella visione biblica assume importanza fondamentale il cuore, inteso non solo quale simbolo ma proprio quale organo fisico. Il termine Lēb/cardia indica il luogo più intimo e nascosto nell’uomo, la sede dei sentimenti e desideri, della ragione e delle decisioni. In perfetta sintonia con il Vangelo – «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8) – è comprensibile l’attenzione che sin dall’inizio fu posta per la purificazione interiore.

La mortificazione di stampo manicheo che, considerando il corpo in sé un male, reprime gli impulsi – quelli della sfera della sensualità come quelli dell’egocentrismo, che generano impurità, aggressività, orgoglio, gelosia, vanità, accidia, etc. – anziché governarli ed ordinarli, purificandoli, verso l’Alto e verso il Centro, non è stata mai accettata dalla Chiesa. E del resto si rivela immancabilmente inutile dato che la repressione, a differenza del governo e della sublimazione dei propri impulsi, provoca un indurimento del cuore che è portato, nel rigorismo ascetico assoluto, a presumere di poter vincere senza la Grazia, senza l’Aiuto indispensabile e davvero risolutore, guaritore, di Dio. Per i Padri del deserto, infatti, il problema non consiste nel soffocare gli impulsi ma nell’educarli. Come, ad esempio, insegna l’abba Poemen: «Nessuno ci ha insegnato ad uccidere il corpo, ma le sue passioni».

I QUATTRO FIUMI DEL GENESI

«un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi» (Gn. 2,10).

Al centro dell’Eden, nella narrazione biblica, è posto l’Albero della Vita. Sembra che si parli di due alberi, quello della Vita e quello della Conoscenza del bene e del male. In realtà, è preferibile l’opinione esegetica per la quale di un solo Albero si tratta, dato che la Vita fluisce per mezzo della Vera Gnosi, della Vera Conoscenza, che è data da Dio e non può essere pretesa prometeicamente dall’uomo che crede, così, di farsi “dio” da sé e senza la Grazia.

Insieme all’Albero della Vita e della Conoscenza, che ci sarà restituito dalla Croce come avevano ben capito i medioevali i quali raffigurarono Cristo immolato sulla Croce/Albero, la narrazione biblica del Genesi descrive quattro fiumi di cui soltanto due, l’Eufrate ed il Tigri, sono geograficamente determinabili. Ciascuno dei quattro fiumi edenici scorre, simbolicamente, verso una delle quattro parti del mondo. Questo conferisce al Giardino edenico una posizione centrale (Gn. 2, 11-14). Il fiume evoca generalmente il simbolismo del divenire, della corrente, del fluire dell’acqua che è, a sua volta, simbolo di ciò che, scorrendo, non è immoto, non è Eterno. Immediato qui potrebbe scattare il parallelo con la “Prakriti” indù se non fosse per il fatto che, nel Genesi, i quattro fiumi, che sgorgano dall’Eden, dal Paradiso terrestre immagine di quello celeste, simboleggiano la Vita divina che si sparge generosa sulla creazione. In tal senso l’acqua è simbolo, oltre che elemento necessario, anche della vita biologica. La corrente scendendo porta la vita ovunque, mentre risalire la corrente assume il significato del ritorno verso la sorgente. Nel caso dei quattro fiumi edenici, però, come si accennava, la sorgente è celeste perché strettamente legata al simbolo dell’“Albero della Vita”. I quattro fiumi dell’Eden scorrono orizzontalmente alla superficie della terra e non verticalmente, come invece richiederebbe la direzione assiale, ma hanno la sorgente ai piedi dell’“Albero della Vita” che è anche l’Asse del Mondo ossia il Verbo di Dio, l’Adam Kadmon, l’Uomo Universale, Fonte anche della Vera Conoscenza.

Il simbolismo dei fiumi edenici è anche numerologico perché 4 è numero che allude alla totalità cosmica. Quattro sono i punti cardinali, quattro sono i venti principali, quattro le stagioni e quattro le fasi lunari, quattro sono gli elementi del mondo – aria, acqua, terra e fuoco – e quattro le qualità essenziali dell’umido, del secco, del caldo e del freddo. Nella Bibbia il “quattro” rimane un riferimento al mondo creato da Dio e sta ad indicare anche la legge del dualismo – quattro è il doppio di due – cui l’Adamo originario non era soggetto. Il fiume che nasce nel Giardino dell’Eden si divide in quattro corsi (Gn 2, 10) volgendosi verso i punti cardinali dell’Oriente, dell’Occidente, del Settentrione e del Meridione, a sancirne la valenza cosmica.

I quattro fiumi edenici citati nel Genesi – il Tigri, l’Eufrate, il Gihon ed il Pison – rappresentano la totalità del Cosmo irrogato dall’Acqua Viva che possiede la vita in sé e conduce essa stessa alla vita, perché si tratta dell’Acqua che sarebbe sgorgata, insieme al Sangue, dal Costato trafitto di Cristo.  Acqua bevendo la Quale non si ha mai più sete, come Gesù svelò alla seducente samaritana presso la fonte, perché l’Acqua della Vita altro non è che lo Spirito Santo.

«La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d’acqua» profetizzava, in vista di Cristo, Isaia (Is. 35,7).

E la Sapienza, ovvero il Verbo di Dio, con evidente richiamo ai fiumi edenici ed al loro significato metafisico, oggi non più compreso da tanta teologia ed esegesi sedotta dallo storicismo senza trascendenza, così parla , nel libro del Siracide:

«Essa trabocca di Sapienza come il Pison e come il Tigri nella stagione dei frutti nuovi, fa dilagare l’intelligenza come l’Eufrate e come il Giordano nei giorni della mietitura, espande la dottrina come il Nilo, come il Ghicon nei giorni della vendemmia. Il primo non ne esaurisce la conoscenza né l’ultimo la può pienamente indagare. Il suo pensiero infatti è più vasto del mare e il suo consiglio più del grande abisso. Io sono come un canale derivante da un fiume e come un corso d’acqua sono uscita verso un giardino. Ho detto: “Innaffierò il mio giardino e irrigherò la mia aiuola!”. Ed ecco il mio canale è divenuto un fiume e il mio fiume un mare. Farò ancora splendere la mia dottrina come l’aurora; la farò brillare molto lontano. Riverserò ancora l’insegnamento come una profezia, lo lascerò per le generazioni future. Vedete, non ho lavorato solo per me, ma per quanti cercano la dottrina» (Siracide, 24, 23-32).

Dal canto suo, il Libro della Rivelazione si ricollega al Libro della Creazione, nel descrivere il fiume che sgorga dal Tempio escatologico, quando proclama

«Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova l’albero della vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni» (Ap. 22, 1-2).

IL PUNTO CRUCIALE DELLA QUESTIONE

Il punto davvero cruciale, che torna continuamente, è dunque se l’essere è partecipazione oppure caduta, degradazione, emanazione, manifestazione. Detto in altri termini, se l’essere è bontà, dono di un Amore infinito, oppure prigione, illusione, costrizione, malvagità, negazione. Lo gnostico solitamente rigetta il problema perché, dice, è posto in termini teologici, devozionali, letteralisti, non metafisici. Qui, tuttavia, non si tratta di linguaggio teologico o metafisico, né di letteralismo o esoterismo. Qui si tratta della comprensione profonda della Rivelazione primordiale. Il Verbo si è fatto carne perché la carne è buona, come ogni sua opera. Ed il corpo di Cristo non imprigiona la Sua Divinità, non ne è una emanazione più o meno evanescente, più o meno concreta. Il corpo di Cristo, che continuiamo a toccare nell’Eucarestia, non è illusorio, non è apparente. Quel corpo, del tutto carnale, è risorto nella carne trasfigurata, certo attingendo a stati dell’essere onnipotenti, ma non “replicandosi” sul piano sottile ’si da lasciar cadere, nella corruzione, la sua carnalità.

Non stiamo parlando, ripetiamo, in “termini teologici” o “devozionali”, come dicono esoteristi e guenoniani di diversa obbedienza, ma nei termini della Rivelazione cristiana la quale è la stessa Rivelazione originaria. L’Incarnazione del Verbo era prevista nel disegno divino sin dagli inizi, perché «Tutte le cose sono stare create per mezzo di Lui ed in vista di Lui … e tutte sussistono in Lui» (Paolo, Col. 1,16-17). La creazione non è stata una conseguenza del peccato umano, quella è stata la Passione. Come abbiamo già accennato, secondo una antichissima tradizione, fu proprio lo “scandalo” di Lucifero – quando Dio sottopose gli angeli viatori alla prova –, davanti alla prospettiva che il Verbo di Dio si sarebbe incarnato, si sarebbe “sporcato” con la carne, ad indurlo al “non serviam”, a non servire un Dio che voleva umiliarsi fino ad incarnarsi. E’ chiaro che, qui, è in gioco la questione della bontà o meno del creato. O la creazione, come rivelato in Genesi, è l’Opus Magnum dell’Amore di Dio, dunque opera buona, oppure la creazione, in quanto materiale, è solo “caduta”, “degradazione”, “frammentazione” di una indistinta unità primordiale, che un “cattivo” demiurgo (il quale, non a caso, le correnti dello gnosticismo spurio hanno identificato, in polemica con il Cristianesimo, nel Dio biblico: vedasi l’eresia di Marcione) avrebbe distrutto.

La Rivelazione ci dice che lo stato adamico, l’Eden, non era “sottile”, come se la materia ed il corpo fossero impuri, fossero prigione di una scintilla divina caduta dal pleroma indistinto delle origini e quindi da liberare dal contatto con la carne corrotta per essenza. Questa fu la concezione del catarismo e poi, non a caso, del luteranesimo, per i quali l’uomo, nella sua natura, quindi anche in quella corporea, sarebbe solo una “cloaca di corruzione”. Al contrario, Francesco d’Assisi cantava le lodi alla Bontà dell’Altissimo per la sua creazione, ontologicamente buona come tutte le sue opere.

Pensare ad un Eden immateriale, “sottile”, dal quale l’Adamo primordiale, in origine senza corpo o con un “corpo immateriale”, sarebbe “caduto” nella tenebra della materia “cattiva”, non è cristiano, non è “gnosticamente cristiano”, non è, cioè, gnosi pura, Sapienza rivelata. L’Eden, biblicamente, è una realtà concreta, materiale, corporea, è questa stessa creazione attuale come originariamente vissuta dall’uomo partecipe, in spirito anima e corpo, dell’Amore di Dio, prima del suo atto di orgoglio prometeico ossia prima che egli tentasse l’auto-deificazione indottovi dal suo abbandonare la gnosi pura, rivelatagli da Dio, per la gnosi spuria, quella dell’ourobourus, il “serpente che si morde la coda”, presente nei miti della fecondità ciclica.

“Come vissuta dall’uomo” ossia – ripetiamo – in modo del tutto diverso da come egli la vive oggi, sottoposto alle leggi temporali del divenire e della nascita-morte dalle quali Dio, pur avendolo creato in spirito anima e corpo, lo aveva preservato nella partecipazione a Sè, alla Divinità. Esattamente quella partecipazione che con il peccato l’uomo ha perso.

Dio aveva preservato Adamo dalle limitazioni e condizionalità dello spazio-tempo in attesa del suo passaggio, della sua trasposizione  o assunzione, al Cielo. La “morte” dell’uomo adamico altro non sarebbe stata che l’assunzione di tutto l’uomo, spirito anima e corpo, al Cielo. Come è accaduto per Enoch ed Elia, da Dio privilegiati nonostante il peccato originale non fosse ancora stato rimosso dal Sacrificio della Croce. Come, soprattutto, è accaduto per la Vergine Maria, la quale infatti sin dal primo istante della sua concezione è immune dal peccato originale.

Non è dato sapere con precisione se la “morte” dell’uomo adamico sarebbe avvenuta con o senza produzione del cadavere ossia se prima con l’ingresso del sé spirituale e psichico nei Cieli e, poi, alla fine del mondo, anche mediante l’assunzione del corpo ricongiunto allo spirito ed all’anima, oppure se sarebbe avvenuta senza produzione del cadavere ovvero con l’assunzione immediata anche del corpo. La sequela millenaria dei corpi incorrotti di molti santi – si pensi soltanto a quello, davvero unico, di Bernadette Soubirous, che chi ha potuto toccare dice essere ancora vivo come quello di chi fosse solo dormiente – porterebbe a propendere per la prima ipotesi che, del resto, è più coerente con il progressivo dispiegarsi storico del disegno salvifico di Dio.

Quel che è certo è che lo scopo finale della stessa creazione è quello di essere “assunta” nella forma dei “nuovi cieli e nuove terre”, ossia di essere trasfigurata ma non negata nella sua materialità, come appunto svela l’Apocalisse ossia il Libro della Rivelazione. La creazione è, esiste, per l’Amore/Spirito del Padre verso il Figlio. Dio ha fatto il mondo per Amore del Suo Verbo che è l’Archetipo stesso di tutto quanto è. Di questo Archetipo l’uomo è l’Icona sicché la sua colpa ha aggiunto all’Incarnazione del Verbo, già contemplata nel Disegno di Dio, anche la necessità del Sacrificio di Passione, del Sacrificio della Croce.

Per comprendere, almeno un po’, la fenomenologia della condizione ontologica dell’uomo adamico, prima del suo cedimento alla gnosi ourobourica, non si deve far altro che esaminare la fenomenologia della condizione ontologica dei mistici. Nella vita dei mistici si manifestano tutta una serie di fenomeni che denotano la non soggezione, per Grazia di Dio ossia per opera dello Spirito Santo, alle leggi caduche della creazione. Dal digiuno ininterrotto e senza conseguenze di debilitazione fisica alla moltiplicazione miracolosa del cibo, dalla “insonnia continua”, ossia la non necessità del sonno ristoratore, alla cardiognosi o “scrutazione dei cuori”, dalla bilocazione all’assunzione momentanea al Cielo con relative visioni ed audizioni inenarrabili, dalla mancanza di patimento del freddo, per via dell’alta temperatura corporea prodotta dal “Fuoco dello Spirito” acceso nel cuore, alla non soggezione alle pulsioni erotiche, perfettamente dominate e volontariamente dirette o, in taluni casi, addirittura sospese, fino alla immunità dalle malattie e via dicendo. Tutta questa fenomenologia è, però, attestata in presenza del corpo, non senza di esso o liberandosi da esso. Essa testimonia di una dimensione originaria, perduta dall’umanità e restituita per grazia nei mistici, che poneva l’essere umano, del tutto corporeo, al riparo dai limiti e dalle condizioni – fame, freddo, malattie, etc. – proprie dello spazio-tempo, cui sono invece soggette le altre creature non infuse dal Ruach.

Il Cristianesimo è una silenziosa, misconosciuta, nascosta (ai sapienti del mondo), opera di Carità e Misericordia che ha le sue radici nell’Amore di Dio e del prossimo. Ma questo non sarebbe possibile se la fede non riconoscesse la bontà dell’Opera di Dio, la bontà ontologica della creazione e riducesse il mondo ad una “caduta” dello Spirito nella materia impura, densa, ossificante e quindi “prigione”. Ora, dire questo, non significa dire che il Cristianesimo sia volto solo al mondo, al sociale, all’etica. Al contrario, la Rivelazione indica come meta ultima e superiore il Cielo, fatto da molte “dimore” e quindi l’assunzione dell’uomo nell’Amore Infinito. Gesù agli apostoli, sottendendo che ad essi, e quindi alla Chiesa, è stata rivelata la via: «Nella Casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve lo avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via», Gv. 14, 1-4). Nell’attesa, come si è detto, dell’Omega escatologico nel quale anche il mondo creato sarà assunto nella trasfigurazione gloriosa della Luce Increata, pur senza perdere la sua esistenza ontologica di bontà creata. Il mondo è stato creato in “statu viae” per un disegno di Amore volto alla sua finale e definitiva glorificazione a Gloria del Creatore. L’Omega escatologico sarà anche la resurrezione della carne, nella trasfigurazione dei corpi – esattamente di questi stessi corpi che abbiamo, e non altri di rimpiazzo, sottili o meno – richiamati alla Vita e riuniti all’anima ed allo spirito.

Risorto nel suo corpo glorificato, Cristo ha dovuto vincere l’incredulità degli apostoli e convincerli che la sua era vera carne, che Egli non era un fantasma, che il suo non era, come più tardi avrebbero sostenuto alcune correnti platonizzanti e gnostiche da cui mossero le eresie monofisite, un “corpo etereo”. Per questo Egli chiese agli apostoli che gli dessero da mangiare e mangiò, nel suo corpo risorto e trasfigurato, al loro cospetto. Non temette neanche di invitare Tommaso a mettere il dito nelle sue piaghe, ossia a toccarlo. Tommaso, che per timore reverenziale si ritrasse, avrebbe potuto constatare, come più tardi fecero alcuni mistici, che quello di Cristo risorto è un corpo reale, carnale, sebbene trasfigurato nella Gloria Divina.

L’essere esiste in dipendenza dal Principio. Dal Dio Vivente. L’essere è partecipazione, non caduta dal Centro verso una periferia quale conseguenza di una degradazione o di una emanazione. Esiste un “Plato christianus” ed un “Plato non christianus”, come avevano ben compreso i Padri della Chiesa. Aurelio Agostino dovette non poco faticare per discernere il grano dal loglio nel suo iniziale platonismo, per trattenere solo quel che del platonismo è espressione coerente della Rivelazione Universale. Lo stesso può dirsi per la tradizione cabalista. Gershom Scholem ci ha spiegato la Cabala ma non ha mai distinto, come ha fatto invece un Julio Meinvielle, quel che nelle sue varie correnti è in relazione con la Rivelazione biblica e quel che non lo è.

L’orrore per la carne, per la corporeità – l’orrore di Lucifero per l’Incarnazione –, è conseguenza della convinzione secondo la quale la materia, periferia estrema ed oscura della “manifestazione” o “emanazione”, sarebbe decadenza, prigione dello spirito. Ora, questa convinzione si ritrova, puntualmente, in un certo tipo di esoterismo e, lungo i secoli, nelle varie correnti di pseudo-gnosi confliggenti con la Rivelazione. Come, ad esempio, il catarismo o alcune correnti cabaliste sulle cui dottrine si fonda lo spiritualismo massonico.

Alla Luce della Rivelazione sbagliano coloro che ipotizzano all’origine un corpo dematerializzato per l’Adamo primordiale. Ne si può parlare, per quello adamico precedente la caduta, di un “corpo rigenerato” ossia ontologicamente differente da quello successivo al peccato originale. Questa tesi, infatti, è soltanto un camuffamento del problema dato che, implicitamente, si continua ad afferma che, se non il “corpo primigenio”, certamente quello attuale è “caduta” nella materialità impura, degradazione, sicché  sarebbe inevitabile concludere che attualmente, così come esso è ora, il corpo dell’uomo è un “male”.

L’uomo è esistito, sin dalla sua comparsa (non certo per evoluzione darwiniana), nella sua triplice dimensione spirito-anima-corpo. Non ha assunto un corpo materiale quale conseguenza di una caduta nell’oscurità della materia, seguendo la discesa cosmica supposta da certo esoterismo. L’Uomo Adamico, carnale quanto noi, viveva in comunione con lo Spirito di Dio e questo lo rendeva immune dal divenire biologico come lo conosciamo oggi noi, nella situazione post-adamica, a causa dell’“eritis sicut Dei” ossia della tentazione, luciferina, cui i progenitori cedettero ed alla quale siamo anche noi perennemente esposti, di farsi Dio da sé, di auto-divinizzarsi, anziché attendere la deificazione, ovvero l’assunzione negli stati superiori dell’essere, come dono gratuito dall’Alto.

Benedetto XVI è a questa Verità rivelata che ha fatto riferimento quando ha ricordato (“Avvenire” del 10.04.2008) che l’uomo resta perennemente esposto al pericolo di soccombere “all’antica tentazione di volersi redimere da sé”, utopia che, in modi diversi, nell’Europa del novecento ha causato, come ebbe a rilevare anche Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/I, 1990, p. 58)”.

Luigi Copertino

NOTE

14) L’uomo ha un “io” che non è però identificabile con i moti della sua psiche e neanche con il suo pensiero, sempre in movimento, ma piuttosto con quanto di imperituro c’è in lui e che gli permette di avere coscienza di sé nonostante in lui tutto, a livello psico-fisico, muti continuamente. Se non ci fosse un “io”, che è lo “spirito”, il quale ha sede nel cuore, l’uomo non potrebbe avere alcuna consapevolezza di sé e del mondo, come infatti non ne hanno gli animali del tutto determinati dall’istinto ossia dal divenire dell’immanenza alla quale appartengono completamente e senza aperture trascendenti. E’ chiaro che c’è una distinzione – altrimenti saremmo nel panteismo – tra lo “spirito” e lo “Spirito”, ossia tra lo spirito personale, il “ruach” infuso da Dio nell’Adamo, spirito creato e dunque buono ed amato dall’Altissimo perché sua icona, e lo Spirito Santo, ossia lo Spirito Universale, lo Spirito di Dio, al quale lo spirito umano era in origine unito per partecipazione (non per identificazione: altrimenti, si ripete, sarebbe panteismo). Santa Teresa d’Avila e san Paolo, ad esempio, distinguono – e non sono certo i soli a farlo – tra “spirito” e “Spirito Santo”.

15) Quanto andiamo ora dicendo sulla tricotomia umana è tratto da Dariusz Kowalewski “Gli apoftegmi dei Padri del deserto sulla morte e risurrezione” in AA.VV. “Al di là della morte e del lutto – dal mondo omerico ai Padri, quale speranza per l’uomo post-moderno?” a cura di padre Guglielmo Spirito ofm conv. E di Juan V. Estigarribia. Il Cerchio, Rimini, 2016. In particolare le pp. 158-159.

16) Cfr. “Nuovo dizionario di spiritualità” a c. di Stefano Flores e Tullio Goffi, Torino, 1989.

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