VANTAGGI DELL’ANDARE VERGINI ALLE NOZZE. ANCHE SOCIO-ECONOMICI.

Era prima della mitica “liberazione sessuale”, ma sono in grado di ricordarlo. Un ragazza chiacchierata, leggera,  subiva una certa misura di esclusione da parte della gente; così la donna di  “liberi costumi”, o anche solo separata,   non veniva ricevuta in certe case, e non solo borghesi, ma operaie.

Per i maschietti sembrava ciò valesse meno. In realtà,  la castità era almeno raccomandata come un ideale  dalla cultura dominante, cattolica,  e di fatto, per i più  (“la gente”), l’incontro  col sesso avveniva alla maggiore età , durante il servizio militare.  In un bordello, insieme alle  “cattive compagnie” da cui  mamme e parenti ci avevano esortato a star lontane,  e con un certo successo, anche perché non era così facile trovare allora  numerosi  “cattivi esempi”  tra i coetanei.  E le ragazze, con quanto forza difendevano la loro verginità contro le goffe avances dei ragazzotti!

Volete bollare questa  come “repressione”,  fate pure. Col senno di poi, io vedo quanto era benefica: ha trattenuto  milioni di giovani in fiore da cedimenti di cui si sarebbero pentite, da “cadute”  di un momento  le cui conseguenze possono durare una vita e pesare sull’anima per sempre (aborto).  Obbedendo alla pressione sociali “repressiva”, anzi, facendosi psico-poliziotte di questa,  intere generazioni di donne hanno trovato il cardine del loro destino  e della loro nobile vocazione di sposa e di madre (ammetterete che è più nobile di quella di donna di piacere); hanno conservato  l’idea del sesso come un premio raro, difficile  e sublime (con gran vantaggio dell’eros, fra l’altro)  per la civiltà: è noto come   la sublimazione sessuale sia la molla energetica delle grandi imprese dell’uomo europeo.

Ma fatto ancor più decisivo, le donne negandosi al “facile” –  foss’anche per adesione al tabù sociale  –  hanno  incardinato  anche i maschi, li hanno messi sulla via del loro destino, ne hanno trattenuto la dissipazione; hanno contribuito a renderli, se non cavalieri, almeno formati nel carattere, responsabili, disposti a sobbarcarsi un compito – se non quello di cavaliere (ma la Cavalleria per secoli ha forgiato i costumi nei rapporti fra i sessi, almeno come ideale), come padri di famiglia.  Essere padri di famiglia è, per la parte maschile della “gente” ,  la cosa  più vicina ad  una vocazione. Anzi, è la vocazione dell’uomo medio,  quella che lo trattiene dal divenire senz’altro l’uomo massa,  o l’ameba da discoteca.

Liberazione  divenuta schiavizzazione

Poi è venuta  la “liberazione sessuale”  e la fede collettiva in essa.   I “tabù” sono caduti,  la pressione sociale  “repressiva” a protezione della verginità e la castità sono   venute meno, sosituite dalla pressione contraria della “larghezza di vedute” per cui “non si deve giudicare”.   L’Autorità collettiva e plurale ha avuto  il gioco facile a farlo, perché in fondo è facile portare la gente sulla china della sua sensualità, mentre la  contenutezza richiede sforzo.  Da discorso intimo e privato, il sesso divenne dibattito pubblico.  La “pillola” e il preservativo furono annunciati come   la “liberazione della donna”.

Paolo VI, in una delle sue (rare) buone battute,  vaticinò: “L’anticoncezionale libera la donna? Libera l’uomo, invece!”.

Aveva ragione al di là di ogni previsione.  Vicino a casa mia, in una scuola di periferia, ragazzine di 14 anni fanno lavori di bocca al loro fidanzatino, non perché gli piaccia, ma perché altrimenti lui le lascia, e il branco le espelle e tormenta o deride, magari postando su Facebook i momenti di “intimità”, diciamo. Strana “liberazione della donna”, quella che l’ha affrancata dalla pressione sociale perbenista per assoggettarla  alla più brutale, stupida e crudele, quella del branco adolescenziale vizioso, schiavizzatore.  Come sapete, abbiamo già contato qualche suicidio di ragazze che si credevano liberate dai tabù, anche da quello del pudore,  e  che hanno scoperto di averlo ancora quando – troppo tardi  – gli “amici”  maschi hanno diffuso i  loro video hard.

Poi ci  sono le coppie. Nella mia parrocchia, i matrimoni sono due o tre l’anno. Ma ci sono molte coppie. Quelle  che presentano “il mio compagno”, la “mia compagna”:  scomparse le vecchie zie che storcono il naso, il prete col cipiglio accusatore, essendo il vicinato coralmente  “di larghe vedute”,  non c’è bisogno di istituzionalizzare, si sta insieme programmaticamente senza impegno (questo vuol dire “la mia compagna”), come perenni adolescenti  anche se nascono figli e i capelli diventano grigi.

Dietro questa massiccia “libertà” di convivenza  cresce una tragedia sociale ignorata.  E  non    si tratta dei reclamizzati “femminicidi”.

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I cosiddetti femminicidi calano

 

“’L’enfasi  mediatica  sulla violenza fisica o sessuale rischia di distogliere l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica dall’origine del problema, cioè dai “conflitti all’interno della coppia”, che derivano da una povertà emotiva (incapacità di relazionarsi) che investe milioni di persone (donne, uomini e bambini)”, come ha mostrato Valentina Gaetani, psicologa, in  un convegno sulle Nuove Povertà.

La prima causa di povertà.

La prima causa per cui si cade in povertà  non è la perdita del lavoro, bensì “le crisi coniugali, le disaggregazioni familiari, le  rotture dei rapporti di coppia”:   come sa qualunque marito che abbia  fruito del bellissimo diritto al divorzio.

Tra i fattori di rischio per la povertà ci sono ovviamente  “l’assenza della figura paterna”,   la “conflittualità nelle relazioni di coppia”, in generale   il  malfunzionamento della famiglia.

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“Divorzi e separazioni , in crescita in Italia  come in tutta Europa”, derivano da una povertà emotiva che conduce progressivamente all’impoverimento economico dell’intera società”  (Valentina Gaetani,  “Dalla povertà emotiva alla povertà economica” , gennaio 2013).

Ed anche “i  figli di genitori che si sono separati consensualmente (nella forma) ma conflittualmente (nella sostanza: 86% dei casi), sono i principali candidati a diventare poveri da adulti. I  giovani che hanno subito una deprivazione genitoriale nell’infanzia avranno maggiori problemi di adattamento: ripeteranno più volte a scuola, avranno minori probabilità di frequentare scuole superiori, rimarranno disoccupati più a lungo, ecc.”.

Una vecchia indagine condotta su 497 barboni senza casa a Torino nel 1997, gli stessi intervistati hanno dichiarato come evento scatenante della loro condizione di povertà estrema “fallimenti o rotture coniugali, fughe da  casa, litigi in famiglia” nel 37,4% dei casi; la perdita del lavoro veniva seconda, nel 19,2%  e dalle turbe psichiche (18%).

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Impoverimento economico per l’intera società: non sarà un prezzo  troppo alto che abbiamo pagato per  esserci liberati  dal biasimo delle vecchie zie e dal giudizio scandalizzato dei vicini perbenisti, che tanto a lungo hanno saldato  tanti matrimoni?

Infine, certe quarantenni: professionalmente “realizzate”, affilate dalle diete e tonificate dalla palestra, elastiche, sboccate, depilate,  che sulla spiaggia esibiscono il tatuaggio sul pube (come le attrici porno) e  la catenina alla caviglia – e lo sguardo disperato.  La “liberazione della donna” alla sua età si  è rivelata una trappola,  l’orologio biologico ticchetta, l’uomo maturo è introvabile; s’è “liberato” della responsabilità, non ha motivo di diventare grande  anche perché le diciottenni “la danno”,  a che sposarsi? A  che accasarsi  con la quarantenne che si propone come “oggetto sessuale”, e non ti nega una delle sue notti?

Evoco senza farne  il nome, il caso della famosa attricetta  che ha (avuto) come “compagno”  il famoso produttore cinematografico. Tre aborti, uno a 14 anni  (lui un trentenne)  che rimpiange ancora: “Quando sono rimasta incinta ho dovuto rinunciare alla gravidanza che probabilmente avrebbe dato un’altra impostazione alla mia esistenza».   La terza gravidanza: “Quando è nuovamente accaduto ero disposta a qualsiasi sacrificio, ma quando ho dato la notizia a Vittorio, la sua risposta è stata: “E come facciamo ad andare in barca?”… Di comune accordo abbiamo deciso di interrompere la gravidanza, ma non ho mai smesso di pensare a un figlio”.

Certo, lui  vuole la sua schiava del sesso da esibire   sullo yacht. Sospetto che siano  tantissime le “donne liberate” con   la stessa storia. Specie se sono belle. C’è da amaramente parafrasare l’ordine santo e cattolico, “Spòsati e sii sottomessa”, in quello della liberazione: “Non ti sposa, sii sottomessa”.

Alla fin fine, la “liberazione della donna”  dal tabù della verginità s’è rovesciata nella sua schiavizzazione sessuale.  La “felicità” sessuale che  ci era stata promessa, in povertà emotiva, relazionale e infine economica, in infinite infelicità e conflitti.    Lo stesso piacere sessuale, non più raro premio prezioso concesso all’uomo virile, amato perché responsabile,  ha perso intensità, è banalizzato. Sempre più gli uomini immaturi, egoisti, dominati da ansie di prestazione, lo cercano nella pornografia¨: questa diventata assolutamente disponibile fino ai bambini,  in video sul web. L’ultimo  passo,   la realtà virtuale già avanza in Giappone:  il maschietto “fa sesso”  con uno  spettro digitale  seduttore che – grazie agli appositi occhiali – vede nello spazio tridimensionale, di cui –grazie ai sensori –  può ‘toccare’ le membra fantasmatiche.  Una  schiava sessuale pronta a tutti gli eccessi con un vantaggio decisivo rispetto a una donna; che non la devi accompagnare a casa, né vuole qualcosa da te, men che meno ci devi conversare e fare tutte le cose noiose della relazione con una persona femminile reale, che ti pone obblighi ed esigenze.   Non ti devi interessare di lei. Della donna, ha solo quella “cosa”.  Il cerchio si  chiude: sesso senza relazione fra i sessi, la “liberazione” finale è quella di lui da lei. Al fondo, naturalmente, l’estinzione di un popolo, che è già cominciata.

 

Poiché ho accennato  alla Cavalleria, non posso trattenermi dal ricordare Lancillotto e la Regina Ginevra. Il “miglior cavaliere” della Tavola Rotonda, è quello che tradisce doppiamente la fides, l’etica cavalleresca e quella verso il suo re Artù, facendo della regina la sua amante.  E’ una lezione che insegnò a intere generazioni non “la morale  cattolica”, ma che la passione adulterina illecita è per  anime alte e audaci, una forma oscura di “elezione”. Elezione che ha  un prezzo spaventoso.

Quando Lancillotto  fu sul punto di prendere il Sacro Grahal, una voce lo rimproverò: “Messer Lancillotto, più duro del sasso  e  più amaro del legno e più nudo e spoglio della foglia di fico: perciò vattene di qui,allontanati da questo luogo santo”.

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