“SONO UN ARCHIMANDRITA SOVIETICO”

 

Così si presentava volentieri padre Alipj, al secolo Ivan Voronov,  che  fu namestnik del monastero delle Grotte di Pskov durante negli anni di persecuzione   della Chiesa ordinata da Chruscev. Persecuzione  poco nota ma sistematica, con centinaia di chiese trasformate in depositi e autorimesse, chiuse le facoltà  teologiche, cancellati quasi tutti i monasteri.

Il namestnik è, se ho  ben capito, il rettore del monastero, che per questa carica ha sulle spalle il peso dei rapporti con l’autorità civile. A loro padre Alipij si presentava volentieri così: “Sono un archimandrita sovietico”. Se necessario, indossando sotto il mantello monacale il giubbotto militare carico di decorazioni: era infatti ex combattente dell’Armata Rossa, con cui era arrivato fino a Berlino,  ferito,  premiato per atti di valore.

Una volta che dette autorità vennero per requisire le chiavi del monastero, il namestnik tuonò: “Padre Kornilij, passami l’accetta, romperemo qualche testa!”. I funzionari se la diedero a gambe. Ma Alipj fu convocato davanti all’apposita commissione, dove gli fu ingiunto di consegnare le chiavi. Si metteva male anche per lui. Disse ai commissari:

“La metà dei miei confratelli è stata al fronte. Siamo armati, combatteremo fino all’ultima pallottola. Osservate la posizione del  monastero. I carri armati non passeranno. Potete prenderci solo dall’alto con l’aviazione. Ma non appena il primo aeroplano avrà sorvolato il monastero, la notizia giungerà al mondo attraverso la Voice of America”. Fosse vero o no, non si seppe mai. I commissari preferirono non provarci.

In fondo, il potere è vile – anche quello sovietico – e padre Alipj sapeva che l’audacia l’aveva vinta. “Ho visto come in guerra alcuni, temendo di morire di fame, si caricavano sulla schiena sacchi di pane secco per prolungare la propria vita”, confidò una volta a  padre Rafail: “Questi morirono con le loro briciole senza vedere i giorni futuri.  Quelli che, la va o la spacca, si lanciarono sul nemico, rimasero in vita”. Una volta ancora  altissimi funzionari del Partito gli  sottoposero un ordine del Segretario di chiusura del monastero di Pskov, lui gettò la lettera nel camino e spiegò ai suoi interlocutori stupefatti: “Meglio il martirio  che la chiusura del monastero”. La lettera era firmata personalmente da Nikita Chruscev. Non so come se la cavò anche quella volta.

Ma l’episodio più celebre della sfida al potere dell’archimandrita sovietico riguarda la visita della ministra della Cultura,  compagna Furceva, con un codazzo di cortigiani e funzionari. La Furceva (il nome me lo ricordo) era una notoria nemica della Chiesa russa, e tuttavia la visita a un monastero-modello come quello di Pskov era in qualche modo una meta turistica anche per i vertici del comunismo.

L’archimandrita sovietico non andò a riceverla. La Furceva con la sua corte lo trovò che, dal balcone della sua residenza, al primo piano, come faceva di solito,  rispondeva a domande di pellegrini che stavano di sotto.  Era una cosa tipica.  Dal balcone “con i suoi insegnamenti sosteneva gli scoraggiati, consolava i timorosi – “Come riconoscere Giuda?” diceva per esempio: “Colui che ha messo la mano con me sul piatto,  colui mi tradirà. E’ il discepolo che vuol mettersi alla pari col maestro..”.

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Ebbene, la ministra della cultura, Furceva, lo apostrofò  per umiliarlo pubblicamente: “Come ha potuto un uomo colto come lei, un artista (da laico Voronov era stato pittore) stare con questi oscurantisti?”. Dal balcone, lui rispose: “Bene. Ha sentito dire che ho fatto la guerra?”.”Ammettiamo di sì” disse la Furceva, decisa a non farsi smontare. “E ha sentito dire che sono arrivato a Berlino?”.

“Non capisco cosa centri con la mia domanda”; replica la ministra.

“Il fatto è che vicino a Berlino mi hanno strappato  i…(e qui Ivan Michailovic Voronov si espresse in modo soldatescamente volgare). Quindi non mi è rimasto altro che entrare in monastero”.

Un attimo di silenzio, poi uno strillo inumano: era la ministra, che si sentiva schernita. L’archimandrita fu  convocato a  Mosca, a due passi dalla Lubianka. Si metteva non male, ma malissimo. Lui spiegò, tranquillo, che non intendeva offendere la Furceva: “Mi è stata fatta una domanda concreta. Ho risposto allo stesso modo concreto e comprensibile, affinché la nostra ospite potesse capire con facilità”.

Se la cavò ancora. Non so se fu per questo episodio   che si  consolidò la voce secondo cui l’archimandrita sovietico era stato evirato in  guerra e per questo –  un così bell’uomo- s’era ritirato in monastero.  Una volta ne parlò al suo amico Savva Jamshikov,noto restauratore e storico dell’arte: “Savva, sono stupidaggini. Semplicemente, la guerra è stata così mostruosa, così orrenda, che diedi la mia parola a Dio: se  sopravvivo a questo orrore entrerò in monastero. Immagina: c’è un’atroce battaglia, i carri armati tedeschi stanno  sfondandola nostra prima fila e abbattono tutto lungo nell’avanzata, e in questo inferno terribile vedo che di colpo il nostro commissario di battaglione si strappa di testa l’elmetto, cade in ginocchio e prega. Piangendo, mormora preghiere dell’infanzia mezzo dimenticate, chiedendo all’Altissimo, deriso fino al giorno prima, misericordia e salvezza. Allora capii che ogni uomo ha Dio nell’anima, e prima o poi giungerà a Lui”.

Questo soldataccio era un’anima delicata. “L’amore, diceva, è la preghiera più alta. Se la preghiera è regina delle virtù, allora l’amore cristiano è Dio, perché Dio è amore, Guardate al mondo solo attraverso l’amore, e i vostri problemi scompariranno: vedrete dentro di voi il Regno di Dio, nell’uomo un’icona,, nella bellezza terrena l’ombra del paradiso”.  Mise i novizi a riempire i giardinetti di Pskov di fiori; scoprì e fece restaurare antiche pitture. Lui stesso pittore e amico di pittori e restauratori, aveva una grande collezione di quadri, anche capolavori,  che in punto di morte donò al Museo Russo, di Stato.

Morì dopo il terzo infarto, il 12 marzo 1975. Alle due di notte:  “La Madre di Dio è arrivata. Com’è bella! Datemi dei colori, la dipingeremo…”.

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Questa storia   l’ho semplicemente copiata dal libro Santi di tutti i giorni”,  editore Rubbettino.  scritto dall’archimandrita Tichon, al secolo Georgi Sevkunov.  Nato a  Mosca nel 1958, abate del monastero di Sretenskij, membro del Consiglio superiore della Chiesa russa, Tichon è  ritenuto il consigliere spirituale di Vladimir Putin.

Il suo libro,   uno straordinario successo editoriale in Russia,   è una stupefacente galleria di santi staretz,  di veggenti e maestri spirituali,  di confessori della  fede; nella Russia d’oggi attesta la vivacità di una fede abitata da segni, piccoli   e grandi miracoli, grazie ricevute, coincidenze che sono segnali e profezie… quasi una serie di storiette medievali, commoventi e non di rado umoristiche.

Negli oscuri tempi che avanzano, e la nube  satanica che si erge contro la Russia, ho scelto questa storietta, perché il rude, militaresco, pratico e delicato “l’archimandrita sovietico” assista la sua patria dal cielo.

 

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