SENZA LILLERI NON SI LALLERA

di Roberto Pecchioli

Senza lilleri non si lallera. Ovvero, per chi non conosce i proverbi toscani, senza quattrini non si va da nessuna parte, o per dirla con più stile, alla francese, c’est l’argent qui fait la guerre. Ci pare questa la morale da trarre dal terremoto elettorale del 4 marzo. A noi pareva che i problemi di fondo dell’Italia fossero la denatalità, l’immigrazione incontrollata e l’assenza di sovranità, regalata all’Unione Europea, alle banche e alle organizzazioni transnazionali. Da quei tre nodi irrisolti discendono la mancanza di lavoro, la precarietà, l’insicurezza e la criminalità, la decadenza civica, la precarizzazione di milioni di vite, il ricatto del debito, l’invasione da parte di masse di giovani maschi africani appostati, muniti di cuffie e telefonino, sulla porta di negozi e supermercati.

La ragione popolare, al contrario, ha tagliato il nodo premiando le opzioni politiche fondate su promesse in contanti. E’ il mondo dei mercanti, dei ragionieri, di quelli che, come prescrive la mentalità anglosassone, follow the money, seguono il denaro. Tutto il resto è noia, direbbe Franco Califano. La peggiore campagna elettorale a memoria di italiano ha scardinato, forse, il sistema, sulla base di due promesse opposte e irrealizzabili, quella leghista della tassa piatta ad aliquota unica e quella, più furbetta, di Luigi Di Maio sul reddito di cittadinanza.

Trascuriamo inutili giudizi morali e andiamo al sodo. La gente non va per il sottile, non conosce le sfumature né coglie le complessità degli avvenimenti. Ancor meno, in una società tanto frammentata ed individualista, riflette sulle conseguenze a lungo termine dei propri comportamenti politici. Diciamola tutta, il popolo, probabilmente, non esiste più, se non come somma algebrica di singolarità, interessi e memoria a breve termine. La democrazia rappresentativa e mediatica, per il poco che ne resta, sembra fatta apposta per premiare il pensiero binario, l’intelligenza artificiale del computer che sa dire soltanto sì o no, favorevole o contrario.

Fragili e senza prospettive, gli elettori postmoderni cedono facilmente al nuovo, alle promesse, pronti a cambiare bandiera in massa. L’altro ieri Berlusconi, ieri Renzi con il suo 40 per cento del 2014, adesso Gigino da Pomigliano. L’elettorato è liquido nell’urna come nella vita quotidiana e nei valori di riferimento. Resta, come motore immobile, il denaro, l’interesse materiale. Chi utilizza meglio speranze ed egoismi vince, almeno per oggi. Domani è un altro giorno.

Pure, c’è un elemento di verità: davvero, senza lìlleri non si làllera. Chi glielo spiega però, che i soldi ce li hanno sfilati di tasca con la sovranità economica e monetaria, con l’ordoliberismo che infila nella legislazione i suoi postulati ideologici, la scarsità del denaro, la stabilità, il pareggio di bilancio, il mercato unità di misura di tutto. Chi lo spiega agli italiani che non si possono abbassare le tasse perché l’obbligo, l’ordine superiore, è realizzare ogni anno avanzi di bilancio da pagare al sistema finanziario come interessi per averci graziosamente prestato non denaro vero, ma una promessa di denaro garantita dal nostro sudore?

Chi racconterà ai disoccupati, agli assistiti per mentalità, tanto numerosi specie nel Meridione, che per erogare somme a fondo perduto necessariamente occorre togliere a qualcun altro – che i lilleri se li è sudati – e contemporaneamente tagliare selvaggiamente le prestazioni sociali, oppure svendere quel che resta del patrimonio pubblico ai gentiluomini dei fondi avvoltoio? Chi dirà che senza cambio di marcia dovrà aumentare l’IVA e, con il consenso dello stesso Di Maio corso a Londra a baciare la pantofola dei pilastri della società (per azioni), le banche saranno obbligate – lo vuole l’Europa! – a svendere velocemente a lorsignori i “crediti deteriorati” con il conseguente terremoto finanziario, produttivo e occupazionale, oltre al carico di drammi personali e familiari?

Nessuna delle due proposte – abbassamento forte della imposte e reddito di sostegno- è in sé sbagliata. Come spesso capita, tuttavia, le cose giuste si possono fare soltanto se si arriva al cuore del problema, ovvero contestare il sistema dalle fondamenta, e ricominciare su basi nuove, da padroni della nostra casa. In questo senso, sono più credibili i nuovi leghisti, e non è senza ragione che abbiano molti meno voti dei grillini. Il popolo è un bambino viziato. Vuole la cioccolata e si crede onnipotente. Stando a una valutazione basata sui termini della proposta grillina, c’è chi calcola in oltre 3 miliardi al mese nel solo Centro Sud il costo dell’operazione finanziaria che ha portato i Cinque Stelle alla maggioranza assoluta in Campania, Calabria, Sicilia. In questo senso, la flat tax bilanciata dei leghisti, specie se unita al quoziente familiare che favorisce chi ha figli, pare assai più sostenibile, almeno a lungo termine.

Ma il popolo infantile, egoista e furbastro pensa solo all’interesse soggettivo e immediato. Chi lo sa meglio di ogni altro sono le oligarchie dominanti, le quali, ben lungi dall’impaurirsi per il successo a 5 Stelle, stanno già salendo, per assumerne le redini, sul carro del vincitore. Chi meglio di loro, infatti, saprà depotenziare la rivolta che pure è alla base del plebiscito grillino? Poco strutturati politicamente, privi di una visione precisa delle relazioni internazionali, con un gruppo dirigente di livello imbarazzante, i poteri forti saranno ben lieti di fornire non solo interessati consigliori e soluzioni “chiavi in mano”, ma si fregano le mani per l’ipotesi di reddito universale. E’ la loro soluzione, probabilmente non speravano che sarebbe stata richiesta a furore di popolo da una (ancora) grande potenza manifatturiera. Con i progressi della cibernetica, della robotica e delle nanotecnologie, il lavoro diminuirà inevitabilmente. Niente di meglio che calmare le acque lanciando una specie di buono pasto digitale alla folla rimasta a braccia conserte, potenzialmente sediziosa ma niente affatto rivoluzionaria come quella italiana.

Il capitalismo predatorio ha coniato alcune parole chiave, credute dai più. Una è governabilità, che, tradotto nelle lingua della strada, significa che comandano loro e i governi non sono che i questurini delle oligarchie. Un’altra è stabilità, in lingua di legno vuol dire che nulla deve cambiare, nell’economia, nella finanza, nei mercati, insomma ai piani alti, quelli che dettano la linea. La terza è riforme, un termine sinistro dietro cui si nasconde la legalizzazione del mattatoio sociale e dei poteri non elettivi.

Hanno il monopolio del denaro, anzi lo creano dal nulla. Controllano i lilleri, quindi sono gli unici che lallerano. Possono, per loro interesse, offrirci qualche mancia. Preventivamente, ci hanno trasformati in plebe con la febbre del consumo. A milioni saranno felici di vivere a scrocco, facendo qualche lavoretto in nero per eludere i controlli di una burocrazia statale complice, in tasca una card che permetterà di comprare, meglio se a debito, un po’ dei prodotti che luccicano sugli scaffali e fanno bella mostra di sé nella rappresentazione corriva di Sua Altezza la pubblicità. Feticismo della merce; con quattro soldi, oltretutto sottratti a noi, avranno comprato la nostra dignità, ma lo capiremo solo a fregatura avvenuta.

Da lunedì 5 marzo, i veri potenti sanno che una parte consistente di italiani non vede l’ora di consegnare loro anima e corpo. La giusta sconfitta dei vecchi servitori screditati – PD, Forza Italia, radicali- forse ci getterà dalla padella nella brace. Privi ormai di principi forti, estranei ad una comunità condivisa, gli italiani liquidi cadono in braccio agli interessi oligarchici perfino quando votano a grande maggioranza per sottrarsi al loro dominio.

La strada è segnata: ancora più Europa, ancora meno padroni a casa nostra, qualche modesta mancia per rinviare il tumulto dei ciompi. Per pochi lilleri, vendiamo la gallina per comprare a rate le uova.

ROBERTO PECCHIOLI