Riflessione sul Vegetarianesimo (ma anche sulla Legge del Sacrificio e sul senso profondo dell’esistenza)

di  Gianluca Marletta ⋅ 9 febbraio 2016 ⋅

Sollecitato più volte, provo a fare qualche riflessione riguardo alla questione del Vegetarianesimo (e,  prendendo spunto da essa, anche su questioni un tantino più profonde, come la Legge del Sacrificio che pervade ogni aspetto di questa realtà) e persino sul senso dell’esistenza dell’uomo in questo mondo.

Personalmente, conosco molti  vegetariani e questo non mi crea problemi, almeno nella misura in cui tale atteggiamento non sfocia in un fanatismo sentimentalistico e aggressivo. Del resto, si può essere vegetariani per vari motivi. Anche i monaci cristiano-ortodossi, mi dicono, lo sono (ma dietro tale scelta non c’è alcuna motivazione “emotiva”, ma una ragione “tecnica”: certi cibi, la carne su tutti, hanno effetti “sottili” che possono ostacolare un certo cammino di contemplazione). Trovo invece discutibile e un po’ stucchevole il moralismo che punta l’indice contro “l’assassinio” degli animali e il fatto che essi vengano “sacrificati” per il nostro piacere. Ecco: in questi casi, credo che bisogna chiarire alcuni termini della questione.

Caro Vegetariano,

fermo restando che non andrebbe mai inflitta una sofferenza immotivata a qualsivoglia essere, qui secondo me ti sfugge un aspetto della Realtà in quanto tale. Ci piaccia o meno, infatti, esistere vuol dire già di per se immolare altri esseri al sacrificio.

La realtà stessa di questo mondo è dominata dall’occulta Legge del Sacrificio, che si traduce necessariamente in una forma di “violenza” e nell’immancabile “sofferenza” che essa provoca.

Nascere vuol dire infliggere sofferenza e dolore a nostra madre e immolare il suo sangue; coltivare una pianta e poi estirparla dal terreno è già un atto di “violenza”; camminare vuol dire calpestare e colpire la terra; consumare qualsiasi cosa vuol dire, già di per se, sottrarla ad un altro essere.

Ogni atto che compiamo in questo mondo proietta dietro di se un’ombra.

Chi mai ha pensato, portando all’altare la propria moglie, che in quel momento, forse, sta letteralmente “spezzando il cuore” (sta conducendo al sacrificio) altri uomini che vorrebbero stare al suo posto e che quella stessa donna desiderano e forse amano esattamente come lui?

Ed elevandoci ad un piano superiore: forse che il Cristo all’atto di andare in croce non è cosciente di sacrificare, oltre che se stesso, anche le anime di coloro che umanamente lo amano, quelle dei suoi discepoli sgomenti, dei suoi fedeli scandalizzati, di sua madre piangente?

Questo avviene necessariamente perché il mondo in cui viviamo –la dimensione temporale dominata dal tempo, dalle nascite e dalle morti- NON è il Paradiso, ma tutt’al più  solo una sua ombra fugace. Nella dimensione edenica e paradisiaca, gli esseri manifestano ed espandono la loro natura in tutte le sue modalità e in armonia perfetta con gli altri esseri (essendo ogni essere nient’altro che una manifestazione particolare dell’Uno), ma in questo mondo della “divisione” e del polemos, del divenire e del conflitto permanente, questo non può avvenire.

Le immagini dell’orca che fa a pezzi un cucciolo di foca, del lupo che divora l’agnellino indifeso, potranno anche apparire crudeli ai nostri occhi, ma rispondono in realtà ad una spinta necessaria che ha lo scopo di innalzare gli esseri per ricondurli al loro Principio.

“La creazione geme” scrive San Paolo, perché ogni aspetto di questo mondo (o meglio, di questo piano della realtà) implica combattimento e sacrificio; e tutti i sacrifici –letteralmente il “diventare sacro”- hanno come scopo di riportare all’Uno ciò che qui appare “sparso”.

Questo non deve “scandalizzare” e non deve confondere.

Come i chicchi dell’uva devono essere schiacciati e spremuti per dare vita ad un buon vino, così è degli esseri che popolano il mondo.

Per l’uomo, che è Immagine divina, questo può avvenire direttamente, conformandosi ad una Legge Sacra e così giungendo alla salvezza e poi alla realizzazione spirituale; per gli altri esseri, al contrario, esso avviene attraverso il passaggio ad altri stati dell’essere o attraverso la partecipazione e la vicinanza all’uomo (credete forse che solo “per caso”, molti animali ricerchino la vicinanza di uomini santi, come dimostrano innumerevoli aneddoti riguardo alla vita di San Francesco, Sant’Antonio o San Serafino di Sarov?).

Il ruolo dell’uomo, da questo punto di vista, dovrebbe  essere (purtroppo non sempre lo è!) proprio quello di “riunire in se”, come Immagine di Dio, ogni aspetto della creazione: diventare pontifex, riportare il creato al suo Principio.

Non è forse questa, tra l’altro, l’occulta ragione dei sacrifici di sangue che tutte le Tradizioni antiche celebravano?

Ma per compiere tale gesto –che è poi il Sacrificio Supremo- l’uomo dev’essere davvero Immagine del Creatore e cioè santo.

“Tutta la creazione attende la rivelazione dei figli di Dio” scrive sempre San Paolo.

Un sapiente sacerdote, mi disse una volta:

“all’atto della resurrezione del santo, risorgono con lui anche gli esseri di cui si è nutrito”.

Cosa vi ispira questa immagine? Vi fa cogliere un certo aspetto “sottile” della realtà, indipendentemente dal fatto che la vogliate intendere in senso letterale o come “metafora” o come simbolo?

Pertanto, caro vegetariano e anche voi cari carnivori,

il vero nocciolo della questione non sta tanto nel consumare bistecche o tofu, kebab o riso in bianco. Come mi disse tempo fa un caro e sapiente fratello, la vera domanda da porsi dovrebbe essere:

“Tu che stai mangiando costolette d’agnello o pane di segale: cosa stai facendo affinché questi sacrifici che compi nutrendoti non siano vani? La tua vita è abbastanza umana (e di riflesso santa e divina) da meritare questo sacrificio?.

http://www.gianlucamarletta.it/wordpress/2016/02/vegetarianesimo/