RADIO RADICALE – Breve storia di quanto l’avete pagata, contribuenti.

Bastava ascoltare le  centinaia di voci  di potenti che, a richiesta di Radio Radicale,   si sono appellati  – su Radio Radicale –  per la  continuazione della  stessa medesima radio a spese pubbliche per capire  che questa radio “è”  il POTERE.   Le Pouvoir Quel potere senza nome e  nello stesso tempo mainstream, che congegna le campagne internazionali di cui RR (e il partito radicale) è l’esecutore di successo:  dall’aborto all’eutanasia  fino alla droga libera  alla globalizzazione.

Quel  potere  –  giusto per fare due esempi  -che   per l’unificazione della espressione geografica chiamata Italia  scelse una monarchia con le pezze al sedere la cui corte  parlava francese  e non aveva alcun sentimento di italianità,  e per questo poté  schiacciare il Sud con un esercito di 60 mila uomini e lo stivale di ferro  di esecuzioni di massa. Quello che, molti anni dopo, “decise” il divorzio fra Tesoro e Bankitalia su ordine internazionale; quel potere che poté liberarsi  del banchiere centrale Paolo Baffi e il suo vice Sarcinelli travolgendoli in una persecuzione giudiziaria senza il minimo indizio  (quel Potere puo’ sempre contare sulla magistratura italiana nei momenti decisivi della storia).  Quel potere che decise le privatizzazioni ossia di spogliare gli italiani del patrimonio industriale  creato dal loro lavoro e dallo Stato..

Quel  potere che è liberista e vuole che  “i mercati” decidano per tutto, tranne che per Radio Radicale- che deve essere protetta dai mercati e mantenuta dai cittadini –  che l’hanno mantenuta, fino ad oggi, con 250 milioni di denaro delle proprie tasse. Più un’altra ottantina.

E  adesso ha mobilitato tutte le sue voci  più autorevoli per eternizzare  un conflitto d’interessi  scandaloso, che fra stridere i denti: pagare un partito politico piccolo ed estremista per fare un servizio pubblico senza concorso. Perché  solo quel partito? Perché non offrire  la convenzione che so, anche al MSI,  al PR, al  Partito dei Pensionati?

Ebbene: fra quelle voci, quelle lobbies,  quei personaggi squadra- e- compasso che si sono avvicendati, ad un segnale convenuto, per “sostenere Radio Radicale”, abbiamo sentito anche quella di Claudio Borghi. E  poi c’è stato il voto della Lega a  favore. Che dire?  Attribuiamo provvisoriamente il fatto a un accesso di cretinismo politico, per non  dover prendere atto di un certa influenza dei Figli della Vedova. Infatti c’è chi anche parla di un ricatto che  la   Lega avrebbe dovuto subire, la minaccia di ostruzionismo sul  dl crescita. Non so cosa pensare.

Adesso  il capogruppo Molinari ha  giustificato l’ulteriore “dazione pubblica” alla radio privata  del defunto guru con la necessità di digitalizzarne il preziosissimo archivio. A parte che proprio in questi mesi il governo del cambiamento lascia che chiuda e si  perda e disperda l’Archivio Alinari, per mancanza presunta di fondi.  A parte che  l’archivio di RR   sarebbe già di proprietà  pubblica, avendolo profumatamente pagato  con il denaro dei contribuenti,  e  andrebbe semplicemente pignorato.

Sono 20 anni che Radio Radicale si occupa della digitalizzazione del suo archivio. Con 250 milioni di euro non è riuscita nell’impresa. Dei 250 milioni di euro cosa ha fatto? Ha comprato la carta igienica o ordinato le colazioni per i suoi 100 dipendenti pagati con soldi pubblici?

Ci ha fatto altre cose. Perché non si creda che i radicali siano adusti monaci laici abituati a digiunare per la Causa (abortista, drogastica, genderista e qualunque cosa   quel Potere ordini)  –  Qualcosa, coi soldi nostri, hanno messo da parte. E per il bene della causa, magari  potrebbero venderla.

Per esempio l’intera palazzina in Via Principe Amedeo 2 vicino alla Stazione Termini di cui è RR è proprietaria:  quanto vale oggi?  O i  2 piani di oltre mille metri quadri  al centro di Roma di proprietà della Torre Argentina Servizi, dove risiedono il Partito Radicale e le sue Associazioni satelliti.  Quelle, per intenderci, che si occupano di tutte le battaglie anti-umane e anti-cristiche di cui i radicali sono protagonisti da 40 anni.  Se vendessero quelle, potrebbero mantenersi, i monaci laicisti abituati a campare di croste di pan seccco.  Magari potrebbero farsi ospitare in uno degli appartamenti dell’A.S.P.A., grazie alla buona parola dell’uomo vestito di bianco, che tanto apprezzò  Pannella ed è tanto amico della Bonino, di cui condivide le “lotte”. D’altra parte, anche lui – come racconta la Civiltà Cattolica di questa settimana – è favorevole al divorzio  e alla transizione energetica.

Per uno che agita il Rosario, dovrebbe esser chiaro che  il finanziamento di  Radio Radicale (che poi è il finanziamento  illegittimo di un partito   minimo, ancorché potentissimo, dedito alla corruzione  profonda del costume , menti e cuori italiani) è  cooperazione al Male.  Naturalmente il Potere  fa appello   alla democrazia, al pluralismo e alla libertà d’informazione, al “non si può chiudere una radio con un tratto di penna”.

Fesserie. O peggio. Il problema è tutt’altro. Basterebbe riprendere la denuncia-querela che Danilo Quinto (allora amministratore delle finanze e raccolte di fondi di Pannella, oggi convertito)  presentò alla Procura della Repubblica di Roma : dove spiegava come  secondo lui Radio Radicale sembrava   essere un veicolo per far pervenire denaro alla Lista Pannella e di qui ad altre componenti del mondo radicale, aiutate, in caso di difficoltà, proprio dalla Lista Pannella. Tra questi fatti,   Quinto citò la natura del debito di  quasi 3 milioni (2.817.000)   di euro del Partito Radicale verso il Centro di Produzione S.p.A., proprietario di Radio Radicale, contratto nel 1999: un mero giroconto del credito che, a sua volta, vantava allo stesso titolo nei confronti della Lista Pannella. Questo perché i servizi del Centro di Produzione alla Lista Pannella erano bypassati attraverso il Partito Radicale, che rimase formale debitore, senza aver goduto nulla; mentre il debito del Partito Radicale nei confronti del Centro di Produzione era rappresentato da un atto di transazione da lui sottoscritto, del credito del Partito Radicale verso la Lista Pannella vi era traccia solo in copie di bonifici effettuati a favore della Lista Pannella che avevano origine nel 1999. In quell’anno, la Lista Pannella ebbe necessità di risorse economiche per finanziare la campagna elettorale, ma verosimilmente non si volle far apparire un dirottamento di denaro dal Centro di Produzione, che equivale a dire Radio Radicale, bensì di utilizzare il Partito Radicale, che facesse formalmente da tramite, ricevendo le somme da Torre Argentina Società di Servizi – società creata dai radicali negli anni ’80 e da loro gestita – ad altro titolo formale.

Quinto chiese nella denuncia se si potesse configurare un’ipotesi di reato : l’uso di denaro pubblico a fini privatistici.

La risposta fu l’archiviazione.  Per contro, poi, Danilo Quinto è stato condannato a  6 mesi e alla rifusione di enormi somme per “diffamazione” di un radicale   che aveva chiamato “servo sciocco”  di Pannella:  ben altra gravità  del delitto.   La Vedova può sempre fidare dei suoi Figli nella magistratura italiana.

Noi possiamo almeno assaporare dall’esterno il valore in denaro di Radio Radicale , che abbiamo regalato noi contribuenti  A metà del 1999, l‘allora editore e proprietario delle quote maggioritarie di Radio Radicale, Paolo Vigevano – per fare cassa – aveva venduto la frequenza di Radio Radicale per 10 miliardi: così nacque Radio 24, la radio di Confindustria.

Danilo Quinto racconta nei suoi libri che nell’autunno del 1999 aveva conosciuto un giovane imprenditore di Bolzano, Marco Podini, appartenente alla famiglia allora  proprietaria dei Supermercati A & 0. Era il periodo della bolla di internet e Podini – dotato di una capacità economica notevole, su sollecitazione  di Quinto, acquistò, attraverso la sua società dell’epoca, Pasubio, un provider che era di proprietà del Partito Radicale, Agorà Telematica, per 15 miliardi e poi, dopo qualche mese – sempre su sollecitazione di Quinto – un pacchetto azionario di Centro di Produzione S.p.A.: il 25% per 25 miliardi.

Su badi: Radio Radicale non aveva alcun valore sul mercato fino ad allora, per la semplice ragione che nessuno gliel’aveva dato. Podini fece quell’acquisto proprio in ragione della solidità degli incassi pubblici che otteneva Radio Radicale: oltre 14 miliardi ogni anno (10 dalla convenzione, 4 dalla legge sull’editoria). L’intervento economico-finanziario di Podini determinò la quantificazione del valore di Radio Radicale: oltre 100 miliardi.

Sicché scoprire oggi che  nell’assetto proprietario di Radio Radicale c’è una quota rilevante di una società, che ora si chiama Lillo Spa ed ha un fatturato di 2,3 miliardi – è ridicolo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/13/radio-radicale-il-25-e-del-gruppo-lillo-a-cui-fanno-capo-i-discount-md-socio-di-maggioranza-la-lista-marco-pannella/5254070/

Perchè le notizie riguardo agli investimenti di Podini sono pubbliche da vent’anni (le ha diffuse Quinto ai Congressi radicali e sui giornali) e NESSUNO È MAI INTERVENUTO PER CHIEDERSI   perchè, nonostante un apporto privato così significativo, Radio Radicale continuasse a godere di finanziamenti pubblici  di quella misura,  né  di come usava quei finanziamenti.

L’investimento deciso da Podini produsse anche un rilevante fatto “interno” all’area radicale: la fuoriuscita (solo apparente, perchè i legami  sono rimasti stretti), di Paolo Vigevano dall’assetto proprietario del Centro di Produzione S.p.A. Una fuoriuscita non gratis in nome della Causa:  Vigevano (che di lì a qualche mese sarebbe diventato portavoce del Ministro Stanca ed avrebbe iniziato così la sua carriera di boiardo di Stato), in base ad un accordo privato, cedette per 5 miliardi a Pannella il suo pacchetto azionario del Centro di Produzione S.p.A.

Cinque miliardi.

Chissà come   mai queste disponibilità, e questi lucri. Se lo chiese nel 2006 (il 28 luglio) anche il senatore Domenico Gramazio di Alleanza Nazionale; anzi lo chiese al governo,  con interrogazione  n.28  a risposta scritta. 

Il senatore Gramazio scriveva: Nel mese di ottobre 2006 viene a scadenza la convenzione tra la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Centro di produzione S.p.a., proprietaria di Radio Radicale; i fondi confluenti in questa società, che percepisce finanziamenti quale organo di stampa della Lista Pannella e compensi per la trasmissione di servizi parlamentari, sembra che vengano trasferiti nelle casse della Lista Pannella, in tal modo finendo per costituire un ulteriore, surrettizio finanziamento pubblico al partito; dai bilanci pubblicati del Partito Radicale nell’anno 2004 risulta che questo ha un debito verso il Centro di produzione, ma un credito nei confronti della Lista Pannella del medesimo importo. Ciò potrebbe costituire, a giudizio dell’interrogante, sostanzialmente una partita di giro, che potrebbe preludere a surrettizi trasferimenti di somme tra Centro di produzione S.p.a. e Lista Pannella, utilizzando quale mezzo il Partito Radicale. Si chiede di sapere: quali controlli vengano esercitati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento dell’editoria, perché i fondi assegnati siano effettivamente destinati alle finalità previste nella convenzione”.

La risposta fu il  silenzio. Scritto e orale.

E’ anche vero che , in quella legislatura, i  radicali  erano per la prima volta nella loro storia al Governo, con Emma Bonino Ministro del Commercio Internazionale e alle Politiche europee.

Al governo con Prodi.

Bravissimi liberisti  con denaro pubblico.

Le  “dazioni” (per usare le parole di Di Pietro) di noi contribuenti ignari al partito del 3 per cento perché propagandasse l’ideologia divenuta di massa, durano da quasi 30 anni. I primi 10 miliardi di derivazione pubblica (una tantum, si disse allora) furono elargiti a Radio Radicale con la Legge n. 23 del 1990,   che sosteneva l’esistenza di emittenti radiofoniche che avessero nei 3 anni precedenti trasmesso quotidianamente propri programmi informativi “su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari per non meno di nove ore”  comprese tra le ore sette e le ore venti e avessero esteso il numero di impianti al 50% delle province e all’85% delle regioni.

Sempre nel 1990 venne approvata la cosiddetta “legge Mammì“, che attribuiva alla Rai-Tv il compito di trasmettere le sedute parlamentari:  ma questa disposizione restò misteriosamente lettera morta. Radio Radicale continuò a svolgere il suo servizio e non volle più inseguire finanziamenti una tantum. Preferì perseguire un’altra strategia: quella della convenzione con lo Stato per la trasmissione delle sedute parlamentari.

Puntualmente, la ottenne.  Se un partito può ottenere una simil convenzione, perché non  poteva concorrere, ceh so, il Movimento Sociale? O il Parrtito dei Pensionati?  Misteri dell G:A:D:U:

Venne approvata la legge 11 luglio 1998, n. 224, che s’intitolava: “Trasmissione radiofonica dei lavori parlamentari e agevolazioni per l’editoria”. Mentre la legge confermava lo strumento della convenzione da stipulare A SEGUITO DI GARA e nelle more rinnovava la convenzione con Radio Radicale per un ulteriore triennio, venne mantenuto l’obbligo per la Rai-Tv di trasmettere le sedute parlamentari tramite Gr Parlamento, impedendole però di ampliare la rete radiofonica fino all’entrata in vigore della legge di riforma generale del sistema delle comunicazioni.

La legge indicava che LA CONVENZIONE era SOLO PROVVISORIA – una provvisorietà di 20 anni  – perché il servizio di trasmissione radiofonica delle sedute parlamentari avrebbe dovuto essere concesso alla Rai attraverso una rete radiofonica (in aggiunta alle tre esercitate in base all’atto di concessione) riservata esclusivamente a tale scopo. E la Rai, dal canto suo, ha iniziato la trasmissione delle sedute parlamentari attraverso Gr Parlamento, così come le sedute parlamentari vengono trasmesse costantemente sui canali satellitari.

(A proposito: non ha l’archivio digitale GR Parlamento? Immagino sia  meno prezioso di quello di Pannella)

Fatto sta che LA GARA, DA ALLORA – DAL 1998 – NON E’ MAI STATA INDETTA. Radio Radicale ha percepito per 20 anni una entrata pubblica di oltre 250 milioni di euro – senza contare il contributo per l’editoria,  pari a 4 milioni di euro l’anno:  percepisce anche quello nella sua qualità di organo di partito    – senza partecipare mai a nessuna gara.  Nell’insieme un  bel 330 milioni di euro, in vecchie lire 650 miliardi in vent’anni.

Pensate:  ci fossero stati quegli efficienti procuratori che con Mani Pulite liquidarono interi partiti per mazzette e  corruzione, e  che oggi  intercettano governatori del partito avverso per  creste sulle note-spese, avrebbero chiesto conto al Ministero delle Comunicazione per aver omesso l’obbligo di gara   – obbligatoria a termini di legge  –  per tutti i   20 anni;  avrebbero anche denunciato, quei valorosi  procuratori, anche la  Corte dei Conti, per omesso controllo e danno erariale. I procuratori avevano anche  ricevuto denunce  di Danilo Quinto e  quelle di Gramazio.

Ma simili procuratori non si occupano di Radio Radicale. Si occupano di Formigoni, di Berlusconi, di Siri, di Salvini, di Fontana, di Minzolini,  persino Paolo Baffi – ma su Pannella mai.

Sicché, non chiedetevi  se Radio Radicale è in pericolo.  I 3 milioni “per la digitalizzazione” (sic) si sommano ai 9 milioni già stanziati per Radio Radicale per il 2019 e al ripristino dei 4 milioni del contributo per l’editoria per il 2020. Poi – è facile immaginarlo – sarà indetta una gara che il Partito Radicale già chiede a gran voce, magari previo accordo   con la Rai di Foa. Che (ci dicono)  che sembra sempre più ammaliato dai salotti romani che contano. Gli stessi che frequenta Emma Bonino.