Possiamo chiedere il miracolo?

Tu sei il Dio che opera meraviglie

Sal 77,15

La preghiera a un Dio che non risponde

(di padre Giovanni Cavalcoli)

Nell’Avvenire di martedì  31 marzo troviamo un articolo del teologo dell’Università Gregoriana Francesco Cosentino dal titolo Il virus, il dolore e il silenzio di Dio. Quando la preghiera diventa «grido». 

Nell’articolo il Cosentino respinge l’idea di chiedere a Dio di far cessare la pandemia in un modo miracoloso. Comincia, infatti, bensì col dire che «la preghiera concepita nel dolore non rimane inascoltata». Ma poi, nel seguito di quello che dice, dove ci aspetteremmo che dicesse in che senso la nostra preghiera non rimane inascoltata, dice cose che fanno capire tutto il contrario. Vediamo.

Spiega infatti che la preghiera, «mentre esprime il grido della nostra paura, anzitutto essa ci purifica dall’immagine di un Dio che ci risponde a comando, che ci evita le lacrime, che interviene dall’alto per risolvere i nostri problemi. Così usciamo dall’interpretazione superstiziosa e magica della religione e impariamo – come affermava il teologo tedesco Metz – che Dio non è il tappabuchi delle nostre delusioni, ma la ragione del nostro sperare».

La preghiera, per Cosentino, sembra dunque essere un grido inarticolato, strozzato in gola, atematico, privo di contenuti concettuali e di richieste precise, espressione di un’indicibile ed oscura angoscia, davanti a un Dio oscuro, impotente e inintellegibile, che tace, non risponde, non interviene, non illumina, non consola, non ci aiuta, non fa miracoli, ma è immerso nelle nostre stesse tenebre, soffre nel buio con noi e come noi.

Secondo Cosentino, che riprende Metz, il concepire Dio come operatore di miracoli, risponderebbe ad un’«interpretazione superstiziosa e magica della religione». Ma qui possiamo vedere un gravissimo fraintendimento, segno di abissale cecità metafisica, che scambia per magia l’attività creatrice divina, fondamento dell’onnipotenza e della provvidenza divine, che a loro volta spiegano il potere tipicamente divino dei miracoli.

La magia non ha nulla a che vedere con la potenza creatrice divina, che è, come vedremo sotto, all’origine del miracolo. L’idea del mago, che, con la bacchetta magica, trae la farfalla dal nulla, è una immagine delle favole per bambini, indegna della serietà intellettuale, che si richiede da un teologo della Gregoriana. La magia non è altro che un grave peccato di superstizione e di soggezione al demonio, per il quale il mago, ritenendosi in possesso di un potere divino o sovrumano, crede di poter obbligare con la sua arte magica, la divinità a fare quello che vuole lui[1].

Ma allora chi è Dio per Cosentino? Per lui, nella sua visione di origine protestante, o meglio hegeliana, Dio non trascende l’uomo, ma è alla sua pari: è un semplice compagno di viaggio dell’uomo, immerso nella storia come lui, che gli lascia fare tutto quello che vuole ed è implicato nelle sue stesse vicende storiche belle e brutte, senza poter far nulla per cambiare le cose.

Si capisce allora come in questa visione il miracolo non abbia nessun senso o è una favola da bambini. In questa visione protestante, allora, Dio si riduce ad essere, come il Dio-Idea di Kant, una semplice proiezione ideale o un notaio delle iniziative buone e cattive dell’uomo. Siamo ad un passo dall’ateismo.

Che cosa è il miracolo

Fermiamoci adesso a vedere che cosa è il miracolo. Diciamo subito che negare che Dio possa o voglia fare miracoli e affermare che è puerilità superstiziosa chiederGli miracoli, equivale a negare l’esistenza di Dio e quindi l’utilità della preghiera.

Infatti, il miracolo mette in opera quattro attribuiti divini: la sapienza, la potenza, la provvidenza e la misericordia. Negare questi quattro attributi divini essenziali, equivale a negare Dio.

Quello che resta è il Dio di Hegel, un tetro fantasma uscito da una mente crudele, un Dio, schiavo del male[2], che assiste senza scomporsi all’agire malvagio degli uomini col pretesto di lasciarli liberi. Non solo non tappa i buchi, ma non tappa neppure gli immensi squarci della malizia umana. E se ad Auschwitz non è intervenuto materialmente, chi ci dice che non sia intervenuto a purificare le coscienze?

Ora, bisogna dire che il miracolo è un’operazione esclusivamente propria di Dio, perchè suppone il poter creare qualcosa dal nulla, prerogativa della sola onnipotenza divina. Infatti il miracolo è un fatto sensibile, che non può essere spiegato altro che con questa onnipotenza creatrice.

Infatti i miracoli comportano un apporto aggiuntivo di materia, tratta da Dio dal nulla. Essi possono essere di due generi: o costruttivi o liberatori. Nel primo caso il miracolo aggiunge all’uomo una forza fisica superiore alle sue forze naturali: per esempio, camminare sulle acque. Nel secondo caso aggiunge all’uomo una forza superiore a quella umana, liberando l’uomo da un male, al quale egli, con le sue sole forze, non riesce a rimediare: per esempio un cieco che riacquista la vista senza aiuti tecnici. Per esempio, una pandemia.

Che cosa dobbiamo sperare?

Adesso il tema della speranza. Dio è la ragione del nostro sperare? Ma da un Dio come quello di Cosentino, che cosa possiamo sperare? Cosentino non lo dice. Più avanti, quando parla dell’essenza della speranza, invece di rispondere alla domanda, che resta così inevasa, passa a parlare della fede, riducendola quindi alla fede, come fa Lutero. Infatti non parla del contenuto della speranza, ma si limita a parlare della «forma della speranza», che però non può, non dev’essere la speranza in un intervento miracoloso.

Infatti, per Lutero la fede sostituisce la speranza. Lutero, grazie alla sola fides e alla sola gratia, si sente salvo già fin da adesso: che cosa dovrebbe sperare, se Cristo gli ha confidenzialmente promesso di salvarlo, vada come vada?

D’altra parte, questo sperare senza contenuto di Cosentino mi fa venire in mente un colloquio di tanti anni fa con un mio amico filosofo, il Prof. Paolo Vincieri, il quale mi disse che stava facendo uno studio sulla famosa «teologia della speranza» del luterano Jürgen Moltmann. Gli chiesi: ma che cosa speri? Ed egli mi disse: spero!

Dice infatti Cosentino: «la forma di questa speranza non deve aver nulla a che fare con l’ingenuità di una religiosità puerile, con l’atteggiamento miracolistico di chi, in preda alla fatica di reggere all’impatto del dolore, si aggrappa a eventi straordinari o ancora con il sentimento della fuga per non affrontare l’aspro duello con il male».

E si capisce che Cosentino non precisi che cosa dobbiamo sperare. Infatti, oggetto della speranza è appunto l’intervento soprannaturale della grazia di Dio, e della sua onnipotente misericordia, che compie miracoli. Ma se non crediamo nei miracoli, che cosa speriamo? Che domani spunti il sole? Dunque, se Cosentino fosse coerente con le sue premesse sulla condotta di Dio nei nostri riguardi,  dovrebbe dire: io non spero proprio un bel niente.

Cosentino confonde la religione con l’idolatria

E poi sarebbe una religiosità «puerile» quella di chiedere il miracolo, per ricevere forza nella debolezza, e non fuggire davanti all’aspro scontro col male? Come si fa a dire una sciocchezza del genere? Perché mai questa religiosità dovrebbe essere una religiosità puerile? Si è dimenticato Cosentino che Cristo loda più volte la fede di coloro che gli chiedono il miracolo? 

Quale sarebbe, per Cosentino, la religiosità matura o la preghiera ben fatta? È il grido di angoscia nel buio, del quale ha parlato sopra? Invece di rispondere a tono, passa a parlare della speranza, quasi a identificare religione, preghiera e speranza. Dice: «la speranza cristiana, invece, sta nel sapere e sentirsi accompagnati, dal di dentro del dolore, da un Dio umano e compassionevole, che si fa vicino alle nostre ferite, non lascia vacillare il nostro piede».

A che serve un Dio compassionevole, se poi non sa cavarsela neanche lui?

Ridicola e blasfema concezione della religione è invece quella di Cosentino, che concepisce Dio come un quadro appeso al muro, la fotografia del sorridente nonno defunto, che se ne sta lassù, fisso e immobile, senza poter far nulla per risolvere i problemi di casa. Un Dio del genere è del tutto assimilabile agli dèi pagani, contro i quali polemizzano duramente i profeti, come per esempio il libro della Sapienza (15,15), che dice con robusto linguaggio antropomorfico: «non hanno nè l’uso degli occhi per vedere, né narici per respirare aria, né orecchie per sentire, né dita delle mani per palpare» (15,15). È dunque la religione di Cosentino ad essere superstizione e idolatria.  Un dio fatto dall’uomo come può salvare l’uomo?

Infatti, nella visione di Cosentino, che la riprende da Metz, Dio manca dell’attributo di Padre provvidente, per ridursi a uno spettatore impotente e indifferente delle vicende umane abbandonate a se stesse, con la scusa dell’autonomia dell’uomo. Da qui l’epiteto derisorio di «tappabuchi», riservato al Dio biblico, così chiaramente attivo e soccorrevole nella storia dell’uomo. Bella riconoscenza!

Un Dio da far pietà

Mi chiedo: un Dio che soffre quello stesso che soffriamo noi, quale forza o saldezza può dare ai nostri piedi? Come può aver pietà un Dio che fa pietà? D’accordo, mal comune, mezzo gaudio. Ma il Dio cristiano è tutto qui? Dov’è finita la sua onnipotenza? Come può salvarci un Dio così? Se Dio è uno scalzacane o un disgraziato come noi, da dove ci viene la salvezza? Tanto vale che ci arrangiamo da soli.

E’ la sofferenza di Cristo uomo che ci salva. Parlare di sofferenza di Dio non ha senso. È la sofferenza umana di Cristo che ci salva perché Gesù si è offerto come vittima di espiazione per i nostri peccati al Padre, il Quale, avendo ricevuto soddisfazione al nostro posto dal sacrificio del Figlio per l’offesa da noi inflittaGli dal peccato, in Cristo e per Cristo ci concede il suo perdono ed anzi la vita eterna, a patto che ci uniamo alle sofferenze del Redentore. È questa partecipazione alla Passione di Cristo che dobbiamo chiedere nella preghiera innanzitutto e soprattutto all’appressarsi della Settimana Santa.

Cosentino ricorda poi la preghiera di Cristo al Getsemani. E osserva: «È in quella notte che noi possiamo vedere Dio proprio quando pensavamo di averlo perduto, entrando nella notte. Gesù ci rivela chi è Dio: non uno che fa teorie sul dolore o ne stabilisce le colpe, ma il Dio che entra nella notte, la soffre con te, accompagna la tua paura, si lascia toccare e ferire. E si lascia inchiodare sulla Croce perché quella notte si apra alla luce di una nuova vita».

Che cosa c’è di male a indagare e teorizzare sul problema del dolore e attendersi in ciò una risposta dalla divina Rivelazione? Su questo argomento da millenni si sono affaticate ed hanno dato le migliori prove di sé le più alte menti dell’umanità; attorno a questo tema affascinante e tremendo sono nate le grandi religioni compreso lo stesso cristianesimo. E Cosentino se la sbriga così in due parole? Mi domando quindi da dove mai Cosentino ha tirato fuori la sua idea del Dio di Gesù Cristo. Inoltre, secondo Cosentino il Dio di Gesù Cristo «non stabilisce le colpe». E allora chi lo fa questo delicato lavoro? Cosentino?

Dio ricava il bene dal male, perché è onnipotente, ma di per sè dal male non sorge il bene

Osservo inoltre che se Cristo è un poveraccio come noi, un Dio sofferente e frustrato, come può da quella notte venire una «nuova vita»? È come la colomba che esce fuori dal cappello del prestigiatore? O è il «magico potere del negativo», del quale parla Hegel? O è l’effetto di un sogno notturno di Cosentino?

“Cosa vuoi che ti faccia?” “Signore, ch’io veda!”

Cosentino spiega ulteriormente il suo pensiero citando le parole di Bonhöffer: «comprendete che l’ora della tempesta e del naufragio è l’ora dell’inaudita prossimità di Dio, non della sua lontananza. Là dove tutte le altre sicurezze s’infrangono e crollano e tutti i puntelli che reggono la nostra esistenza sono rovinati uno dopo l’altro, là dove abbiamo dovuto imparare a rinunciare, proprio là si realizza questa prossimità di Dio, perché Dio sta per intervenire, vuol essere per noi sostegno e certezza. … Questo ci vuole mostrare: quando tu lasci andare tutto, quando perdi e abbandoni ogni tua sicurezza, ecco allora che sei libero per Dio e totalmente sicuro in lui».

E come Dio sarebbe per noi sostegno e certezza? Distruggendo tutte le certezze che avevamo prima di ricevere il Vangelo? Ma anche le certezze razionali, benchè non rivelate, provengono da Dio creatore della ragione umana! Questo dunque non è Dio, ma è un uragano che ci butta all’aria la casa! Altro che sostegno e certezza!

Osservo inoltre che lasciare tutto non deve voler dire, come sembra insinuare Bonhöffer, distruggere tutto, per sostituirlo con Dio, ma deve voler dire ordinare tutto a Dio, rinunciare a tutto ciò che ci crea ostacolo alla nostra unione con Lui, certi poi di ritrovarlo centuplicato.

Dio non sostituisce l’uomo, ma lo salva e lo arricchisce con la sua grazia. La rinuncia non è affatto il «crollo delle certezze». Al contrario la rinuncia per Dio si fonda sulle certezze della ragione e della fede. Chi abbandona di proposito ogni sicurezza, non è affatto libero per l’unione con Dio, ma è uno stolto temerario, che cammina nel buio e non sa dove va. Se il «naufragio» corrisponde alla «inaudita prossimità di Dio», mi domando in che consiste la lontananza da Dio. Non possiamo pretendere che Dio ci soccorra facendo naufragare la nave. Non possiamo gettarci in mare e poi pretendere che Dio ci soccorra.

La vita cristiana non si costruisce sulle macerie dell’uomo, ma utilizzando le risorse umane di ragione e volontà rimaste sane, dopo la rovina del peccato originale. È sviluppando l’umano che si incontra Dio, perché Egli è il creatore e salvatore dell’uomo. La fede non sostituisce la ragione, ma la purifica e la innalza a una conoscenza soprannaturale. La grazia non sostituisce la natura, ma la perfeziona rendendola figlia di Dio.

Non è il Dio cristiano, ma il Dio di Hegel

Chiediamoci adesso qual è il Dio di Cosentino. Non è il Dio cristiano, ma il Dio di Hegel. Infatti, è vero che Cosentino dice che dalla notte del Getsemani scaturisce la luce. Ma Cosentino non accenna assolutamente al fatto che il Getsemani ci procura la luce non per una forma di opposizione dialettica della luce alle tenebre, o perché  la luce sorga necessariamente dalle tenebre, come avviene in Hegel, ma grazie al volontario sacrificio di Cristo, il Quale si è immolato sulla croce per la remissione dei peccati, ossia per l’estinzione delle tenebre. Cristo, che era la Luce, ha potuto con la potenza della sua luce divina assumere nella sua carne le tenebre della sofferenza umana, effetto del peccato, estinguere le tenebre del peccato e trasfigurare in luce le tenebre della sofferenza.

Non è così certo che la notte produca necessariamente in tutti la luce. Vi sono alcuni, ai quali piacciono le tenebre e nelle tenebre vogliono restare. Di per sè la notte produce la notte, la sofferenza produce la sofferenza. Se la notte diventa luce, ciò non avviene per una forza che sia intrinseca alla notte stessa, come credeva Hegel, ma per un libero consenso di chi è nella notte. Se la sofferenza produce la gioia, non è perché la forza di produrre la gioia sia intrinseca alla sofferenza, ma perché il sofferente sa soffrire con Cristo. Questi passaggi non avvengono per opposizione dialettica, ma per la libera forza della luce e della gioia.

Fuori di metafora: se la sofferenza ci libera dal peccato e dalla sofferenza, ciò non avviene, come crede Hegel, per il «magico potere del negativo», ma perché un Dio che non può soffrire, con la potenza della sua divinità, per amor nostro ha potuto riscattarci dalle tenebre, dalla morte e dal peccato e donarci la stessa possibilità di meritarci, unendoci alla sua Passione, la luce, la vita e la gioia.

La preghiera cristiana non è un grido angosciato nella notte a un Dio che tace e non risponde, ma è questa fiduciosa richiesta a Dio Padre in Cristo per la potenza dello Spirito Santo, nella certezza di essere esauditi.

Non è dunque affatto proibito, ma anzi raccomandabile chiedere a Dio, magari per intercessione della Madonna, il miracolo o quanto meno la grazia della cessazione della pandemia. Già altre volte nella storia, come è noto, Dio ha esaudito le suppliche, come avvenne per esempio nella peste del 1522 a Roma per grazia del Crocifisso, davanti al quale ha pregato il Santo Padre, non certo per favorire la fede ingenua e superstiziosa, della quale parla a sproposito Cosentino.

Certo Dio ha suoi piani, che possono a volte non coincidere con i nostri desideri, ma, come Giobbe, sappiamo per fede che comunque sono piani sapientissimi e salvifici. Pensiamo per esempio ai milioni di morti che fece la cosiddetta «spagnola» nel 1918. Forse che Dio non sarà stato invocato? In ogni caso, se Dio non concede la grazia materiale, concede sempre la grazia spirituale della pazienza, nonché la serenità e la forza di vivere fruttuosamente il momento della Croce per la remissione dei nostri peccati e la salvezza del mondo.

P.Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 31 marzo 2020

[1] Per sapere che cosa è veramente la magia, basta leggere le opere di Giordano Bruno, da lui espressamente scritte per insegnare le arti magiche. Cf F.C.Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Editori Laterza, Bari 1992.

[2] Maritain ha analizzato benissimo questo Dio mostruoso, che approva tanto il bene quanto il male: in La filosofia morale. Esame storico e critico dei grandi sistemi. Morcelliana, Brescia 171, pp.215-248.

(MB- Ci è toccato leggere sul giornale  dei vescovi la negazione dei quattro attributi di Dio.  Questi  attirano su di sé la colpa “come con corde di carro”, disse Isaia))

Il centurione: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto;  di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.  Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa». Gesù ne fu ammirato e disse:   «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande”.