Perché siamo così furbi da essere stupidi? Un problema nazionale.

Non volevo tornare sulla  auto-strage di Castaldaccia, dove il premio Darwin  (per le specie che non riescono nella lotta  per l’esistenza) ha prelevato il suo  tributo di nove morti e due famiglie distrutte.  Anche perché  è ripetitivo constatare  – per l’ennesima volta, nell’ennesima tragedia del Sud – come   essa sia dovuta a ignoranza quasi sub-umana  e stupidità esasperante delle vittime. Qui sotto un altro mio articolo sullo stesso tema:

ISCHIA. UNA MUTAZIONE ANTROPOLOGICA.

Una stupidità fondata sul  roccioso piedistallo, da parte degli stupidi votati all’autodistruzione, di essere i più furbi. Di saperla più lunga dei periti che hanno posto i divieti, che loro allegramente infrangono, tanto che cosa vuoi che succeda. Di non aver niente da imparare da nessuno, nemmeno dalle leggi di natura che avrebbero sconsigliato  anche ad un Neanderthal di fare una casa sul greto di una fiumara;  perché il Neanderthal era attento ai segnali e preallarmi naturali, non aveva bisogno della scuola per capire i pericoli dell’acqua e le leggi inflessibili che governano le correnti, imparava dall’esperienza, un ottimo cacciatore capace di prevedere. Tutte cose che ignora una certa specie di homo siculus.  Orgoglioso della sua superiore furbizia.

E quella casetta abusiva doveva essere un pugno nell’occhio del buon senso, se, in un agglomerato di case abusive e in una “cultura”  di abusivismo impunito dilagante, ne era stata  decretata giudiziariamente la demolizione;  confermata dal Tar di Palermo a cui i furbi avevano ricorso  opponendosi al primo decreto (ah, quanti  soldi è capace di spendere questo italiano, che in apparenza di soldi ne ha pochi, in  ricorsi, avvocati e carte bollate  –  per  farsi dar ragione , quando ha torto,  da uno Stato che disprezza e a cui non si sente tenuto ad obbedire in nulla!  Milioni, decine di milioni.  Con i soldi  delle cause si poteva  fare della Sicilia un giardino..).

Ma niente: le due famiglie ci vanno a cena, in questa casa sequestrata, e   quando comincia a piovere …”Tutti dentro!”.

Ora, non è per infierire. Vorrei solo  chiedere quando  si raggiungerà finalmente, come popolo, che la nostra stupidità suicida è  dovuta alla nostra furbizia,  o  più precisamente alla presunzione di credersi così furbi da non aver bisogno di imparare nulla, perché la scuola non serve a niente, e la vita insegna di più:  quando la vita, la vostra “esperienza”, non  vi ha insegnato  nemmeno prevedere un pericolo mortale evidente.

Cosa è questo, che rende tanti di noi così  rocciosamente  indocili (etimologicamente: “non volenti imparare”) e  continuamente in arretramento d’intelligenza, civismo, cultura? Ermeticamente chiusi ad ogni ragionamento , ad ogni sviluppo e cambiamento di idee, estranei al pensiero, attaccati come patelle alla roccia dei vostri egoismi più  corti e ciechi  e sub-umani?  E che voi riuscite ad imporre, imperiosamente, ai (troppo) pochi che hanno una visione superiore della vita collettiva  e della gerarchia dei “diritti” e di bisogni  collettivi e privati?

E non crediate che me la prenda coi meridionali. Questo atteggiamento  – superbia, furbizia come base della stupidità e  ignoranza – è perfettamente visibile nei giovani discotecari di questo video, preso in una discoteca di Milano:

Cosa è che rende questo sedimento di inciviltà sub-umana così incrostato, duro impossibile da lavar via? Qui c’è un difetto di educazione,  di cui si dovrebbe essere coscienti  che è un problema nazionale; come mai i furbi hanno sempre la meglio sugli istruiti, a loro stesso danno?  non è infatti una questione privata.

E’ una piaga sociale, perché è  il “credersi furbi” e  che la sanno più lunga, a indurre  una quantità enorme di adolescenti e persino  ragazzini italiani a darsi alla cannabis, alle sostanze illecite, “perché tanto cosa vuoi che mi succeda”, e cadere nelle mani di spacciatori  come quelli di San Lorenzo o di Macerata.

Perché i giovani italiani si drogano, e si espongono a comportamenti che li riducono alla tossicodipendenza,  in misura maggiore degli altri europei; e cominciano a ”provare”  in  età più giovanile.  Senza che nessuno ci faccia niente  – né le famiglie  né lo Stato, né le”agenzie educative”.  Quando si cerca di interrogarli, questi giovani rispondono che a scuola non imparano niente e vanno solo a dormirci dopo la discoteca e lo sballo notturno; sul perché  lo fanno, le risposte vanno da “Non essere esclusi” dal branco, al “vuoto e noia”,  e  “provare forti emozioni”, e “funzionare essere simpatico” con le ragazze.

Gli italiani si drogano prima e di più

(European School Survey Project on Alcohol and other Drugs), indagine  che ha coinvolto 35 Paesi europei e un totale di 96.043 studenti.  Gli italiani ci cascano di più. perché siamo furbi e non abbiamo bisogno i imparare niente.

Il vuoto e la noia divorante, che costoro  non sanno certo elaborare  non avendo cultura  né istruzione né voglia di imparare, viene dalla prescrizione generale, da tutti gli altoparlanti della post-modernità, ad essere “liberi”  – ossia esenti da impegni, non obbligati ad esigere nulla da se stessi; non mettere limiti ai loro desideri,  perché tutto è loro è permesso e nulla gli è imposto;  a non sviluppare l’intelligenza, il coraggio,  le virtù,  il pensiero. Temo che un reddito di cittadinanza spingerà questi a nemmeno più  imparare a leggere e scrivere  (perché, se non ne hai bisogno?) e  quindi avviarli alla degradazione finale dell’umano in loro.

Il fatto più sconvolgente è che costoro “Non si vergognano” di essere così scemi.   Se  recuperassero la capacità  di “vergognarsi”, già sarebbero sulla via del riscatto – e persino di evitare gli  affogamenti di famiglie intere, le loro.   Perché  vergognarsi di essere ignoranti e “furbi”  indicherebbe in quelle coscienze  il fiorire del’umiltà – che è la virtù di cui hanno veramente bisogno. Infatti l’essere stupidi e sentirsi  furbi ha come radice la superbia.

La  superbia, il vizio capitale dei re e dei dominatori, in Italia è quello dei cialtroni.

Il difetto tuttavia non può essere guarito da sforzi individuali, da improbabili risorse  di volontà e spirituali che costoro dovrebbero trovare in se stessi. Palesemente ci vuole un “comando”, che li tolga dal loro prolasso e  – come fa  il comando li incardini sul loro destino, gli affidi un compito,  li salvi dalla dissipazione.

MA come? Quale  “comando” costoro accetterebbero  come superiore a sé? Non basterebbe la pura coercizione  statuale, poliziesca, disciplinare  (che meriterebbero, ma contro cui comunque protesterebbero tutti, da “le mamme”  agli LGBT, a   “Lilli Gruber e Matteo Renzi”  a “papa Francesco”.

Il “comando”  che funziona viene da un esempio incita tante:   ad essere migliori,  a fare cose difficili, a non accontentarsi di essere quello che già si sé, a non adagiarsi nel  prolasso mentale .

Diverse sere fa  Rai 5 ha  mandato o rimandato in onda un documentario sulla trasvolata di Italo Balbo.  Ho appreso fra l’altro una cosa cui non avevo pensato. Non  essendo ancora pressurizzati, gli idrovolanti italiani non volarono come oggi a  10 mila metri nel cielo sempre sereno: volarono  fra i mille e i 100 metri, ossia nelle intemperie  del Nord Atlantico,  subendole  come fossero  marinai in  barca a vela,  nella nebbia e nelle tormente, in volo cieco; gli idrovolanti coi due grandi scafi di legno erano una “avanguardia” tecnologica   utile  in un’epoca dove ancora non esistevano aeroporti, ma ovviamente  fornivano una resistenza ch li rendeva pericolosi,  e l’autonomia in quelle basse quote era poca.  Balbo  fece dislocare lungo il tragitto tre navi militari e due sottomarini, più se baleniere inglesi affittate, per garantire l’appoggio logistico, e i ponti-radio che permettevano ai piloti della formazione in volo di comunicare fra  loro, e ricevere le informazioni dagli impianti meteo che  Balbo aveva fatto distribuire sul percorso. I piloti infatti furono resi pratici di  navigazione a vela con esercitazioni  in mare, e addestrati agli sci   se avessero  dovuto ammarare in emergenza nei mari della Norvegia o dell’Islanda.

http://www.raistoria.rai.it/articoli-programma-puntate/italo-balbo-le-ali-del-fascismo/23799/default.aspx

Con tutto ciò,  l’impresa  restava pericolosa,  specie in decollo quando gli idrovolanti partivano sovraccarichi e in ammaraggio; due tragici capottamenti costarono sette morti.  Alcuni ufficiali, sposati, chiesero a Balbo di rinunciare.  Il punto è che decine di altri si offrirono, e migliaia di giovani sognarono di  diventare anche loro  piloti,  di imparare cose difficili e pericolose.  In qualche misura, l’Italia intera volle sforzarsi di essere migliore. L’esempio incitante.  Il comando.