IL PAPA CHE DICE LE BUGIE. E IL CARDINALE BLAISE CUPICH. GALANTINO, LA CHIESA E LA POLITICA.

MARCO TOSATTI
Questo è un Bestiario Clericale triste. Più triste di quanto possiate immaginare. Facciamocene una ragione: il romano Pontefice forse dice le bugie. E questo, permettetemi di dirlo, è almeno per me un grande motivo di tristezza.
Il Papa può dire bugie?
L’ultimo episodio – ma non il solo, ahimè – è quello degli abusi sessuali commessi in Cile da padre Fernando Karadima, e a cui avrebbe assistito anche quello che adesso è – nominato dal Pontefice – il vescovo di Osorno, Barros. Le vittime avrebbero voluto incontrare il papa, nella sua visita di gennaio 2018. Non è stato permesso. Nel volo di ritorno, come scrive Catholic World News il papa ha chiesto evidenze delle accuse, dicendo di non averne avute. Così scriveva la collega Franca Giansoldati sul Messaggero: “Io non ho sentito alcuna vittima di Barros. Non sono venuti, non ho potuto parlare con loro, non si sono presentati. Su una cosa dobbiamo essere chiari che chi accusa senza evidenza e con pervicacia è calunnia. Se viene una persona con una evidenza sono il primo ad ascoltarlo”. Ora, le vittime di Barros avevano chiesto, durante il viaggio in Cile, di essere ricevute dal Pontefice. Che però ha ricevuto altre vittime di abusi, con molta discrezione, ma non loro. E successivamente la collega Nicole Winfield, dell’Associated Press, ha pubblicato una lettera scritta al papa nel 2015 dalle vittime di Barros. Come scrive Catholic World News, “Il cardinale Sean O’Malley, che presiede la commissione papale speciale sugli abusi, ha informato i membri della Commissione di aver consegnato a mano la lettera della vittima al Pontefice. Juan Carlos Cruz, l’autore della lettera ha detto all’Associated Press di aver ricevuto assicurazioni dal card. O’Malley sul fatto che il papa ha ricevuto la sua lettera nel 2015”.
Purtroppo non è la prima volta che ci sono, diciamo così, delle discrepanze di questo genere. Cito così a memoria, senza aver fatto una ricerca più estesa. Qualche anno fa il Pontefice disse una grase del genere: non mando via nessuno senza avergli prima parlato. Però Rogelio Livieres Plano, vescovo di Ciudad del Este, è stato cacciato dalla sua diocesi, e ha passato due settimane a Roma chiedendo di essere ricevuto dal Pontefice, senza fortuna, prima di tornare in Argentina, e morirvi di tumore qualche tempo dopo. In un’altra occasione, rispondendo a una domanda su perché fossero stati cacciati senza spiegazioni e contro il volere del card. Mueller tre bravi e capaci dipendenti della Congregazione per la Fede, il papa ha detto: “Si è cambiato il direttore dell’ufficio disciplinare della Congregazione per la dottrina della fede, che era bravissimo ma un po’ stanco ed è tornato in patria per fare lo stesso lavoro con suo episcopato”. Il direttore dell’ufficio disciplinare era uno dei tre ufficiali licenziati arbitrariamente. E non era affatto stanco. E non aveva nessun desiderio di tornare in patria.
E sempre al volo: in un’intervista mai smentita subito dopo il suo non-rinnovo nell’incarico il card. Mueller disse che il Pontefice gli aveva spiegato così la decisione: d’ora in poi non voglio mantenere nessuno in carica in Curia dopo i 75 anni, e lei è il primo a cui la decisione si applica. Ora ai massimi vertici della Curia non mancano esempi contrari: i cardinali Amato, Stella, Coccopalmerio sono i primi che mi vengono alla mente, ma ce ne sono anche altri. Non solo: dalla Terza Loggia mi dicono che si sta pensando a una misura per prorogare a 78 anni la permanenza dei vescovi e dei responsabili di Curia, o in subordine, a una norma che renda ancora più chiaro e normato quello che già accade: e cioè che il Pontefice può ad libitum tenere o mandare. Insomma, facciamocene una ragione: se non vogliamo dire che il papa dice le bugie (non si fa!) ammettiamo che è un po’ distratto….
Cupich, tu quoque…
E deve essere – la distrazione – una malattina contagiosa, se il cardinale di Chicago, Blaise Cupich, si è fatto correggere da Edward Pentin, del Catholic Register, mentre raccontava una sua versione del Sinodo sulla Famiglia, quello che ha portato ad Amoris Laetitia, le ambiguità e le controversie che ancora durano e dividono la Chiesa. In questa intervista il cardinale Cupich dice a un certo punto: “I vescovi…erano uniti sotto questo aspetto, alla fine votando per tutte le proposte con un voto di oltre i due terzi e nella maggior parte dei casi in maniera quasi unanime”. Scrive Edward Pentin: “Eminenza, come sa chiunque abbia seguito il sinodo, questo è falso”. Il collega rimanda a un articolo molto interessante, di cui estrapoliamo questo paragrafo: “Si dimentica spesso…che a dispetto degli strenui sforzi da parte della Segreteria del Sinodo e di altri di manipolare e dirigere i padri sinodali ad accettare le proposizioni più controverse…nessuna delle tre proposizioni più controverse è riuscita ad ottenere una maggioranza di due terzi durante il primo Sinodo straordinario sulla famiglia nel 2014”. Il che spiega anche perché, Amoris Laetitia è stata concepita in maniera così ambigua. Come ben ha spiegato l’arcivescovo Bruno Forte, riferendo un consiglio del Pontefice: “Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati – ha riportato Mons. Forte – questi non sai che casino che ci combinano. Allora non ne parliamo in modo diretto, fa in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io”. Dopo aver riportato questa battuta lo stesso Forte ha scherzato dicendo: “Tipico di un gesuita”.
Galantino, la politica e la Chiesa
Ce n’è abbastanza per essere tristi, non vi pare? Ma poi abbiamo – e se ne è occupato ieri Pezzo Grosso – l’intervista alla sua televisione di mons. Galantino. Che ha detto, fra l’altro: “La Chiesa da sempre quando ha affrontato il tema dell’immigrazione ha affrontato il tema delle storie, dei volti e delle persone migranti. Non ha affrontato il problema politico perché la politica non spetta ai vescovi o al Papa”. A voi sembra che corrisponda alla realtà? Ho forti dubbi, perché neanche ai tempi della DC si è vista una simile contiguità dei vertici della Cei a un partito politico al governo. E ahimè non è facile allontanare l’idea che oltre alla vicinanza ideologica, di per sé abbastanza straordinaria, nei confronti di un partito che ha fatto passare leggi contrarie ai valori cristiani, ci sia anche una corposa fetta di interesse in tutto questo. Ma anche se le intenzioni fossero candide come la neve, i vescovi italiani senza fare politica una parola politica dovrebbero dirla, eccome. Dovrebbero, da pastori di un popolo specifico a loro affidato, dire ai governanti che non è lecito assecondare e favorire politiche migratorie senza regole, eterodirette, e farsi in buona sostanza complici di fenomeni di tratta degli esseri umani. I vescovi dovrebbero ricordare che non si può giocare con queste alchimie senza correre il rischio, prima o poi, di un’esplosione. Dovrebbero forse sentire quello che dicono i vescovi e i governanti africani, su questo argomento, e farne tesoro. E non nascondersi dietro il comodo minimalismo delle singole storie, su cui possiamo essere tutti d’accordo. Dovrebbero: se ne avessero statura, responsabilità e capacità.
Ora sapete perché questo è un Bestiario triste.