Ora gli economisti tedeschi lanciano l’allarme, Fuest: “Serve una clausola per uscire dall’Euro”

Sulla stessa posizione anche altri noti economisti come Hans Werner Sinn e Christoph Schmidt. L’ansia tedesca dopo le elezioni politiche italiane. I benefici della Germania e le paure per le conseguenze della rottura dell’eurozona

 

Qualcosa agita i sonni dell’Europa e dei tedeschi in particolare, se è vero che un economista del peso di Clemens Fuest, presidente dell’Istituto di ricerca Ifo institute, il centro studi più importante di tutta la Germania, ha chiesto una “clausola di uscita dall’euro per i Paesi che non rispettano le regole”. Posizione su cui convergono anche altri economisti del valore di Hans Werner Sinn (predecessore di Fuest) e Christoph Schmidt, presidente del Consiglio degli esperti economici, proprio mentre Merkel e Macron cercano un accordo per riformare l’Eurozona.

Al fondo di questa posizione del gotha economico tedesco sta la preoccupazione per la eventuale non sostenibilità dell’euro, come dimostra l’intervista che il Corriere della Sera ha fatto a Fuest. Ed evidentemente qualche paura c’è davvero. Del resto Werner Sinn lo ha confermato di recente davanti a un ampio pubblico quando ha detto che “equivale a 914 miliardi di euro il cosiddetto saldo del sistema Target-2. Una cifra incredibile”. In pratica l’ammontare dei crediti che nell’eurosistema la Bundesbank ha accumulato nei confronti delle altre banche centrali del sud. Un terzo del PIL tedesco. Niente di strano che Sinn aggiunga preoccupato: “Sono davvero tanti soldi. Non so se l’euro sia sostenibile, ma il sistema che sta dietro l’euro sicuramente non lo è”. Ecco da cosa partono le ansie tedesche.

La via d’uscita

Ad avviso di Fuest “l’Eurozona ha bisogno di una clausola di uscita non solo per la Germania ma potenzialmente per ogni Paese”. I ricchi tipo Germania o Olanda con il ricorso a una clausola simile – è stato osservato per altro in taluni ambienti – potrebbero difendersi dalla trasformazione dell’eurozona in una unione di trasferimento. La clausola potrebbe venire incontro però anche ai deboli, come l’Italia, che con una loro moneta nazionale, potrebbero tornare nuovamente competitivi.

Una situazione che avrebbe richiesto la possibilità di uscita si è verificata con la Grecia e “potrebbe verificarsi ancora in futuro”, ha continuato Fuest. Anche per questo molti importanti economisti tedeschi e internazionali si sono riuniti in convegno (Is the Euro sustainable – and what if not), per discutere i costi e le conseguenze di un possibile tracollo della moneta unica. “La probabilità che l’euro finisca non è pari a zero – ha spiegato Kai Konrad, esperto di finanza del Planck-Institut – e dobbiamo considerarla”. Al suo fianco Schmidt che ha aggiunto: “Bisogna essere preparati anche ad eventi alquanto improbabili”.

Perchè non “regolamentare” comunque la possibilità di lasciare l’Eurozona, sia che si tratti di uscita di un Paese senza il consenso degli altri, di decisione degli altri aderenti o – da ultimo – di esclusione contro la volontà del paese interessato?

La situazione italiana

Il momento ad avviso di Fuest è adatto per discuterne perché il dibattito “sarebbe meno distorto dagli interessi particolari dei singoli Stati”. Ma l’agitazione tedesca sembra legata in particolare anche alla nuova situazione politica scaturita dalle urne italiane dopo il 4 marzo. “Il risultato delle elezioni in Italia ci ricorda che certi governi nazionali potrebbero rifiutarsi di onorare gli accordi che i loro predecessori avevano firmato”, afferma l’economista tedesco che sottolinea come, di recente, Matteo Salvini (uno dei candidati alla presidenza del Consiglio) abbia sostenuto che bisognerebbe “fare esattamente il contrario di ciò che chiede Bruxelles”.

Insomma, se una posizione come quella del leader del Carroccio dovesse passare “verrebbe messa in discussione la partecipazione dell’Italia all’euro”. E la zona euro – secondo Fuest – può avere un futuro solo se i Paesi accettano i principi sui quali essa si fonda”. Se ciò non avviene, meglio “restare amici ma avere monete diverse”.

La clausola

Ma potrebbe davvero essere concretizzata una clausola per una uscita dall’euro che è sempre stata descritta come foriera di disastri per i mercati? Come potrebbe aiutare la stabilità della moneta europea?

Fuest ricorda che “l’euro ha già una clausola di uscita, l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, quello per intenderci a cui sta ricorrendo l’Inghilterra per la Brexit”. Tuttavia – sostiene sul Corriere – ci sono dei problemi perché allo stato attuale chi esce dall’euro deve anche lasciare la UE. Ci vuole allora un meccanismo che permetta a un Paese di uscire dall’euro ma restando nell’Unione. In secondo luogo servirebbe una procedura per evitare i conflitti e ridurre al minimo i costi per tutti. Solo una clausola di questo tipo “non destabilizzerebbe l’Area euro”. In definitiva “i vantaggi dell’avere regole di uscita chiare consisterebbero nel ridurre i costi macroeconomici legati all’uscita, compresa l’incertezza, rendendo i conflitti fra gli stati meno probabili. Tutto questo spinge verso la creazione di ostacoli procedurali elevati che rendano difficile l’uscita, ma non all’assenza di una procedura di uscita”, sottolinea Fuest.

I benefici tedeschi

Messa così la presa di posizione dell’economista tedesco sembra di buon senso. Ma come mai diviene necessario proprio adesso prevedere una via d’uscita dall’Eurozona indolore per tutti i partecipanti al “sogno europeo”? Inevitabile considerare come la Germania abbia goduto di benefici notevoli dall’Unione monetaria. Con i nuovi scenari euroscettici delineatisi in Europa, compreso quello italiano, l’ansia tedesca evidentemente cresce. Secondo Fuest tuttavia “l’idea che la Germania abbia tratto benefici non è ben fondata”. Anzi “nei primi anni dell’unione monetaria la disoccupazione tedesca era elevata e la crescita lenta. Dalla crisi finanziaria in poi la Germania ha iniziato ad andare meglio del resto dell’Area”, nota Fuest. Anche se un tasso di cambio basso è “buono per gli esportatori tedeschi ma negativo per i consumatori”. I Tassi d’interesse bassi non vanno bene alla Germania, basti pensare che “un calo dell’1 per cento dei tassi costa ai tedeschi 17 miliardi in interessi”. Mentre attualmente “Spagna e Italia in particolare beneficiano del credito a buon mercato”. Insomma a dirla tutta, secondo l’economista conterraneo della Merkel, non ci sarebbero “particolari vantaggi per la Germania”.

Un terreno pericoloso

In ogni caso l’uscita di un Paese dall’euro sarebbe oltremodo onerosa anche per i tedeschi, hanno spiegato i partecipanti al convegno. Se ci fosse una defezione la Bundesbank potrebbe perdere i suoi crediti Target nei confronti del paese uscente (l’Italia per esempio ha un debito rispetto all’Euro-sistema di 444 miliardi di euro). Se ad uscire fosse la Germania sarebbe in discussione l’importo di 900 miliardi di “crediti target”. Certo, secondo Fuest, in tal caso “la Bundesbank potrebbe intervenire”. Ma non c’è mai da fidarsi nell’accettare con troppa faciloneria uno scenario di rottura dell’euro. Ci sono sempre delle conseguenze, turbolenze forti. E di solito, il crollo di un’unione monetaria causa anche il crollo della corrispondente unione doganale”, sottolinea durante l’incontro Albert Ritschl, storico economico della London School of Economics. Insomma il problema posto è serio e ci si muove su un terreno molto, molto, insidioso. Una clausola di salvaguardia come quella auspicata da Fuest, che regoli a puntino l’eventuale uscita dal sistema, potrebbe diventare comunque davvero opportuna.

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