È necessaria una nuova economia basata sui diritti della classe lavoratrice

PROF. MORENO PIERANGELI

 

Le Economie moderne si caratterizzano per una forte diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza.

Quali le cause principali e quali i possibili rimedi?

L’avvento della rivoluzione industriale ha dato la speranza ad intere generazioni di popoli di poter superare le condizioni di povertà economica nelle quali erano oppresse.

Quali i risultati del progresso tecnico e del modo di produrre capitalistico?

Assai deludenti: ancora oggi la gran parte della popolazione mondiale non dispone di risorse sufficienti per un dignitoso tenore di vita, con milioni di uomini in condizioni di povertà assoluta per mancanza di cibo ed acqua salubre, mentre un gruppo di individui assai ristretto ha accumulato ricchezze di proporzioni enormi, ben al di là delle proprie esigenze vitali e di benessere personale e del gruppo di appartenenza. Appare dunque necessario ripensare il contenuto delle attuali politiche economiche elaborate e condotte dai Governi del Pianeta, per superare infine la grave situazione di sperequazione nella distribuzione della ricchezza.

I moderni sistemi produttivi

Cosa distingue l’Economia del XXI secolo da quella del ‘700?

Il lavoro in fabbrica. Nel XVIII secolo il “produttore”(contadino-artigiano-prestatore d’opera in genere) non era separato dal frutto del proprio lavoro: il prodotto, in forma di beni e servizi; il lavoratore nella norma scambiava i beni ottenuti con altre utilità economiche, dopo aver provveduto all’autoconsumo delle quantità necessarie per la propria sopravvivenza. Si trattava quindi di un’Economia basata sul baratto: la circolazione della moneta si riferiva essenzialmente agli acquisti ed alla spesa dello Stato, il quale pagava le prestazioni ricevute con denaro in forma di metallo (spesso prezioso) o in forma di debiti a vista (biglietti), immediatamente pagabili in metallo prezioso a semplice richiesta (moneta convertibile). Dunque, la moneta circolante assumeva la qualità di essere convertibile in altro bene, dotato di proprio valore. Con l’avanzare del progresso tecnico e la nascita della macchina a vapore si determina la possibilità di moltiplicare le capacità produttive dell’uomo.

Nel contempo, lo sviluppo delle attività mercantili aveva generato un forte accumulo di capitale nelle mani di pochi: costoro furono i primi “proprietari” delle moderne fabbriche, luoghi ad alta concentrazione di macchine-attrezzature ed impianti nonché di operai capaci di produrre notevoli quantità di beni. In tal caso, però, il lavoratore (il vero produttore) è separato dal prodotto, del quale si appropria il proprietario-imprenditore-capitalista; costui provvede alla vendita dei beni sui mercati, decidendone il prezzo e le quantità da produrre, e corrispondendo ai produttori-operai un salario. La paga però non è determinata nella sua consistenza sulla base delle reali necessità economiche dei lavoratori, bensì in relazione ai calcoli di convenienza dei capitalisti, i quali rincorrono l’obiettivo del massimo profitto.

Le classi lavoratrici divengono in tal modo prigioniere del salario, percepito in forma monetaria, per poter assicurare la propria sopravvivenza; ed infatti, avendo perduto la connessione con il prodotto, devono ricevere un reddito in forma di moneta per acquistare i beni necessari alla propria sussistenza. Nasce la classe dei proletari, cioè di coloro che possiedono unicamente la propria “prole”, nonché le capacità lavorative; una massa di diseredati che dopo aver abbandonato le campagne ed i centri rurali nel miraggio del lavoro in fabbrica, si ritrovano “prigionieri” di un lavoro il cui reddito, nella norma, non è sufficiente alla dignitosa sussistenza della famiglia. Tale deprecabile situazione deriva dalla circostanza che il livello del salario è autonomamente determinato dal proprietario-imprenditore e non connesso al prodotto, ovvero alla produttività del lavoro; nel senso che il capitalista si appropria della quota maggiore del valore in forma di profitto, lasciando le “briciole” ai lavoratori.

Questo stato di cose è ancora oggi diffuso nella gran parte delle Nazioni del Pianeta; e dunque, la maggiore quota della popolazione mondiale vive in condizioni economiche precarie o in stato di assoluta povertà. Molti giustificano tale stato dei fatti additando la responsabilità in capo ai Governi, i quali non si mostrerebbero capaci di determinare le condizioni utili per la nascita della “fabbrica” in molte aree del pianeta; la verità è che il modo di produrre capitalistico non assicura la diffusione del benessere in ogni strato della popolazione, poiché il proprietario-imprenditore si trova sempre nella condizione di determinare autonomamente il livello del salario, senza alcuna connessione con la quantità di prodotto, così come quello dei prezzi. Ne è una riprova la condizione operaia nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, tra i quali anche la Cina: il lettore sa che la paga oraria di un operaio cinese difficilmente può assicurare uno standard di vita dignitoso; tant’è che le produzioni prendono la via dell’export per l’assenza di un sufficiente livello di domanda interna.

 La sperequazione nella distribuzione della ricchezza

Dalla produzione capitalistica (il lavoro in fabbrica) discende un duplice forte condizionamento per le classi lavoratrici: la dipendenza dal “posto di lavoro” e dalla percezione di un salario, di consistenza monetaria tale da assicurare la sopravvivenza. Le moderne Economie, invero, si definiscono” monetarie e creditizie” poiché nessun processo di consumo o di produzione può essere realizzato senza la preventiva disponibilità di uno stock di moneta sufficiente, la cui dimensione è da correlare con il livello dei prezzi: vale a dire,con il tasso di inflazione.

Nel mondo contemporaneo, la moneta legale (biglietti) non assume più la qualità di essere convertibile in altro bene (valore intrinseco), bensì essa è dichiarata inconvertibile a corso forzoso, circolante quindi in virtù di Legge delle Stato; pertanto il suo valore si connette al potere di acquisto che esprime in relazione al livello dei prezzi: vale a dire, maggiori prezzi = minori beni disponibili, in costanza di reddito monetario. Nella norma,quindi, i redditi delle classi lavoratrici si mostrano il più delle volte non di livello sufficiente per assicurare un dignitoso livello di vita economica e, fatto ancor più deprecabile, i moderni sistemi produttivi di tipo capitalista si sono mostrati incapaci di assicurare lavoro per tutti, ovvero di annullare il cronico tasso di disoccupazione che caratterizza l’Economia dei principali Paesi al mondo.

Da dove si originano tali gravi sperequazioni che sono la fonte di una diffusa povertà e di forti differenze nella distribuzione dei redditi?

Dalla supremazia del capitale; il quale, attraverso la “proprietà” della fabbrica, si pone nella condizione di appropriarsi del “prodotto” frutto del lavoro dalle masse, definendo nel più totale arbitrio il livello della paga oraria senza alcuna connessione nella norma con la quantità di valore incrementale (reddito) né con i livelli di produttività del lavoro, e determinando la consistenza dei prezzi in ragione dei propri obiettivi di profitto. Il lettore comprende allora che tali due circostanze pongono le premesse affinché non vi sia sempre una corretta relazione tra consistenza monetaria del salario e livello dei prezzi (inflazione), dal quale rapporto discende la capacità di spesa delle famiglie e quindi la misura del “salario reale”.

 La soluzione del problema

Appare allora necessario che i Governi delle Nazioni si rendano responsabili di tale stato dei fatti, elaborando delle adeguate politiche economiche, fiscali e di bilancio che sappiano sostenere lo sviluppo dell’Economia delle masse, che è principalmente riferibile al livello dei redditi reali disponibili per le famiglie(consistenza del salario in rapporto al livello dei prezzi).

E’ chiaro che un Governo illuminato deve occuparsi di riformare la legislazione societaria e commerciale in genere, per rimuovere quelle circostanze tipiche del predominio del capitalista nel lavoro in fabbrica; le quali pongono le premesse per una grave sperequazione nella distribuzione dei redditi e per una sostanziale “disattenzione” delle autorità governative verso il processo di formazione dei prezzi nell’economia delle produzioni, vale a dire presso le imprese; il cui livello è totalmente determinante la capacità di spesa complessiva del salario monetario. Per meglio dire, l’opinione prevalente riferisce alla politica monetaria la responsabilità di regolare il processo di variazione dei prezzi (inflazione), che però segue una via “dolorosa” per raggiungere i propri obiettivi: quello in genere di un aumento della disoccupazione in ragione di maggiori tassi di interesse e connessa restrizione creditizia, con effetti negativi inevitabili sui livelli delle produzioni, dei redditi e dei consumi. Va invece meditata una possibile regolamentazione dei prezzi lungo la filiera produttiva, principalmente in quei contesti caratterizzati da dominio dell’offerta (produttori); si mostra altresì necessaria una legislazione del lavoro che assicuri una minima consistenza della paga oraria (salario minimo), determinata in modo che il “reddito reale” sia superiore al livello della sussistenza economica; tale prassi pone le premesse per la formazione del risparmio in capo a tutte le famiglie, presupposto per una vera diffusione del benessere economico tra le masse.

E’ altresì chiaro che in presenza di determinati tassi di inflazione si dovrà assicurare l’adeguamento del salario, in modo da confermare la precedente capacità di spesa; ed ancora, appare irrinunciabile che si determinino degli equi meccanismi di distribuzione degli incrementi di ricchezza, conseguenti allo sviluppo economico, tra il capitale (profitti) ed il lavoro (salari), in maniera che la crescita del benessere sia per tutti i cittadini, e non com’è attualmente; si osserva invero una crescente sperequazione nella distribuzione del reddito, che denuncia che la parte principale del valore incrementale viene assorbita dal capitale (si veda al riguardo un interessante lavoro di Thomas Piketty,edito in Italia da Bompiani,2013, dal titolo Il Capitale nel XXI secolo).

Se si considera che il modello di sviluppo economico prevalente in atto nella maggioranza delle Nazioni fonda sull’aumento della produttività del lavoro, in ragione della crescita dell’input tecnologico (fattore tecnico), ancor più si fa chiara una “verità amara”: vale a dire che il capitale si appropria di quote crescenti del prodotto(valore), frutto del lavoro delle masse, acutizzando il problema di un’insufficiente assorbimento della forza lavoro disponibile, poiché si persegue l’incremento del prodotto attraverso una crescita del fattore tecnologico (produttività-economicità) piuttosto che mediante un maggior numero di occupati.

Se i Governi saranno capaci di affrontare e risolvere tali problemi insoluti dei moderni sistemi produttivi, apparirà all’orizzonte dell’Umanità la Nuova Economia, che potrà assicurare benessere economico ad ogni individuo tra i popoli del Pianeta.

Prof. Moreno Pierangeli

Dapprima Ricercatore e successivamente Professore di Finance and Banking presso alcune Università italiane. Manager di diversi istituti di credito e società finanziarie. Attualmente studia e ricerca tra Israele e l’Europa.

da THE GLOBAL REWIEW