Mons. Athanasius Schneider sulla crisi della Chiesa

(Riprendiamo un articolo già pubblicato lo scorso 26 gennaio che riproponiamo per richiamare alla memoria la sua figura e i suoi insegnamenti. Con tutta la nostra vicinanza spirituale e il nostro sostegno, in unione di preghiera. D’ora in poi, comunque, manterremo un prudente silenzio nell’attesa che la situazione possa decantare con l’aiuto e nel Cuore dell’Immacolata, alla quale rivolgiamo la nostra ardente preghiera.
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Nella nostra traduzione.dal National Catholic Register [qui] una recente intervista a Mons. Athanasius Schneider, del corrispondente da Roma, Edward Pentin, nella quale vengono toccati i temi più salienti dell’attuale situazione ecclesiale, compresa la questione della FSSPX)

http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2018/11/mons-athanasius-schneider-sulla-crisi.html?m=1

Il vescovo ausiliario di Astana in Kazakhstan, Athanasius Schneider, sta assumendo un ruolo di primo piano nell’affermare l’insegnamento morale della Chiesa di fronte alle varie interpretazioni del capitolo 8° di Amoris Laetitia, documento di sintesi di Papa Francesco sul Sinodo sulla famiglia, che alcuni sostengono stia minando la fede e la morale.

Il 31 dicembre, lui e altri due vescovi kazaki hanno reso pubblica una “Professione di fede sulle verità immutabili in ordine al matrimonio sacramentale” [qui] affermando che alcune interpretazioni del citato capitolo da parte dei vescovi – riguardanti, in particolare, l’ammissione alla Santa Comunione dei divorziati risposati che non vivono in continenza – causano “dilagante confusione”, favoriscono la diffusione della “piaga del divorzio” e introducono una disciplina “aliena” rispetto a tutta la Tradizione della fede cattolica e apostolica.

I vescovi, ai quali se ne sono aggiunti altri cinque [qui l’elenco di tutti i sostenitori dei Dubia], hanno riaffermato l’indissolubilità del matrimonio e hanno sostenuto che alcune interpretazioni del Capitolo 8° equivalgono a “una specie di introduzione del divorzio nella vita della Chiesa”.

Il vescovo Schneider, cresciuto sotto il comunismo sovietico che perseguitava la Chiesa, ha sviluppato una profonda devozione all’Eucaristia ed è diventato famoso per il suo fervore nel difendere le verità di fede di fronte al crescente relativismo morale.

Nato nel Kirghizistan sovietico nel 1961 da genitori di etnia tedesca, ha scoperto la vocazione al sacerdozio all’età di 12 anni e fatto la sua professione nell’ordine religioso dei Canonici regolari della Santa Croce di Coimbra all’età di 20 anni. Ordinato nel 1990 in Brasile, ha conseguito un dottorato in patristica ed è stato inviato in Kazakistan per aiutare la creazione di un seminario. Nel 2006 Benedetto XVI lo ha nominato vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi kazaka di Karaganda; nel 2011 è stato nominato vescovo ausiliare di Astana.

In questa esclusiva intervista al Register dell’11 gennaio via e-mail, il vescovo Schneider approfondisce la sua devozione a Gesù nell’Eucaristia, spiega perché si oppone fermamente alla Comunione nella mano e affronta la crisi odierna nella Chiesa, che vede principalmente come una “negazione pratica del mondo soprannaturale” provocata dal porre l’uomo piuttosto che Dio al centro della vita della Chiesa e della liturgia.

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Eccellenza, ha scritto molto sull’Eucaristia, in particolare il suo libro Dominus Est. Perché lo ha scritto?

Ho scritto quel libro a causa del triste fenomeno della prassi della cosiddetta “Comunione sulla mano”, una prassi che dimostra in modo evidente e innegabile una banalizzazione della Santissima Eucaristia – una banalizzazione che rasenta la profanazione ed è posta sotto gli occhi di tutti nella stragrande maggioranza delle chiese cattoliche di tutto il mondo, con l’eccezione di poche regioni e diocesi. È provato che tale prassi non è mai esistita nella Chiesa cattolica, e non ha nulla a che fare con una prassi analoga nei primi secoli. Bisogna smascherare questo mito e questa falsificazione. Questa prassi moderna, infatti, con i suoi atti concreti fu inventata nelle comunità calviniste e non esisteva nemmeno nella tradizione luterana.

In secondo luogo il mio libro si basa su due esperienze indimenticabili nella mia vita: quando nel 1973 la mia famiglia lasciò l’Unione Sovietica – vivevamo in Estonia – il nostro parroco, don Janis Pavlovskis, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, un confessore che ha sofferto nei gulag staliniani, ci ha detto: “Quando andrete in Germania, non entrate nelle chiese in cui viene data la Santa Comunione sulla mano”. I miei genitori e noi quattro bambini (eravamo adolescenti) ci siamo guardati l’un l’altro e siamo rimasti profondamente scossi, e i miei genitori spontaneamente hanno detto: “Che cosa orribile!” Nessuno di noi poteva immaginare che il Signore eucaristico, il Santo dei Santi, potesse essere trattato in modo così banale, e abbiamo promesso al nostro confessore, un santo sacerdote, che non saremmo mai entrati in tali chiese. Al nostro arrivo ​​in Germania i miei genitori hanno cercato di evitare Le Chiese in cui si dava la Santa Comunione sulle mani.

Tuttavia, nella nostra città in Germania e nei suoi dintorni, la Santa Comunione era ovunque data in mano. Un giorno, quando tornammo a casa dopo una messa domenicale, mia madre si rivolse a noi e disse con le lacrime agli occhi: “Oh, figli miei, non riesco a capire come le persone possano trattare Nostro Signore in un modo così orribile!” Dall’età di 12 anni, ho portato nella mia anima questo dolore, e non ho potuto capire come le persone possano trattare Nostro Signore in modo così negligente. L’ammonimento di un prete martire, che mi ha dato la mia prima comunione, le lacrime di mia madre e la mia stessa esperienza, mi hanno spinto a scrivere questo libro per alzare la voce a difesa del Signore eucaristico, che diviene ai nostri giorni il più povero, il più fragile e il più indifeso dell’ostia consacrata.

Quanto ha influito sulla sua fede vivere sotto il comunismo?

La fede cattolica può essere trasmessa solo in famiglia, dai genitori e dai nonni. Essi ci hanno instillato fin da bambini la fede cristallina, concreta bella e cattolica di ogni tempo, che essi stessi hanno ricevuto dai loro genitori e nonni. In un mondo ostile, che perseguitava la fede cristiana e la denigrava pubblicamente, le case di una famiglia cattolica erano una sorta di catacomba con una fede vivente. È stata un’esperienza indimenticabile per me: le preghiere familiari quotidiane, le preghiere domenicali in assenza di un prete – tutto è stato fatto nel nascondimento.

Siamo vissuti diversi anni senza avere la possibilità della Santa Messa e della confessione, perché i sacerdoti erano imprigionati o esiliati. Tuttavia desideravamo ogni giorno la santa comunione e spesso facevamo atti di contrizione. Sentivamo come il Signore ci visitava con le sue grazie anche in assenza di un prete. Poi, quando inaspettatamente arrivò un prete ci confessò e celebrò la santa Messa segretamente, fu una vera festa, che ci diede molta forza e gioia. Quando ero già prete e studiavo a Roma negli anni ’90, un giorno mia madre mi chiamò dalla Germania, e con un dolore sincero disse piangendo: “Sono stanca di assistere a messe irriverenti e banali. Preferisco tornare alla Chiesa clandestina nel tempo comunista, quando abbiamo avuto messe riverenti e santi sacerdoti “.

In generale, quali sono le maggiori preoccupazioni della Chiesa oggi, specialmente in Occidente? Alcuni cattolici mettono in discussione il Concilio Vaticano II o, piuttosto, la sua interpretazione. È questa una causa della crisi, secondo lei?

La mia più grande preoccupazione per la Chiesa oggi è il fatto che su larga scala c’è un processo – già iniziato con il Concilio Vaticano II – di una “conformazione al mondo”, contro il quale gli apostoli e i Padri della Chiesa hanno già avvertito : “Non conformatevi a questo mondo” (Romani 12: 2). C’è, dal Concilio Vaticano II, una tendenza chiaramente sviluppatasi di piacere al mondo. Quando i chierici iniziano a compiacere il mondo, corrono il rischio di diventare quei falsi profeti di cui parla l’Apostolo Giovanni: “Sono del mondo; perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta”. (1 Giovanni, 4-5). Il desiderio di parlare come piace al mondo, o di parlare per conquistare la simpatia del mondo, o di non essere emarginati o perseguitati dal mondo, si rivela davvero come un complesso di inferiorità.

Il più grande pericolo spirituale della Chiesa oggi si manifesta nell’antropocentrismo, e l’antropocentrismo è il passo decisivo verso l’idolatria. L’antropocentrismo nella vita della Chiesa si manifesta soprattutto, e in modo molto patente, nella liturgia rinnovata dopo il Concilio (anche se la forma della liturgia riformata differisce dalle stesse intenzioni dei Padri conciliari e non è conforme al testo della stessa Sacrosanctum Concilium). Lo spirito del mondo e l’antropocentrismo manifestano il naturalismo. È quasi sempre una negazione teorica e sempre pratica del soprannaturale. L’indebolimento o la negazione pratica del mondo soprannaturale, il mondo della fede e della grazia divina, crea necessariamente il primato dell’attivismo fabbricato dall’uomo, l’eresia dell’attivismo, una specie di neo-pelagianesimo e dottrine inventate dall’uomo, e questo è gnosticismo. La vita della Chiesa oggi è profondamente ferita dal naturalismo, cioè dal neo-pelagianesimo e dal neo-gnosticismo.

Come vorrebbe veder riformata la Chiesa in termini generali?

Il rimedio è rompere con il complesso di inferiorità verso il mondo, per mettere Cristo al centro di ogni dettaglio nella liturgia della Messa, per annunciare Cristo veramente incarnato, Cristo crocifisso, Cristo che vive e regna nella sua Maestà Divina nascosta nell’Eucaristia, Cristo Re di ogni uomo e dell’intera società umana. Il clero, e in particolare i vescovi e i sacerdoti, devono riprendere il metodo degli apostoli: il primato della preghiera (e la preghiera per eccellenza è la liturgia della Santa Messa) e il ministero della Parola, cioè la proclamazione senza paura dell’unicità di Cristo come unico Salvatore dell’umanità, memori delle parole degli apostoli: “Noi, tuttavia, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della Parola” (Atti 6: 4).

Sulla “Professione” riguardante il matrimonio sacramentale, perché l’ha firmata? È intesa come una sorta di correzione di Papa Francesco, e cosa dice a chi pensa che un simile atto sia divisivo?

La diffusione delle norme pastorali, che prevedono che in singoli casi si possa ricevere la Santa Comunione pur continuando a vivere abitualmente e intenzionalmente more uxorio mantenendo relazioni sessuali con una persona che non è il legittimo consorte, ha causato una considerevole e crescente confusione tra i fedeli e il clero. È una confusione che tocca le manifestazioni centrali della vita della Chiesa, come il matrimonio sacramentale e la Santissima Eucaristia. Poiché tali norme sono state approvate anche da Papa Francesco, eravamo consapevoli della nostra grave responsabilità e del nostro dovere dinanzi ai fedeli, che attendono da noi una professione pubblica e inequivocabile della verità e della disciplina immutabile della Chiesa riguardo all’indissolubilità del matrimonio.

Quando c’è un pericolo spirituale comune nella vita della Chiesa, i vescovi hanno il dovere di alzare la voce; altrimenti, sarebbero colpevoli di connivenza con l’errore. L’ufficio del Papa non è quello di un dittatore, verso il quale nessuno osa esprimere, privatamente o pubblicamente, una preoccupazione ben fondata. I vescovi sono fratelli e colleghi del Papa. Cristo ha ammonito soprattutto Pietro, suo vicario in terra, di evitare un comportamento nei confronti degli altri fratelli nel ministero apostolico simile a quello dei potenti di questo mondo: “I capi delle nazioni voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi “(Matteo 20, 26-26). Il nostro atto pubblico di “professione della verità” è pensato per essere un vero aiuto per il Papa, così che lui lui e la Chiesa intera, con tutti i vescovi ed i fedeli possano ancora riflettere seriamente sul pericolo delle menzionate norme pastorali che innegabilmente indeboliscono la testimonianza senza compromessi della Chiesa sull’indissolubilità di matrimonio e possano anche riflettere sul dovere della Chiesa di evitare la minima ombra di dubbio sulla possibilità di favorire praticamente il propagarsi della “piaga di divorzio.”

Siamo sinceramente convinti che la storia ci darà ragione e che il Papa stesso ci sarà riconoscente quando apparirà davanti al giudizio di Cristo. Coloro che nella Chiesa promuovono una pratica sacramentale che alla fine approva – anche indirettamente e in singoli casi – il divorzio creano divisioni e si separano dalla parola di Cristo e dalla prassi bimillenaria della Chiesa. La Chiesa, per 2000 anni, ha sempre e ovunque impedito alle persone, in modo inequivocabile, di ricevere la Santa Comunione se vivono more uxorio con chi non è il loro legittimo consorte e che, allo stesso tempo, formalizzano pubblicamente tale unione non matrimoniale senza alcuna intenzione di astenersi dai rapporti sessuali. Questa prassi universale della Chiesa deve essere considerata come irreformabile perché tocca un punto essenziale dei sacramenti.

Quali sono le sue opinioni sulla Fraternità San Pio X? Ѐ in armonia con la loro posizione?
(pubblicato a parte sul blog di E. Pentin [qui])

Papa Benedetto XVI e Papa Francesco in varie occasioni hanno parlato con comprensione verso la FSSPX. In particolare, ai suoi tempi, come cardinale di Buenos Aires, papa Francesco ha aiutato la Fraternità in alcune questioni amministrative. Una volta Papa Benedetto XVI, dell’arcivescovo Marcel Lefebvre, ha detto: “Era un grande vescovo della Chiesa cattolica”. Papa Francesco considera la FSSPX cattolica, lo ha espresso pubblicamente diverse volte. Pertanto, egli cerca una soluzione pastorale, e ha fatto le generose disposizioni pastorali di concedere ai sacerdoti della FSSPX la facoltà ordinaria di ascoltare le confessioni e la facoltà soggetta a condizione di celebrare canonicamente i matrimoni. Più cresce la confusione dottrinale, morale e liturgica nella vita della Chiesa, più uno capirà la missione profetica dell’Arcivescovo Marcel Lefebvre in uno straordinario tempo oscuro di una crisi generalizzata della Chiesa.

Forse un giorno la Storia applicherà a lui le seguenti parole di sant’Agostino: “Spesso anche la divina provvidenza permette che persino gli uomini buoni siano cacciati dalla congregazione di Cristo da turbolente sedizioni degli uomini carnali. Quando, per amore della pace della Chiesa, sopportano pazientemente insulti o ferite, e non intentano alcuna novità sulla via dell’eresia o dello scisma, essi insegnano agli uomini come Dio deve essere servito con una vera disposizione e con grande e sincera carità. La loro intenzione è tornare quando il tumulto si sia placato. Ma se ciò non è permesso perché la tempesta continua o perché una più violenta può essere suscitata dal loro ritorno, si attengono fermamente al loro scopo di guardare al bene anche dei responsabili dei tumulti e delle agitazioni che li hanno cacciati. Non formano separate conventicole proprie, ma difendono fino alla morte e con la loro testimonianza promuovono la fede che sanno predicata nella Chiesa cattolica.