Michel Houellebecq, uno Spengler ottimista in cerca di una via di scampo per l’Occidente

Posted on ottobre 24, 2018, 9:25 am

Una cosa è certa: la maggior parte della letteratura europea – e quella italiana come nessun’altra – non si occupa della realtà. Oggi come oggi più che mai si potrebbe dire si realizza il principio dell’arte per l’arte, ovvero di una messa al bando dei contenuti privilegiando il gioco creativo. Il che non sarebbe per forza negativo, se non fosse che manca la base di tutto, ossia l’arte.

In alternativa, esistono una narrativa e una poesia senza qualità volte ossessivamente, per ordine di partito, a restituirci la giusta immagine del migrante – a quanto pare noi, autonomamente, non saremmo in grado, perché affetti da una percezione distorta che ci porta a decuplicarne il numero e a vederli tutti sporchi e cattivi.

Per grazia divina, a questo ridicolo coro di Saviani, Baricchi, e altri PIRLAndelliani personaggi vari, si contrappone l’unico scrittore europeo attuale che davvero meriti di passare alla storia, Michel Houellebecq.

Pochi giorni fa, il francese ha ricevuto a Bruxelles il Premio Oswald Spengler, ovvero un riconoscimento che prende il nome dal grandissimo filosofo che scrisse quella pietra miliare il cui titolo è oramai parte dell’immaginario collettivo: Il tramonto dell’OccidenteIl Foglio, con Giulio Meotti, ne ha dato conto in esclusiva.

Che Houellebecq fosse un figlio di Spengler nessuno dei suoi lettori più accorti l’ha mai dubitato. Lui, però, con la sua consueta ironia che non si accontenta mai di riaprire semplicemente la ferita – deve pure metterci il dito nella piaga –, ha tenuto a sottolineare che “il termine declino nel mio caso è ancora troppo delicato […] il mondo occidentale nel suo insieme si sta suicidando”.

Come dargli torto! Inutile precisare, pertanto, che questo premio è meritatissimo.

Qual è il problema europeo? Con estrema lucidità e insolita dote schematica per un francese, l’autore precisa che i nodi cruciali sono demografia e secolarizzazione.

In sostanza, non si fanno più figli e non si crede più in niente.

La religione è diventata da retrogradi, quando invece “è l’unica cosa […] in grado di cambiare il comportamento di un essere umano”. Date queste premesse, dice lui, “è chiaro che arrivo alle conclusioni che sono identiche a quelle di Oswald Spengler”.

In tutto ciò, e pur ribadendo il motivo fondante dei suoi romanzi, ovvero l’irreversibilità dei processi di decadenza, lo scrittore apre alla possibilità di una svolta positiva per il futuro e lo fa proprio partendo dalla questione del disastro demografico.

Contrariamente a quanto si crede, infatti, il calo delle nascite non è legato alla crisi, ma al “progredire della civiltà e della cultura, con l’accrescersi dei consumi e della ricchezza”.

Anche se il buonsenso porterebbe a pensare che si facciano più figli in una situazione di ottimismo rispetto al futuro, in verità, dice Houellebecq con una semplice quanto efficacissima immagine, “le persone fanno figli, come lanciare i dadi l’ultima volta e giocare un’ultima carta, quando in realtà sono convinti di aver perso la partita”.

L’unico auspicio, dal suo punto di vista, è che succeda per il Cristianesimo quello che è accaduto per l’Islam quando le élite vi stavano prendendo le distanze, ma le masse sono rimaste fedeli e, infatti, la demografia oggi è dalla loro parte.

I cattolici francesi, per esempio, a quanto pare, si stanno riscoprendo come forza e mettono al mondo più bambini. Secondo lui, il loro numero aumenterà.

Dulcis in fundo, alla richiesta di fare un parallelo tra islam e comunismo, il Maestro ha risposto che il primo resisterà perché

“la religione ha un ruolo chiave nella società e nella sua coesione, è un motore nella costruzione della comunità”.

Il comunismo, al contrario, “era una specie di falsa religione, un cattivo sostituto, non una vera fede, sebbene avesse la propria liturgia”. Inutile precisare che, su questo punto, l’autore diLanzarote è il solo a pensarla in tal modo. Gli altri, quelli che a una certa tessera devono la carriera, non possono permettersi tanta libertà.

Matteo Fais