MACELLAI – IL FILO ROSSO CHE LEGA SODOMIA ED ERESIA NELLA SETTA CONCILIARE

di Cesare Baronio

(MB. Una utile mappa della dittatura dei s odomiti in Vaticano)

Anni fa un confratello mi riferì un episodio sconcertante, secondo il quale un Officiale di Curia notoriamente omosessuale era stato sottoposto a degli esorcismi perché aveva preso l’abitudine, durante i suoi immondi festini, di bestemmiare il nome di Dio, cosa che aveva dato luogo a fenomeni di possessione diabolica. L’empio monsignore morì di lì a poco di un male incurabile, compianto dai suoi sodali. A quell’epoca le checche del Vaticano si muovevano ancora con prudenza, non perché non fossero numerose, ma perché vigeva quel tacito accordo che nell’esercito americano è compendiato dall’adagio Don’t ask, don’t tell, ossia Non chiedere, non dire. Anche se poi in molti sapevano chi aveva quelpenchant e chi no. Monsignori che uscivano in borghese nottetempo dal Laterano, indossando jeans e giubbotto di pelle, e che l’indomani affiancavano il Santo Padre ai pontificali. Preti che si allontanavano dalla canonica per far volta ai calidarj. Studenti di Atenei Pontificj che andavano a passeggiare a Villa Giulia. Seminaristi dediti ad un opinabile apostolato vespertino a Monte Caprino. Era la generazione del Concilio, che alla veste talare preferiva gli abiti firmati e gli occhiali da sole. Vanesj e fatui, inclini alla risatina isterica e ad apostrofarsi con pronomi e nomignoli femminili, ma pur sempre guardinghi, perché sul soglio sedeva il virile Wojtyla. Il quale era talmente intento a propagandar l’ecumenismo di Assisi da non accorgersi che proprio al suo fianco c’erano personaggi noti col nome di battaglia di Jessica.
I vizj, allora, li chiamavano vizietti, come se il diminutivo potesse rendere meno riprovevole la condotta di chi li praticava. Ed era un vizietto forse anche quello del mai abbastanza esecrato Montini, con i suoi modi da calvinista, i trascorsi ambrosiani che molti non han mai voluto approfondire e che pure gli meritarono accuse nemmen troppo velate. Certo è che su quel pontificato – e sulla congerie di Presuli che sotto di esso assursero ai più alti gradi della Gerarchia – grava ancor oggi, anzi oggi ancor più di ieri, l’ombra sinistra del ricatto, al punto da lasciar supporre che molte decisioni d’allora trovassero giustificazione solo nel terrore che qualche burattinaio potesse decidere di lasciar trapelare scabrosi dettaglj sul conto del sodomita di Concesio. Il quale, non a caso, tra pochi giorni verrà elevato agli onori degli altari, in riconoscimento del suo contributo all’opera di devastazione della Chiesa e quale devoto tributo dei suoi beneficiati.
Fu alla fine del papato wojtyliano che gli immondi seguaci di Sodoma trovaron coraggio di serrare i ranghi, raccogliendo intorno a sé una schiera di zelatori del tempio di simile natura, sicché potemmo vedere il povero Papa polacco conciato con paramenti circensi, o costretto ad assistere a grottesche performances di saltimbachi seminudi coram Pontifice, e di selvaggi in apparecchio adamiticocoram Sanctissimo. L’autore di quegli scempj ancor oggi imperversa nei Sacri Palazzi, ancorché prossimo al sacello, col suo codazzo di questuanti che il tempo ha trasformato da naiadi in clergyman in vecchi rancorosi. Ma mentre Giovanni Paolo II si andava spegnendo, in Vaticano la falange sodomitica levava il capo, non senza scandali e scandaletti al limite del ridicolo: ecco allora il segretario dell’Eminentissimo, per gli intimi Carmen, colto in flagrante nei gabinetti a Termini e frettolosamente spedito in partibus, il canonico con la manomorta fermato sul 62, il chierico che batte in San Pietro importunando i turisti, il prete al cinema porno, il frate ammazzato nei giardinetti da un prostituto e via enumerando.
L’avvento di Benedetto XVI sconvolse i piani della setta uraniana, la quale vedeva nel composto Pontefice tedesco un intollerabile affronto al lavoro svolto sotto il predecessore. Veder risplendere in capo al vegliardo la mitria di Pio IX andava ben oltre ogni sopportazione; per non parlare della mozzetta invernale in velluto rosso col pelo di coniglio, le calzature rosse, il trono dorato che qualche zelante aveva fatto sparire in un sottoscala quand’ancora sedeva sul soglio Montini. Non ho avuto il piacere immenso di udire le grida laceranti dell’Arcivescovo di Martirano, ma immagino ch’esse debbano aver infranto la cristalleria custodita nella credenza del tinello, dinanzi agli sguardi sgomenti dei suoi famuli in gramaglie, allorché Ratzinger promulgò quel Motu Proprio che pure egli dava per impossibile, secondo il motto Indietro non si torna. Ma ricordo bene che non potei esimermi dall’intonare canti di giubilo – anch’io festevole – quando lo seppi confinato alla presidenza di un comitato, dove purtuttavia egli non cessò di far danni.
 
L’abdicazione rappresentò una rivincita della setta conciliare su Benedetto XVI, costretto a dimettersi sotto la pressione di scandali che paiono bazzeccole rispetto a quelli che ora stan venendo alla luce sotto il Sedicente. E dire che Ratzinger – e con lui i pochi Prelati in odor di conservatorismo poi assurti agli onori della cronaca dopo i famosi Dubia – erano e sono convintissimi e strenui paladini della mens conciliare, di cui proponevano e propongono una versione più sommessa ma non per questo meno rivoluzionaria.
La storia svelerà gli arcana imperii che portarono il Pontefice ad abbandonare il vascello di Pietro proprio nel momento più critico, ma par di capire che chi si adoperò per spingerlo alla rinunzia seppe muoversi abilmente per far eleggere il peggior Papa – ammesso e non concesso che lo si possa ritener tale – che la Chiesa abbia mai annoverato. Sta di fatto che il figuro in talare bianca oggi alloggiato al resort Santa Marta ha beneficiato dell’appoggio dei congiurati modernisti, con l’estasiato e corale supporto della lobby gay vaticana, felice di togliersi dai piedi lo scomodo Benedetto, che si apprestava a vanificare, o almeno a render meno devastanti, decenni di primavera conciliare. E proprio a Santa Marta – i casi della vita – troviamo quel mons. Ricca, del quale ci ha edotto la cronaca (qui), dopo che l’amicizia con l’argentino s’era consolidata quando Bergoglio scendeva nella residenza di via della Scrofa nell’Alma Urbe. Le anime belle credono che la pessima reputazione di Ricca fosse ignorata dal pio Arcivescovo di Buenos Aires, troppo occupato a macerarsi nelle asperrime penitenze che l’han reso famoso in America Latina. Sarà certamente stata la sua indole ascetica a far sì ch’egli fosse completamente all’oscuro anche degli scandali di molestie da parte di Vescovi e preti, venuti alla luce recentemente anche grazie alla coraggiosa lettera dell’ex Nunzio Viganò.
Dunque vediamo… Abbiamo avuto il coming out di mons. Charamsa, che ha bellamente ammesso di avere un amante – compagno, lo chiama lui. Poi l’abate di Montecassino dom Pietro Vittorelli, turpe figuro che spendeva i fondi dell’Abbazia per festini con droga e gigolò. Poi lo scandalo di mons. Luigi Capozzi, segretario di Checcapalmerio, arrestato in un lussuoso appartamento del Sant’Uffizio durante un’orgia. Poi lo scandalo di un religioso carmelitano della Curia Generalizia romana, denunciato da un marchettaro (qui). Poi lo scandalo dell’affresco omoerotico commissionato da mons. Paglia – presidente della Pontificia accademia per la vita e Gran Cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II – all’artista gay argentino Ricardo Cinalli (qui). Quel famigerato Paglia che ha finito col far esplodere queste due istituzioni, introducendovi dei partigiani dell’eutanasia e dell’aborto, con il beneplacito del Sedicente.  Poi gli scandali di Vescovi e Cardinali, tutti di area rigorosamente progressista e filobergogliana, e le cause milionarie che hanno ridotto alla bancarotta decine e decine di diocesi dell’orbe cattolico, per risarcire le vittime degli abusi commessi da ecclesiastici. Senza menzionare turpi ecclesiastici a capo di Ordini e Congregazioni religiose, dietro il cui paravento compivano crimini degni del marchese De Sade. E don Mauro Inzoli, accusato di abusi su minori, degradato da Benedetto XVI e reintegrato nel sacerdozio da Bergoglio su pressione di Checcapalmerio, finché la giustizia civile non ne ha resa manifesta la colpevolezza. Ma anche i tre preti indagati dalla Procura di Roma per atti sessuali con minori, pedopornografia e tentativo di prostituzione minorile (qui). E lo stillicidio quotidiano del gesuita James Martin, attivista della causa degl’invertiti e sostenitore del concubinato omosessuale, nominato consultore del Segretariato per le Comunicazioni ed inviato all’Incontro mondiale per la Famiglia in Irlanda (qui) e in questi giorni impegnato a seminar confusione anche al Sinodo dei Giovani assieme al cardinal Cupich (qui). Non ultimo, il dossier inviato da uno gigolò napoletano alla reverenda Curia partenopea, nel quale sono raccolte fotografie osé e testi di conversazioni via internet di 34 sacerdoti e 6 seminaristi suoi clienti (qui).

Alla luce di questi orrori, suonano grottesche le sanzioni di cui fu fatto oggetto Paolo Gabriele, cameriere segreto di Benedetto XVI, accusato d’aver divulgato dossier segreti, mentre avrebbero dovuto esser colpiti con pene esemplari i colpevoli denunciati, e non il denunciante, che reagì in buonafede, con un gesto forse avventato, al dilagare del malcostume vaticano.

 

L’orrore che queste notizie suscitano nei semplici fedeli e nelle persone perbene; il senso di sgomento dinanzi alla istituzionalizzazione del vizio non devono distogliere dalla realistica presa d’atto che questa piaga morale è allo stesso tempo causa ed effetto della rivoluzione conciliare: che si scandalizzino pure i benpensanti, si straccino le vesti i pavidi fautori del dialogo e i prudentissimi moderati. Ma che non si dica che dinanzi a questi scandali il buon cristiano debba volger lo sguardo altrove, fingendo di non vedere la corruzione dove maggiormente si annida da cinquant’anni. Oportet ut scandala eveniant. Un silenzio pietoso, comprensibile in singoli e isolati casi, oggi rappresenta una forma di complicità intollerabile, un’approvazione di condotte deplorevoli, tanto più perché chi vi è coinvolto non par cedere per debolezza a fugaci trasgressioni da adolescente confuso, ma dimostra di essere indegno del Battesimo ed ancor più dell’Ordine Sacro che lo rende alter Christus, profanando quelle mani consacrate per toccare il Santo dei Santi, quella bocca che sull’altare pronunzia le parole della Consacrazione, quella lingua su cui si posano le Sacre Specie. Il solo pensiero di tali abominj dovrebbe far tremare d’orrore, e ricordare le parole di Nostro Signore a Padre Pio (qui), allorché definì con disgusto i sacerdoti indegni Macellai.
Chi si rende schiavo del peccato si rende schiavo di Satana, sotto il cui giogo l’anima è morta alla Grazia e completamente in preda alle seduzioni del Maligno. Ed il peccato contro natura, ancor più di altri, ottunde la volontà, abbruttisce la persona e indurisce nella volontà di peccato. In quanto vizio, ossia abitudine a compiere il male, gli atti che gridano vendetta al cospetto di Dio portano chi li compie a rendersi indocile alla voce della coscienza, sprofondando sempre di più nella colpa.

E’ quindi inevitabile che chi vive quotidianamente in istato di peccato mortale, e per di più in condizione permanente di sacrilegio – in quanto ministro di Dio e unto del Signore – si senta giudicato e sia portato a modificare anche i principj morali che egli viola abitualmente. Così, come il ladro vorrebbe veder depenalizzato il furto e l’assassinio derubricato l’omicidio, anche il sodomita – vieppiù se sacrilego – vorrà sgravarsi la coscienza dal peso non indifferente del sapersi in palese contraddizione con quella Legge naturale e divina che ostinatamente infrange, e che deliberatamente lascia o addirittura incoraggia ad infrangere, sotto le specie di una connivente tolleranza o di una perversa complicità. Non gli basta profanare ogni giorno il tempio dello Spirito Santo: egli vuole ergersi a legislatore, arrogandosi il diritto di decidere al posto di Dio ciò ch’è lecito e ciò che non lo è. e non è forse questa la colpa di Lucifero?

Sentir l’orrido Maradiaga derubricare atti di vero e proprio sacrilegio ai danni di tante anime innocenti come mere irregolarità amministrative, col pretesto di esser stati commessi su adolescenti e non su minori; o qualificarli come mancanze veniali in ragione di una presunta assenza di penetrazione (sic!) fa comprendere l’abisso di immoralità, anzi di amoralità di certi prelati. Dai quali non ci si stupisce d’udire vere e proprie eresie anche – coerentemente – in ambito dottrinale. E’ evidente che l’ostinazione nel vizio implica la costruzione di un castello ideologico che quel vizio legittimi ed approvi. Come diceva Paul Bourget: Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finisce col pensare come si è vissuto (Il demone meridiano, Salani Editori, Firenze, 1956, pag 395).

Ecco allora la pretesa accoglienza verso la comunità glbt – ossia verso i sodomiti dichiarati – dietro cui si annida non solo la condivisione del loro tenore di vita scandaloso, ma anche l’inconfessabile desiderio di poter un giorno veder ammesso come lecito – quando non addirittura degno di elogio – ciò che Dio condanna come un abominio. E l’affermazione Chi sono io per giudicare, che ha estasiato i nemici del nome cristiano, andrebbe condannata senza appello, perché deve proprio esser il Supremo Pastore a guidare ed ammonire e giudicare la condotta delle pecore e degli agnelli del gregge affidatogli dal Salvatore. Un pastore, quello che ci è stato inflitto dalla divina Provvidenza in isconto delle nostre colpe, che non esita ad insultare ripetutamente ed aspramente i buoni cattolici e i bravi Prelati, ma che mostra una indulgenza sconfinata verso i pervertiti, dal prete libidinoso al Vescovo molestatore, dal religioso sporcaccione al Cardinale orgiasta. E che riceve in udienza omosessuali concubinarj e transessuali, mentre ostinatamente si rifiuta di incontrare ecclesiastici dalla condotta ineccepibile.  E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene (II Tess II, 6-7). Oggi comprendiamo cosa intendono le Scritture allorché parlano del κατέχον, ossia di colui che trattiene la venuta dell’Anticristo: la vistosa latitanza del Romano Pontefice, sul cui trono siede un personaggio che si è reso complice ed artefice esso stesso dell’apostasia.

Quale rispetto verso la Santissima Eucaristia ci si può aspettare da parte di chi la profana celebrando la Messa con l’anima macchiata da tali colpe? Quale devozione verso la Vergine Santissima, in chi oltraggia la verginità e coltiva la depravazione? Quale timor di Dio, in chi osa conculcarne la santa Legge e calpestarne la divina Parola? E ancora: quale spirito di mortificazione, in chi coltiva le passioni più abbiette? Quale santità, in chi pratica l’empietà? Quale vita di Grazia, in chi coltiva e promuove il peccato? Quale cura delle vocazioni sacerdotali e religiose, in chi considera Seminarj e Conventi come ghiotta riserva di giovani da corrompere?

Ma come si può ritenere che sia credibile la difesa della primavera conciliare, quando viene da gentaglia di tal fatta? Chi presterebbe fede ad un medico che nella vita privata diffondesse malattie, o ad un pompiere che appiccasse il fuoco alle case?

Lo si ammetta, infine: il Conciliabolo di Roma è frutto marcescente di una mensdeviata e corrotta, che trova nell’eresia il corollario di una condotta morale riprovevole. Esso è causa dei danni presenti, e al tempo stesso effetto di una corruttela dei costumi di tanti, troppi ecclesiastici, che per legittimare se stessi non potevano non pervertire anche la dottrina su cui la morale si fonda. Ma Iddio è autore tanto dell’una quanto dell’altra, e chi si fa servo di Satana non può servire il Signore all’altare o sul pulpito e poi onorare il Nemico tra le coltri o nei lupanari. Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro (Mt VI, 24).

Non solo: chi serve il Principe di questo mondo, gli riconosce una sovranità che deve necessariamente negare al Re divino, così come chi adora Nostro Signore come Sovrano, non tollera che alcuno Gli usurpi la Sua universale Regalità. Ecco perché la Chiesa proclama Cristo Re. Ecco perché la setta conciliare si ribella alla Sua sacra Maestà. Tout se tient. Ed ecco, infatti, l’Arcivescovo di Brisbane in Australia che fa proprio l’empio grido dei Giudei dinanzi al pretorio, rifiutando Cristo come Re (qui): in questa apostasia dilagante, l’ossequio e l’obbedienza dovuti alla Maestà divina finiscono tristemente per esser riconosciuti al mondo, alla carne, al diavolo. Regnare Christum nolumus. Ma è nell’ordine delle cose che l’uomo sia suddito: se non lo è di Dio, lo sarà inevitabilmente di chi a Lui si oppone. E le pesanti catene del Maligno sono ben difficili da scrollare, una volta che le si è preferite al soave giogo di Cristo.

Finché non si riconoscerà lo stretto rapporto di causalità tra deviazione dottrinale e deviazione morale, sarà impossibile uscire dalla crisi presente. Non vi è mai stato nella storia della Chiesa un solo eretico casto, né un solo Santo impuro: gli scandali odierni sono una tristissima conferma di uno sfacelo sul fronte teologico tanto quanto su quello morale, spirituale, liturgico e disciplinare.

E se nel passato vi furono lussuriosi anche nelle schiere dei chierici (e comunque meno di quanti ve ne sono da cinquant’anni in qua), mai fino ad oggi si era avuto un Papa che legittimasse il peccato contro il Sesto Comandamento o l’adulterio, come è accaduto con Amoris nequitia. E non occorre ricordare quali inganni e quali macchinazioni sono state messe in atto dalla lobby gay anche in seno al Sinodo per la Famiglia, con la complicità di Bergoglio, e le non dissimili macchinazioni che si preparano in seno al Sinodo dei Giovani.

A questo punto, il pio lettore chiederà cosa possiamo fare noi dinanzi allo spettacolo desolante offerto da un’autorità corrotta, ribelle e traditrice. Penitenza. Penitenza e sacrificio. Ce lo insegna la Sacra Scrittura e ce lo ricorda Nostra Signora nelle Sue ripetute apparizioni. La comunione dei Santi – ce l’insegna il catechismo – permette alle anime cristiane di riparare i peccati altrui, trattenendo il braccio della Giustizia divina. Offriamo dunque le nostre sofferenze, grandi e piccole, in espiazione del male compiuto da questi sciagurati, e preghiamo per la loro conversione e per il loro pentimento, in una vita ritirata e nell’oblio dei tanti che essi hanno scandalizzato con il proprio indegno comportamento. E che quanti pervicacemente rimarranno nella colpa possano esser allontanati dalla guida del gregge: la Sposa di Cristo è stata umiliata sin troppo dai suoi Ministri, screditata dinanzi al mondo.

La danse macabre di questi decenni sta per giungere al fine. Questa generazione di Leviti senza fede e senza morale è destinata all’estinzione: sulle macerie della setta conciliare verrà riedificata la Santa Chiesa, così come sulle rovine dei templi pagani e degli idoli infernali ha trionfato la vera Fede.