LO SPREAD, LO SPRITZ, LO SPLASH

di Roberto PECCHIOLI

Un’altra ragazza drogata, stuprata e uccisa da un’orda di africani clandestini. E’ accaduto nel centro di Roma, in mezzo al degrado più bestiale, nell’indifferenza più sconcertante. Una sedicenne già dipendente dalla droga, con la famiglia sfasciata, disposta a troppo per una dose, ridotta a preda degli istinti peggiori dei rifiuti umani che frequentava. Non è la prima, non sarà l’ultima, una società ridotta in polvere ha fatto splash, il fantasma della libertà come assenza di regole, generazioni lasciate a se stesse, padri e madri svaniti, istituzioni assenti, la follia dei desideri, del consumo, delle pulsioni da soddisfare a ogni costo in un vuoto terribile, le pulsioni elementari elevate a sistema di vita.

Una civilizzazione debosciata eterodiretta dalle forze del profitto è al capolinea tra gli eccessi, dopo avere schernito ogni principio, violato qualsiasi limite. Con Pamela, Desirée e l’inevitabile prossima vittima affoga, si dissolve nel nulla una venerabile civiltà. Lo splash è terribile, la risacca potente come uno tsunami. I colpevoli di atti efferati che destano legittima paura sono spesso stranieri. Un fallimento dei sogni – o incubi- multiculturali unito alla disfatta di una politica migratoria dissennata, chiaramente frutto di accordi riservati con i circoli globalisti, a Bruxelles e altrove. I governi antinazionali hanno accettato di trasformare l’Italia in un accampamento a spese dei cittadini in cambio della copertura degli oligarchi sulle scelte economiche e finanziarie. Un altro splash, l’evidenza di essere ostaggi di classi dirigenti economiche, politiche, culturali di venduti. Ne è simbolo Jean Claude Juncker, il signore dello spritz, politico di lungo corso di un paradiso fiscale, rifugio del clearing più opaco, il piccolo granducato canaglia appaltato alle entità finanziarie.

La risposta della casta al caso Desirée è grottesca: il presidente della Camera dei Deputati di questa nazione disintegrata ha la soluzione, l’elisir di Dulcamara che cura tutti i mali. Ci vuole più amore, ha dichiarato senza arrossire. Probabilmente ha esagerato con lo spritz, o, da buon napoletano, con il limoncello. Da parte sua, Matteo Salvini ha promesso più ruspe. Per carità, le invochiamo anche noi: il primo gesto dopo un’alluvione è togliere il fango. Il Capitano parla da ministro degli Interni e l’assoluta maggioranza è d’accordo con lui. Tuttavia le ruspe possono solo spostare i detriti, risolvere problemi di ordine pubblico, ma rimangono aspirine somministrate a un malato terminale. Se l’Italia, l’Occidente hanno fatto splash occorre ribaltare tutto. Risolutamente e senza fermarsi, c’è da rovesciare le politiche, ristabilire valori di riferimento, parole d’ordine, modi di pensare: una rivoluzione conservatrice che ridia ai popoli le chiavi del proprio destino.

Diceva Albert Einstein che non si può risolvere un problema ragionando con la stessa mentalità con cui è stato creato. L’esangue, emotiva società che implora più amore è la malattia. La ruspa è simile al pronto soccorso: garantisce le prime cure, poi tocca alle terapie di lungo periodo. Si muore di troppa libertà, del timore di reagire, della maledetta tolleranza del male, dell’incapacità di dettare regole, imporre principi, stabilire divieti, irrogare punizioni. Nessuno paga il conto dei propri atti, questa è la verità. Viviamo l’esito naturale della “società aperta”, del prezzo al posto del valore, del mercato sovrano, della morte di Dio, della comunità e della famiglia, i pilastri su cui, bene o male, tutto si reggeva.

Altrove, nelle officine degli stessi che hanno prodotto il deserto morale, si gioca un’altra partita, decisiva per il futuro prossimo dell’Italia. A Bruxelles, a Francoforte nella torre dorata della Banca Centrale Europea, negli ambulacri degli speculatori usurai che si fanno chiamare mercati, hanno deciso che la legge di bilancio del governo italiano non va bene. Armano contro di noi il potere del denaro, impugnano una pistola chiamata spread, la differenza tra gli interessi sui buoni del tesoro italiani e quelli tedeschi. Il rischio è grosso, specie per la tenuta del sistema bancario, che possiede grandi quantità di BTP. Lo schieramento è assai folto. Ne fa parte la Banca Centrale, l’intera cupola europoide e, vergognosamente, l’apparato mediatico nazionale al completo.

Nulla di strano, l’intelligenza con il nemico – in altri tempi si chiamava tradimento – è un’antica abitudine del Bel Paese. I tifosi dello spread abbondano tra le opposizioni, le stesse che millantano di perseguire il bene dell’Italia (no, del “paese”) la curva degli ultrà comprende comunisti di tutta la vita convertiti al verbo finanziario, professori a fattura, burocrati dalle mille livree, signore e signori in abito da sera. Un parterre des rois di Illuminati. Qualcuno confonde spritz e spread. Il presidente di Confindustria Boccia è l’autore della battuta migliore. Secondo il capo degli industriali – categoria che dai governi e dai cittadini ha molto preso e pochissimo dato – Mario Draghi avrebbe “salvato l’Italia”. Notizia non pervenuta agli italiani che non bevono spritz, consapevoli che i miliardi iniettati nel sistema dalla BCE di Supermario (quantitative easing, alleggerimento quantitativo) è denaro farlocco, creato dal nulla, fiduciario, che, comunque, ha aiutato le banche non i governi, le imprese e i cittadini.

Agli immemori vale altresì la pena rammentare che Draghi fece parte, nel 1992, dei passeggeri del famigerato panfilo Britannia in cui venne decisa la spartizione dell’economia e delle banche pubbliche italiane, l’inizio di una crisi che dura da un quarto di secolo. Imbarazzante la prestazione di Sabino Cassese, grand commis da mezzo secolo. Ha proposto, sulla scia del parere “personale” di un banchiere centrale tedesco, una dura tassa patrimoniale; in più ha asserito che “le valutazioni dei mercati sono il giudizio sulla solvibilità del Tesoro italiano”, il che è falso, oltreché improvvido in bocca a un membro della casta dei “responsabili”. Non è informato sulla natura dello spread o sul fatto che i fondamentali dell’economia sono solidi e il risparmio degli italiani copre due volte e mezzo il debito? Non sa che abbiamo pagato 66 miliardi di interessi con l’avanzo di bilancio, nonché finanziato largamente i problemi altrui e la stessa UE? No, non è lo spritz, è la cattiva fede di una cricca di parassiti becchini della nazione, responsabili del degrado del costume civile non meno che dei problemi dell’economia.

Un grande italiano misconosciuto, Giacinto Auriti, scopritore del valore indotto della moneta, sostenitore della proprietà popolare della moneta, usava dire che solo chi ama la sua gente è degno di governarla. Finanzieri e industriali sono programmaticamente senza patria, ma non scorgiamo amore per l’Italia nei vertici politici della repubblica succedutisi da almeno quarant’anni. Tralasciamo Pertini, abbarbicato alla guerra civile, sepolto con la bandiera rossa. Una pomposa nullità fu Scalfaro, un commissario della finanza Ciampi, complice attivo degli speculatori contro la lira. Di Napolitano il tacere è bello, Andreotti la volpe finita in pellicceria, Amato dalle mille poltrone, Prodi che ci ha trascinato nell’avventura dell’euro, il satiro Berlusconi- Paperone, D’Alema ex pioniere dell’Unione Sovietica e adesso il grigio Mattarella. Da lui non una parola in difesa della nostra gente, messaggi in codice anti governativi, nessuna rivendicazione di indipendenza e sovranità, frequenti intemerate pro immigrazione, in ginocchio di fronte all’oligarchia europea. In politica da almeno 40 anni, abbiamo diritto di considerarlo corresponsabile dello splash nazionale.

Auriti fu il primo a comprendere che la perdita dell’emissione monetaria a favore del sistema finanziario ci avrebbe trascinato nella povertà, facendo cadere uno dopo l’altro ogni caposaldo della sovranità. Di che parliamo quando accettiamo che burocrati stranieri scrivano la legge di bilancio al posto del governo eletto? Lo disse apertamente Matteo Renzi nel 2016, quando la manovra del suo governo incorse nella disapprovazione dei mandarini europei. “Bruxelles è un’istituzione a cui diamo 20 miliardi ogni anno e ne prendiamo indietro 11. Se l’UE boccia la legge di stabilità tu la restituisci tale e quale e fai uno pari”. Parole e musica del Rottamatore. “Bruxelles non ha alcun titolo per intervenire nel merito delle misure. La subalternità italiana nei confronti dei burocrati è stata particolarmente sviluppata.” Voce dal sen fuggita in un’intervista a Radio 24, emittente confindustriale.

Recita un vecchio adagio non importa chi l’ha detto, importa ciò che è detto. Al contrario, sarà l’effetto dello spritz, stampa, economisti, ceti riflessivi deridono Conte, Di Maio e Salvini con la stessa foga con la quale ricoprivano Renzi di applausi e saliva. Un popolo di servi può solo fare splash. L’ex ministro Padoan, accucciato per anni ai piedi del tedesco Schaeuble tuona che è il governo ad attaccare BCE e Commissione europea, gli intoccabili, con ciò ammettendo implicitamente che la questione è politica, non contabile, come rileva un economista illustre davvero, il belga Paul De Grauwe. Non si aggredisce un grande Stato europeo per una differenza dello 0,8 per cento nel rapporto debito-PIL rispetto alle promesse del governo Gentiloni senza neppure contestare il merito dei provvedimenti.

La realtà è che l’UE sta giocando, per suo conto e in nome della diarchia franco tedesca, una partita la cui posta è il mantenimento dell’austerità “ideologica”, verbo incarnato europeo, insieme con il potere sugli Stati accumulato nei decenni, dopo Maastricht e in sintonia con l’ “indipendente” Banca Centrale. All’Italia è vietato difendere i confini, sostenere la sua industria, diversificare l’approvvigionamento dei prodotti energetici. Da oggi, il suo governo non può redigere una libera legge di bilancio. Il ruolo dell’esecutivo diventa residuale, vani i programmi politici e le elezioni. Conte vale meno di un amministratore condominiale, i cittadini sono semplici spettatori paganti.  Sussiste un enorme problema di democrazia di cui i popoli si stanno rendendo conto.

Nel merito, prendiamo atto del giudizio favorevole di Putin e Trump, due pessimi soggetti invisi a lorsignori. Ma che diranno delle opinioni incoraggianti di beniamini degli Illuminati come la catena Bloomberg, Il Wall Street Journal, in parte del Financial Times, suprema bibbia liberista londinese sempre velenosa con gli italianuzzi? Intanto tocca restare con il fiato sospeso, vivere il psicodramma quotidiano dell’attesa degli indici di Borsa, il giudizio dei supremi mercati, “tutto lo spread minuto per minuto “, in cui il tifo è unanime contro l’Italia. Ripugna il nemico interno che lavora contro la nazione, gli eterni “inglesi di dentro” li chiamava un eroe di guerra, Berto Ricci. Corrodono il tessuto civile, disfano quel che resta della coesione nazionale, lavorano per favorire l’insediamento di orde multietniche, dissolvere la comunità, svendere ciò che è nostro.

Forse non se ne avvede la maggioranza del popolo di Arlecchino, ma tutto si tiene. Un filo d’acciaio unisce fatti apparentemente tanto diversi. Non proteggiamo i nostri figli dai falsi idoli, dai paradisi artificiali, dalla violenza, finanche dallo stupro e dall’omicidio, accarezziamo i nostri carnefici. Non abbiamo educato e poi difeso Pamela e Desirée, accettiamo senza fiatare invasione e degrado, applaudiamo chi lavora contro i nostri interessi. E’ un’Italia ubriaca e drogata, oscena e sbracata, nemica di se stessa, amica del nemico. Regrediti all’istinto, contenti di vivere in un mondo apolide, signorini soddisfatti senza identità, intenti a barattare gli ultimi scampoli di dignità insieme a pezzi di economia.

Nel frattempo, Roma capoccia del mondo infame esorcizza il dramma di Desirée con grottesche manifestazioni dell’ANPI, sindacati “de sinistra” e progressisti metropolitani il cui bersaglio non è la violenza, lo stupro o l’omicidio, bensì il governo, i razzisti e il solito Salvini. Al telegiornale hanno esibito un partigiano novantenne. Depresso, scuoteva la testa, deprecando il presente di “drogati e ubriaconi”. Povero vecchio, non diciamogli che questo è precisamente il mondo costruito da quelli come lui, compresa la ripugnante alleanza tra gli orfanelli rossi e i signori dello spread.

Sono i tuoi fratelli, figli e nipoti, vecchio partigiano, ad avere tracciato il percorso, loro ci hanno imbarcato sulla nave dei folli. Denudato e svuotato della tradizione spirituale, incantato dal progresso, emancipato da ogni vincolo, sotto la pelle dell’uomo moderno è riapparso il bruto, il selvaggio, il demone. L’esperienza aveva insegnato all’umanità di questo spicchio di mondo come tenere sotto un pur precario controllo la sua natura tenebrosa di animale predatore: il mito, il rito, l’usanza, le prescrizioni, il senso comune, l’autorità. Il vaso di Pandora del razionalismo, del materialismo, della cupidigia, dell’utile, ha svelato con macabro piacere all’uomo contemporaneo gli orribili segreti della sua origine brutale.

L’abisso è qui, la natura dei popoli “prima è cruda, dipoi severa, quindi benigna, appresso delicata, finalmente dissoluta.” Nulla di nuovo sotto il sole, lo sapeva già tre secoli fa un maestro inascoltato, G.B. Vico, La scienza nuova, degnità LXVII.

  ROBERTO PECCHIOLI