L’Italia in guerra? Ma non ha niente da mettersi.

Quando a Radio 24 ho sentito un tal Nicoletti cercar di convincere i suoi ascoltatori che le donne turche sono sessualmente più eccitanti di quelle russe, mi sono detto: è fatta. Ci mandano in guerra, e contro Putin. E per Daesh.

Non crediate che scherzi, non più di tanto. Studiate la storia, e vedrete che appena l’intero branco dei giornalisti sente avvicinarsi le guerre, come le jene (quali sono) il sangue, ulula le cose più dementi pur di gettarci nel tritacarne. Non hanno nemmeno bisogno di ordini; lo fanno da soli, con la bava alla bocca, senza vergogna – larve di non-morti obbedienti al Padrone, l’Omicida fin da principio.

Che la guerra ci sia stata ordinata, lo dicono altri segnali, che spero non vi saranno sfuggiti. Quella certa Valeria, una privata cittadina morta ammazzata durante il concerto al Bataclan, viene seppellita con funerale di Stato, alla presenza sinistra del capo del medesimo Stato, il lugubre Mattarella, la ministra della Guerra; bandiere ammainate, le bande che intonano inno di Mameli e la Marsigliese, “le tre religioni monoteiste” coi rispettivi rabbini, imam e quell’altro a benedire la bara. E’ l’anticipazione grottesca della liturgia del Milite Ignoto, quella che i marpioni ufficiali contano di ripetere fra qualche milione di morti più tardi. E il “padre di Valeria”?, che cosa ne dite? Questo padre agghiacciante che cavalca la cerimonia pubblica con parole e volontà stentorea; il suo dolore non è privato, ma lo offre alla – devo dirlo – Patria. Ha voluto un funerale laico, i giornalisti insistono a ripeterlo in solluchero, lacrimano su questa “famiglia splendida” (Aldo Cazzullo del Corriere della Sera). Certo una famiglia importante. Attorno alla quale spira un tipo di rispetto, piuttosto un’aura, che non si può definire che in un modo: massonica. E anche questo è un segnale mortuario. In Italia, nelle svolte storiche cruciali – quando gli italiani devono versare sangue – la Vedova deve mostrare che è Lei che agisce e che vuole.

Il Cazzullo, molto sensibile a questi echi (è in carriera da direttore) vi allude con discreta adulazione, evocando il laicissimo funerale del “patriota Daniele Manin” nel 1868. Non riesce a toglierselo dalla testa, il Cazzullo, il Manin. Lo cita una volta all’inizio del suo alto reportage, poi anche alla fine – ché chi deve capire non creda che la prima volta l’abbia citato a caso : “Daniele Manin era un personaggio straordinario…Rifondo la Repubblica (Serenissima ndr.) ma come emblema scelse il tricolore con un piccolo Leone di San Marco; segno che le due bandiere potevano stare assieme. Oggi si aggiunge quella europea”.

Eh già, come può mancare nella sinistra svolta della Storia? “Ce lo chiede l’Europa”. Sempre sul Corriere Lorenzo Bini Smaghi, il banchiere, membro in passato della banca centrale europea – ricorda “Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione”, che diceva sempre: “L’Europa si farà attraverso le crisi o non si farà. Nelle nostre democrazie ci vuole spesso una crisi per far capire ai cittadini che il sistema di governo nazionale non è più in grado di affrontare i problemi, e deve cedere sovranità – o piuttosto condividerla – a livello europeo”. Non è solo il mantra ripetuto sempre dai privilegiati globalisti, da Monti e Padoa Schioppa; è anche questo un segnale. Il segnale che, abbia o no conosciuto in anticipo e magari favorito l’attentato a Parigi, quella che lorsignori chiamano “Europa” è ben contenta di cavalcarla fino alle ultime conseguenze pur di far avanzare il Progetto. Già Jean Monnet stava tramando negli anni ’50 un “esercito europeo”: De Gaulle lo sventò, dicendo che solo un capo di stato nazionale, poteva ordinare ai suoi cittadini di versare il sangue; non dei burocrati senza-patria o dei banchieri che volevano fondere armate come fanno “fusioni-acquisizioni aziendali”.

Fino a pochi giorni fa, l’la UE si stava sgretolando, la Commissione ha dimostrato la più ridicola incapacità a gestire i migranti (chiamati dalla Merkel), gli acquisti di titoli della Bce non hanno bloccato la deflazione, nessuno sa più cosa fare per frenare il gelo depressivo, una spaccatura anti-Putin contro pro-Putin si profilava tra Nord-Est e Sud-Est, la Finlandia in rovina economica causata dall’euro stava pensando di uscirne dalla moneta comune, gli inglesi, sondati, vogliono uscirne a maggioranza; l’euro ha sprofondato nella miseria e disoccupazione tutta l’Europa del Sud.

Berlino (o Frankfurt) non sapeva più quale scusa trovare per consentire a Hollande di sforare il ‘patto di stabilità’ e permettergli il ridicolmente alto deficit dei conti, senza concedere però altrettanto ad altri paesi non meno meritevoli di manica larga.

Adesso gli eurocrati cavalcano, con le più rosee speranze, l’allarme: quasi una settimana di “allarme livello 4” a Bruxelles, con blocco dei servizi pubblici con la scusa risibile di una caccia ad inafferrabili “terroristi islamici” che lasciano “cinture esplosive”nelle pattumiere, serve a testare la dimensione del nuovo

autoritarismo burocratico che le pecore sono disposte ad accettare. Perché hanno letto la storia ed appreso che le guerre “rafforzano il potere esecutivo”. Loro contano di impadronirsi della sua imitazione. Allo stesso modo ha alzato la cresta Hollande La Pera davanti al parlamento, dandosi l’aria di statista dei grandi momenti storici: “Il patto di sicurezza è più importante del patto di stabilità”. Questo è un atto di sovranità nazionale, dice Jacques Sapir , e spera che “nei fatti”, La Pera sia costretto a riconquistare la sovranità nazionale di fronte all’Europa; di fatto si è coordinato con le forze armate russe…

Temo che si illuda; quella che vediamo è al massimo una contraffazione della sovranità e del potere esecutivo.

La Francia ha approfittato degli attentati di Parigi per presentare all’Onu un proprio progetto di risoluzione, in concorrenza con quello di Mosca che avrebbe obbligato a dichiarare guerra al terrorismo islamico senza condizioni; Mosca ha accettato per non creare divisioni all’interno del Consiglio di Sicurezza. “Se ne pentirà – dice un alto ufficiale francese – come ha dovuto pentirsi di lasciar passare la risoluzione 11973m del 17marzo 2011, immediatamente brandita dalla Francia e dall’alleanza islamo-atlantica per attaccare la Libia”. Questa seconda risoluzione, la 2249 “sospende la sovranità di Siria e Irak, perché non menziona i loro governi né la necessità di associarli a quello che altri faranno sul loro territorio nazionale. I paesi che ne avranno i mezzi sono incoraggiati a sferrare campagne militari ‘nelle zone controllate dall’ISIL in Irak e Siria’ ignorando totalmente i due paesi, i loro governi e le loro frontiere. A metter le cose in chiaro, l’ambasciatrice degli Usa all’Onu Michele Sison, nel suo discorso dove ha spiegato perché votava questa risoluzione , ha menzionati ripetutamente l’urgenza di procedere a un cambiamento di regime in Siria”

Da cui si vede che Mosca gioca con lealtà, e l’”Alleanza Islamo-atlantica ” con le carte truccate. No, Hollande non s’è alleato con Putin. Continua a fare il gioco dell’America. Obama ha dato ragione ad Erdogan per l’abbattimento dell’aereo. Gli Usa sono “in collasso economico strutturale” , e nella sua esperienza storica di guerre suggerisce a Washington che un conflitto bellico è quel che ci vuole per  “mettere il turbo al Pil”.

http://www.rischiocalcolato.it/2015/11/leconomia-usa-sprofonda-a-livello-strutturale-sara-la-spesa-militare-a-mettere-il-turbo-al-pil.html

Nell’esperienza storica americana la guerra è un asset da valutare; non ha mai conosciuto invasioni né bombardamenti, l’ha sempre sferrata lontano da sé. Persino la Germania stavolta non esclude di partecipare. Il Frankfurter Allgemeine Zeitung, la gazzetta ufficiosa di Bundesbank e BCE, scrive con l’occhio iniettato di sangue che bisogna sterminare l’ISIS.

Naturalmente nella neolingua significa: rovesciare Assad. Per non lasciare dubbi sulla parte da cui dovremo stare, la Repubblica mette un commento di tal Moise Naim, membro del Carnegie Endowment for International Peace (uno degli enti Usa , finanziati dal Dipartimento di Stato per diffondere la democracy) lancia una bella idea: continuare le sanzioni contro la Russia imposte per la “annessione” della Crimea, stavolta per l’intervento in Siria.

Insomma è fatta. Sion, coi suoi giornali e media, ci vuole nella guerra contro Putin e Assad, e dunque per l’ISIS. Che conquisti Damasco.

Manuel Valls, intervistato religiosamente da giornalisti italiani, si dichiara scontento di quanto ha fatto l’Italia; deve dare più aiuto, entrare più decisamente, non farsi da parte. “Anche voi avete conosciuto il terrorismo”, dice: nel contesto dei fatti di Parigi, va’ intesa come una minaccia. Forse anche voi avrete il permesso di sforare il patto di stabilità. Forse. I media, i ministri, i giornalisti fanno capire strizzando l’occhiolino: se non partecipiamo, non ci faranno sedere alla spartizione della torta. Come argomento, vale quello che le donne turche sono più eccitanti delle russe; torte, a noi italiani, non ne hanno date mai in 15 anni di “guerra al terrorismo globale”. Anzi ce l’hanno portata via, in Libia.

Ma almeno la Francia ha una portaerei – che non si può permettere – e una forza di intervento neocoloniale sperimentata. Noi cosa abbiamo? I soliti due Tornado magari non basteranno, e poi quale torta ripaga l’inimicizia di Mosca? Sto pensando alle nostro risorse, economiche, morali, le difficoltà che ci attendono. Penso alla tragedia di affrontare una crisi storica come questa con una burocrazia interna peggiore di quella transnazionale, incompetente , ladra e disonesta, che ruba – ai poveri – quantità inimmaginabili di denaro. L’altro giorno, ho sentito non ricordo qualche esperto dire: se le altre Regioni adottassero i “costi standard della Lombardia, lo Stato avrebbe 80 miliardi di spese in meno” ogni anno. Diconsi 80 miliardi di sprechi e ruberie nella Sanità.

E lo diceva col tono serenamente rassegnato di un fatto ineluttabile, che nessuna forza politica, nessuna “riforma” può pensare di migliorare. Un altro, in non so che convegno, spiegava che i dirigenti comunali e regionali sbagliano “apposta” i bandi di concorsi per poter provocare il “contenzioso” e approfittarne: nessuna ipotesi di licenziamento in tronco e incarcerazione di questi farabutti, ce li dobbiamo tenere e pagarli.

La classe pubblica intermedia, i parassiti che i soldi pubblici li prendono – e noi glieli diamo – non vogliono ridurre le loro malversazioni. Nessuna spending review li disciplinerà mai, né i vigili urbani di Napoli che per certificato medico non possono essere obbligati a lavorare in strada, né gli impiegati di Sanremo che timbravano cartellini, e sono illicenziabili. Non riesco a fare un calcolo, ma se 80 miliardi l’anno sono la spesa inutile nella Sanità, tutto il resto del sottogoverno tecnico cosa costerà in sprechi e ruberie? Altri 80 miliardi? Di più? Proviamo a capire: siamo sotto il tallone di una casta inadempiente che costa cifre colossali – costa come una guerra, da anni e decenni. E se scendiamo in guerra, la prima cosa che aumenteranno sarà la tassazione: contributo allo sforzo bellico. Ricordo la Croazia, quando dovette entrare nella piccola guerra contro la Serbia, applicò una tassa del 25 per per cento sulle imprese, una imposta straordinaria sulle case, sui consumi, su tutto. Era una macina da mulino al collo, i rincari furono tragici per gente povera. A Zagabria però tutte le sere gli addetti comunali lavavano le strade con gli idranti, minuziosamente, anche se i boati delle artiglierie serbe sembravano ogni sera più vicine.

E noi?

Noi siamo un popolo che non ha alcuna fiducia nei suoi (spregevoli) governanti, con il 13 per cento di disoccupazione, il 44% di quella giovanile, che subisce da anni una crisi economica terribile col 25 per cento delle imprese chiuse, soggetti ad una fiscalità saccheggiatrice e distruttiva, una moneta che non è la propria, un sistema pubblico sgangherato e disonesto che già è un problema in “pace”. Figurarsi in guerra. Come al solito, avremo scarpe di cartone, e anima di imbelli. Dovremmo aver dichiarato la guerra ai nostri oppressori. Contro la guerra in cui ci spingono ignari, dovremmo essere in piazza, e siamo a casa. Forse ci meritiamo tutto.

de gaulle

Viene da applicare a noi questo detto di De Gaulle:

Non c’è che una fatalità, quella di popoli che non hanno abbastanza forza per tenersi in piedi e si coricano per morire. Il destino di una nazione si guadagna ogni giorno contro le cause interne ed esterne di distruzione”

Andiamo in guerra e non abbiamo nessun “destino” da mettere.