L’INDIFFERENZA AL TEMPO DI TINDER

 

                                                          di Roberto PECCHIOLI

 

Estate, esterno giorno. In uno spiazzo oltre una curva della strada panoramica per Cavalese due lenzuola e una coperta pietosa proteggono il corpo di un uomo. La bicicletta spezzata a pochi metri svela il mistero di quella morte recentissima. Gli automobilisti infastiditi dalla coda creata dalla tragedia riprendono la marcia. Nessuno si ferma, soddisfatto che il traffico riprenda. Si allontana anche chi scrive, dopo aver silenziosamente recitato un Requiem per lo sventurato. Ha vinto ancora una volta l’indifferenza, lo stato d’animo di chi non prova inclinazione, interesse o ripugnanza verso qualcuno o qualcosa. La vita neutrale, falsamente virtuosa, la tolleranza posticcia, ha preso possesso di tutto. Si estende un’epidemia di milioni di eterni post adolescenti dai sentimenti opachi. Ogni tanto un sussulto, poi ritorna il nulla. L’origine è in una gelida indifferenza di fatui narcisi sensibili all’adulazione, inclini al servilismo, eccelsi nella stupidità, insicuri, che conducono la nazione al disastro perpetuo ammantati di parole di circostanza politicamente corrette apprese frettolosamente sui siti specializzati. Pura zoppia ideale.

L’occhio che ammicca e il complimento ammirato sono diventati fuorilegge, molestie da punire con arcigno bigottismo invertito, perché una legione di puristi ipocriti in ciabatte infradito pretende autocensura, compostezza, educazione (quale?) e le maniere affettate di un nuovo plumbeo galateo. Sono sempre in azione, pronti a impartire lezioni, ovvero chiedere, pretendere indifferenza, bavaglio di fronte alla bellezza, al desiderio, ma anche all’abuso di potere, all’ingiustizia sociale, al male. Siamo indifferenti perché non dobbiamo- secondo loro- essere davvero umani. L’indifferenza disumanizza, congela, disincarna.

Nei racconti delle Nuove Mille e Una Notte di Robert Stevenson dedicati al principe Florizel c’è un passaggio assai sinistro, in cui lo spietato John Vandeleur dice al futuro genero: ti considero con un’indifferenza vicina all’avversione. Ci sembra lo slogan perfetto del nostro tempo: la noncuranza verso tutti è prossima all’aperta ostilità, che si scatena facilmente per i più futili motivi. L’indifferenza, poi, è sorella germana del cinismo, il disprezzo per le regole morali.

Abbiamo costruito un mondo di corpi snelli, tatuati e iperconnessi che si guardano e si desiderano con diffidenza, protetti dall’anonimato della massa, seguono i dettami dei limiti verbali e intellettuali imposti dal Santo Uffizio post moderno, ma non cessano di provocare, offendere il prossimo distillando rancore, malanimo e autentico odio dall’altro lato dello schermo asettico degli apparati informatici. Nei fatti, provano un’avversione per l’altro assai vicina all’indifferenza bipolare, come scrisse Stevenson, un misto tra l’”hater “ ( colui che odia attraverso la tastiera del computer) e il seguace devoto: dipende dall’attimo,  dall’umore più cangiante del cielo d’ Irlanda.

L’ indifferenza ha conseguito prestigio sociale e minaccia di rimanere tra noi come un soffio dal ronzio assordante. Brucia l’Amazzonia, cambiano i governi, si batte il record di povertà e la recessione economica minaccia il mondo, ma occupa la scena il reggiseno cashmere da cinquecento dollari –  ogni cosa, anche l’essere umano, ha il cartellino del prezzo e il codice a barre – indossato dall’attrice Katie Holmes durante una passerella. L’azienda produttrice ha rapidamente esaurito le scorte. Ed è l’indifferenza diffusa che rende tanto repellente la vita politica, fa passare nel silenzio l’instabilità, l’insicurezza, i milioni di vite precarie, una malattia che blocca quanto il fatalismo atavico di certe popolazioni. L’indignazione è messa a tacere, il fuoco sociale soffocato, le voci di protesta ridicolizzate o imbavagliate. Resta il docile battito del cuore degli indifferenti: bradicardia di massa.

Diceva George Bernard Shaw che l’indifferenza è l’essenza della disumanità e che “il peccato peggiore che può essere commesso contro una creatura umana non è odiarla, ma esserle indifferenti. La psicologa californiana Jean Twenge ha pubblicato da poco uno studio illuminante sui “millennials” e la Generazione Z (i nati dopo il 2000). Il paradosso dell’era Tinder è, secondo lei, che si va producendo un tempo asessuato per sovraccarico. L’esperta parla addirittura di una recessione sessuale.

La riluttanza, la sazietà, l’apatia, la stanchezza mentale, la frenesia occasionale estranea all’impegno, il vagabondaggio amoroso distruggono la vita sentimentale dei più giovani, una pandemia che raggiunge sempre più anche le generazioni adulte. Un altro psicologo, Philip Zimbardo, va oltre, osservando che molti giovani preferiscono fare sesso con se stessi (pornografia e simili) piuttosto che con i loro partner più o meno occasionali. Onanismo e solipsismo, una delle mille varianti dell’indifferenza.

Addio alle coppie, ai fidanzati con le loro liti viscerali, pianti drammatici e gioiose riappacificazioni. Adesso basta una sola parola, uno sguardo malinteso per costruire   un muro infrangibile di indifferenza. E’ così facile scoprire un nuovo, come dire, congenere. Basta navigare tra le applicazioni, praticando il temuto “ghosting” nei confronti del vecchio rapporto interrotto. Ghosting è il termine che definisce l’attitudine a diventare fantasmi, sparire, smettere di rispondere a messaggi e mail. L’abbandono avviene per interruzione improvvisa, anzi per disconnessione: indifferenza all’ennesima potenza. E’ l’era di Tinder e delle “app” simili, piattaforme di incontri in cui la percentuale di continuità nella relazione è dell’1,6 per cento, secondo i dati forniti dagli stessi gestori. Nichilismo puro, ma l’ideale per chi è allergico all’impegno. Basta scorrere le fotografie, un clic e il gioco è fatto. Un altro clic e tutto sfuma, game over, come nei videogiochi.  Non siamo che pezzi di carne con gli occhi, al tempo di Tinder.

Esaurita la vita bohèmienne tanto cara ad artisti e letterati, basta con Pasolini, Valle-Inclàn e i mille altri che scoprirono la bellezza della scorrettezza e della protesta poetica. Oggi il loro impegno, i loro stessi eccessi sarebbero impensabili, e collezionerebbero migliaia di denunce dai chierici del politicamente corretto, offesi da parole, gesti, atteggiamenti di libertà sgraditi a questa o quella minoranza. Umoristi straordinari come Groucho Marx sarebbero in carcere e l’attrice simbolo del cinema muto, Mae West, verrebbe denunciata da gruppi femministi per l’allusione contenuta nella sua maliziosa domanda: Hai una pistola in tasca o sei felice di vedermi? Il gioco verbale è condannato e sostituito da codici asettici, neutrali, un altro lato del potere dell’indifferenza.

L’indifferenza è un sentimento vile, volgare, che avvelena l’anima disseccandola. Nel secolo del Panopticon realizzato due secoli dopo il suo teorico, l’orrendo Jeremy Bentham, tutti contempliamo la vita degli altri tra uno sbadiglio e un momentaneo fiotto di passione. L’apatia, il rilassamento mentale, il divieto di dare un giudizio, distinguere, sono le sbarre della nuova prigione, gabbia di libertà solo apparenti.

Ne fu un anticipo il primo romanzo di Alberto Moravia, Gli indifferenti, del 1929. Carlo e Michele sono incapaci di amare per insensibilità. La ragazza, che detesta Leo Merumeci, amante della madre, accetta di sposarlo per comodità. Moravia intendeva colpire un certo mondo borghese, ma nella confusione odierna non vi è più distinzione di ceto. Riscopriamo allora il dolore, la perdita, il corteggiamento, l’ardore, la paura, l’ironia, la battaglia, la lealtà sino alla morte, l’esplosione di amore, la speranza e il desiderio che sia “per sempre” in un mondo di indifferente tristezza, un fast food dove tutto è si consuma in fretta, tra gente anemica, silenziosa e risentita. Combattiamo la putrida purezza dei neo moralisti d’accatto, l’ostentazione narcisistica di contemplatori del proprio ombelico in servizio permanente effettivo.

Il rapporto con gli altri e soprattutto con la persona amata è un minuetto che pochi sanno ballare. L’assedio è scomodo, ignora Tinder e Badoo e oggi sembra addirittura pericoloso ottenere il premio, previo accordo su quali atti si possano compiere e quali si debbano evitare.  Meglio non esporsi, la conquista può diventare una minaccia. Lo spiega bene Graham Greene nel Nocciolo della questione, attraverso il personaggio di Wilson e la sua risposta finale alla domanda di Scobie: “ma nell’amore umano non c’è mai nulla che si possa chiamare vittoria; solo pochi successi tattici, di secondaria importanza, che precedono la sconfitta finale della morte o dell’indifferenza.” Quel nichilismo è l’esito inevitabile dell’indifferenza; viviamo il tempo di esseri mutevoli, intercambiabili, senza importanza.

Ignara di ogni tenerezza, avanza muta, secca, ruvida, fluttuante, epidemica, senza concedere tregua, cresce a passi da gigante, coprendo tutto con il suo velo avaro e disumano di self service. E’ la nostra sorella adottiva, l’indifferenza.