La Pasta del Capitano

di Roberto PECCHIOLI

 

Le elezioni europee sono passate. Unite alle regionali del Piemonte e alle comunali in oltre 3.500 municipi italiani, hanno dato un risultato chiaro, sul cui giudizio finale influirà poco l’esito dei ballottaggi. Tentiamo di esprimere un’opinione a caldo, con la presunzione di ragionare in termini prospettici. Innanzitutto, i freddi numeri. Ha vinto Salvini, il Capitano, hanno perso i 5 Stelle, travolti dalla deludente prestazione governativa, crolla Forza Italia, rimbalza il PD. Impressiona il risultato globale delle forze di centrodestra, che raggiungono il 50 per cento. Un dato storico, testimonianza dello spostamento del “sentiment” collettivo che, nonostante la mobilità dell’elettorato in tempi “liquidi”, è di lungo periodo. Vengono sconfitte, qui e altrove, le oligarchie non elettive che hanno imposto la loro agenda a popoli che, lentamente ma in proporzioni sempre più ampie, mostrano di rifiutarla.

 

Ancora una volta si deve rilevare l’enorme distanza tra l’opinione delle varie sedicenti élites, stampa, accademie, vertici finanziari ed economici, Chiesa ufficiale, intellettuali e il popolo. Gli “influencer” non influenzano granché. La vittoria della Lega e di Matteo Salvini detto il Capitano è di tali proporzioni che ai meno giovani torna in mente un vecchio carosello della Pasta del Capitano, il noto dentifricio. I protagonisti erano il grande Carlo Dapporto e la bella Georgia Moll, entusiasti del prodotto. Ad un certo punto appariva il dottor Ciccarelli in persona, inventore della formula e proprietario dell’azienda a frenare i “testimonial” esclamando: non esageriamo. La Pasta del Capitano è un buon dentifricio, ma non è miracoloso.  Per Lega e Salvini vale il medesimo commento, ma non riusciamo a sottrarci alla tentazione di invitare i numerosi odiatori di professione che hanno occupato ogni scena mediatica e tante piazze ad acquistare oltre alla Pasta del capitano qualche unguento lenitivo dei bruciori – gastrici e di altre parti del corpo-  intervenuti dopo il 26 maggio.

Lerner e clero  contro le “classi subalterne”

Il circo mediatico ha perso su tutta la linea e questa è la constatazione più importante: la maggioranza non si lascia convincere dalle campagne di poteri e ambienti che, una volta di più, hanno mostrato la loro distanza dal popolo. Emblematica la stizzita reazione di un sinistrissimo giornalista assai vicino alle oligarchie, Gad Lerner.  Secondo l’ex militante di Lotta Continua diventato cantore del progressismo liberal, chi non vota come piace a lui è membro di “classi subalterne”. Onoratissimi, non senza rammentare al grand’uomo che la sua antica parte politica fondò le sue fortune sulla rappresentanza di quelle classi subalterne che oggi disprezza. Ne riparleremo più avanti.

 

C’è un altro sconfitto, il clero scatenato contro Salvini e gli altri sovranisti (un aggettivo divenuto insulto bruciante in bocca di color che sanno…). Non si contano gli interventi di vescovi, parroci, gesuiti, giornali cattolici (la copertina Vade retro Salvini di Famiglia Cristiana ha fatto scuola) tesi a demonizzare una parte in nome dell’unica tavola della legge rimasta alla neo Chiesa, il verbo dell’accoglienza degli immigrati. Tutte le rilevazioni sono concordi nell’attribuire alla Lega la maggioranza del voto cattolico, ma c’è di più. Una sondaggista autorevole, Alessandra Ghisleri, afferma che le intenzioni di voto a Salvini sono schizzate in alto dopo il gesto del cardinale polacco che ha riallacciato le utenze elettriche di un palazzo occupato di Roma.

 

Il popolo basso – chiamiamolo così per far contento Lerner- si incavola da matti quando vede premiare l’illegalità. Tanti fanno sacrifici per essere onesti contribuenti e sanno che sul loro portafogli gravano i furbetti e i mascalzoni cari a Sua Eccellenza in porpora. Per inciso, gli inquilini abusivi beneficati a spese nostre hanno festeggiato non con una Messa cantata ma con un rave party: ore e ore di rumore spaccatimpani e soprattutto sballo a base di alcool, droghe, pasticche. I paradisi artificiali piacciono evidentemente a coloro che non credono più al paradiso vero. Non commentiamo le violente reazioni clericali alla coroncina di rosario mostrata da Salvini, il quale ha persino osato affidare l’Italia alla Madonna. Non si fa, perbacco, non senza autorizzazione vaticana, non senza convocare, per par condicio, imam barbuti, rabbini e macilenti dignitari buddisti di arancio vestiti.

 

A proposito di sondaggi: un’altra brutta figura o, diciamola chiara, un’ulteriore prova della manipolazione. C’è chi mette insieme dati falsi – o truccati – per costruire un clima di opinione favorevole a chi dicono lorsignori. Wishful thinking, pio desiderio, è l’immancabile formula anglofona. Simbolo negativo della campagna elettorale resterà l’intervista al Capitano di un’indiavolata ex eurodeputata della sinistra (dunque l’obiettività e l’equilibrio fatti persona), la signora Dietlinde Gruber detta Lilli. Avversione, rancore, incapacità di ascoltare gli argomenti altrui, un perfetto esercizio di odio in prima serata. Non funziona più, evidentemente, come non sono servite le “spontanee” orde anti Salvini sciolte da qualcuno contro ogni comizio del leghista, intervallate da qualche incursione, per non perdere l’allenamento, contro Giorgia Meloni e i consueti sabba nei confronti dei Nuovi Mostri, i pericolosissimi esponenti di Casa Pound e Forza Nuova, il cui peso elettorale è di circa mezzo punto percentuale.

 

Disse un politico del passato che un’unica cosa non può reggere un politico, il ridicolo. Se il principio valesse per il giornalismo, che dire del sobrio, pacato, riflessivo titolo di Repubblica: Onda nera. L’organo ufficiale dei colti, dei razionali, dei progressisti che tutto sanno, non ceti subalterni come noi buzzurri, ha perso il bene dell’intelletto. Alla nostra età, i ricordi vagano lontano, a un attacco violentissimo di un giornalista di sinistra a Aldo Moro in una tribuna elettorale di poco anteriore al suo rapimento. La DC era equiparata al fascismo e il politico pugliese rispose che dubitava assai della vista e dell’intelligenza del suo interlocutore, se non sapeva distinguere i fascisti dai democristiani. Quarant’anni sono trascorsi invano.

 

Cerchiamo adesso, dopo esserci tolti alcuni sassolini dalle scarpe, di guardare ai numeri con equilibrio e in prospettiva futura. Innanzitutto, il dato dell’affluenza: poco più del 56 per cento, oltre quindici punti in meno delle elezioni politiche. Frenino quindi gli entusiasmi i vincitori, mancano all’appello sette milioni di voti, prevalentemente del Sud. E’ un altro segnale: il M5S, dominatore da Roma in giù, ha perso molto del suo fascino e, più concretamente, in metà d’Italia il voto poco appassiona se non è legato al clientelismo locale o, come nel 2018, alla promessa grillina del reddito di cittadinanza. Sarà comunque difficile scalzare le posizioni leghiste, diventate fortissime nell’intero centro-nord, Emilia Romagna compresa, l’area più ricca e produttiva della nazione.

 

La sconfitta a Cinque Stelle è figlia dell’inconcludenza parolaia e giustizialista di colonnelli e soldati, alcuni dei quali stanno dando misera prova al governo. La stessa veemenza antileghista dell’ultimo mese può aver indotto non pochi elettori a preferire il PD, che è all’opposizione. Il tramonto grillino non sarà breve, ma siamo convinti che le percentuali del recente passato siano irripetibili. Colpisce l’eclissi di Forza Italia e il declino definitivo di Silvio Berlusconi. Meno del 9 per cento su scala nazionale, risultati imbarazzanti nel Nord che fu culla del berlusconismo, una certa resistenza clientelare solo nel Sud, dove l’onda leghista avanza ma non infrange del tutto gli scogli.

L’uomo di Arcore può gioire solo per la sua rielezione in un parlamento – peraltro con preferenze personali imparagonabili a quelle dei bei tempi- dopo le vicende discutibili della legge Severino. C’è bisogno di un’area politica moderata e centrale, ma temiamo che FI sia ai titoli di coda, come il cerchio magico dei/delle vicinissimi/e al Cavaliere. Un piccolo inciso: Alessandra Mussolini in versione berlusconiana resta fuori dal parlamento europeo. La stella della Nipotissima tramonta senza rimpianti: fu un’invenzione di Pinuccio Tatarella, ha tenuto botta per 25 anni. Auguriamo una meritata e certo lucrosa pensione.

 

Un’osservazione riguarda le elezioni regionali piemontesi. La sconfitta pesante dei 5Stelle dimostra che l’area di opinione contraria alle grandi infrastrutture è minoritaria. Una buona notizia per la ferrovia Torino -Lione, l’onore delle armi per lo sconfitto Chiamparino, che ha annunciato l’abbandono della politica. Un comportamento che va apprezzato, nello stile sobrio di una piemontesità antica.  Il tema dell’immigrazione ha fatto ancora una volta la differenza. E’ chiara l’opinione prevalente degli italiani, che ha gonfiato le vele della Lega e di FDI anche in zone tradizionalmente ostili. A Riace il discusso sindaco pro migranti è sconfitto senza appello. I risultati di Lampedusa, Castelnuovo di Porto sede di un centro di identificazione e Ventimiglia, che ha cacciato il sindaco PD che pure aveva contrastato le tesi pro accoglienza, ne sono la prova. Due note di colore: Predappio, paese del duce, svolta a destra, come Capalbio, la spiaggia dei VIP progressisti.

 

Il voto meridionale, che si sottrae in parte alle tendenze nazionali, si può spiegare con il minore peso migratorio, tranne alcune sacche, tra le due parti d’Italia. Interessante è anche il rimbalzo del PD, risalito al 22,7 per cento. Ha però inglobato i voti delle piccole liste di appoggio presenti alle politiche del 2018, ma non al voto europeo, beneficiato del crollo della sinistra ex LeU e dell’assenza dei comunisti di Potere al Popolo. Quest’ultimo gruppo andrebbe “attenzionato”, nel linguaggio dei mattinali delle questure, per la vibrante “allerta antifascista” proclamata contro l’esito del voto, con la promessa di azioni concrete. Di tutto ha bisogno l’Italia, tranne di ricorso alla piazza, nuovi odi, Dio non voglia, violenza.

 

Il PD, che conferma la sua capacità di mobilitazione, specie in coincidenza con le scadenze amministrative, accentua il suo carattere di partito urbano, soprattutto delle grandi città. Un segnale importante da non sottovalutare per i suoi avversari, ma anche la prova del divorzio irrevocabile con le masse popolari, respinte a milioni nelle “cinture” dei grandi agglomerati, sempre più lontane dai ceti abbienti, burocratici, imprenditoriali, professionali vicini al PD postborghese.

 

Qualche parola sulle elezioni amministrative. La provincia dell’Italia centro settentrionale è largamente colorata di verde Lega; resistono le roccheforti rosse, ma sorprende il ballottaggio cui sarà costretta la sinistra a Reggio Emilia. Ferrara e Forlì potrebbero cadere, ma la vera novità è che ogni città è ormai contendibile. Lo dimostrano i larghi successi del democratico De Caro a Bari, del suo collega Gori nella ricca Bergamo, la rielezione di un sindaco moderatamente di sinistra a Sanremo, che ha votato largamente Lega e Fdi nella scheda europea, e, per contro, la nuova vittoria della destra a Perugia.

 

A livello europeo, si sbriciola in tre grandi Stati la vecchia sinistra di ispirazione socialista. Umiliante il 6,4 per cento dei francesi, che fa il paio con il crollo della SPD in Germania e la dura sconfitta laburista in Gran Bretagna. I sovranisti guadagnano terreno in Francia, portano una nutrita pattuglia di eurodeputati dalla Germania, si affacciano in Spagna e regalano a Marine Le Pen la soddisfazione di superare la lista del presidente Macron. Il commento della stampa è unanime: i sovranisti avanzano ma non sfondano. Mezza verità, mezza bugia. Assomiglia ai bollettini di guerra di chi è sul punto di essere sconfitto. Diceva Gandhi: prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, infine vinci.

 

A nostro avviso i poteri forti stanno lanciando in campo una nuova forza di pseudosinistra, facile da votare per la sua indeterminatezza ma anche per la validità di alcune battaglie ambientaliste. Tornano i Verdi, che sfondano in Germania con un ragguardevole 20 per cento, fanno la sorpresa in Francia, in Gran Bretagna e in area centro europea. E’ il partito di Greta e della lotta al CO2. Hanno alcune buone ragioni, che verranno prontamente volte a favore delle grandi ristrutturazioni industriali, il cui conto sarà fatto pagare ai popoli, meglio se con il loro consenso.

 

Un ultimo pensiero va alla Grecia. La martoriata culla della nostra civiltà, massacrata dalle politiche neoliberali fatte trangugiare da governi “rossi”, ha licenziato Tsipras, l’ex beniamino della sinistra europea, costretto a indire elezioni politiche anticipate. Le perderà, ma poco cambierà per i greci: il centrodestra di Nuova Democrazia applicherà con folle entusiasmo le stesse politiche di austerità che stanno distruggendo il popolo ellenico e uccidono letteralmente i più deboli, a cominciare da bambini denutriti e non curati. L’altra faccia, la più bieca, di un’Europa che adesso ha qualche probabilità in più – non troppe, invero- di cambiare.

 

Vale per i risultati, tra i quali trascuravamo di citare il trionfo di Nigel Farage, l’anti europeista britannico, lo slogan del maggio francese: ce n’est qu’en début, continuons le combat. Non è che l’inizio, continuiamo la lotta. Sarà dura, lunga, impari. Confidiamo – non c’è alternativa- nella tempra di Salvini: la pasta del Capitano.