La Giustizia: efficace contro Siri, meno con Camorra (e Casamonica)

A  Napoli la Camorra  spara alle bambine, e  in varie trasmissioni Rai e no provano a dire che in fondo è colpa di Salvini. Che “si fa i selfie”, “è in campagna elettorale”, “non è andato a Napoli.  Un  “esperto” di  non ho capito il nome, a domanda: se fosse lei al governo cosa farebbe, risponde: anzitutto bloccherei le  armi, come mai è facilissimo averle, come mai  anche i ragazzini hanno le armi? Un discorso a casaccio, come chi dice: ci vuole “la cultura” eccetera. Certo, bloccare lo spaccio clandestino di armi in una città che ha un porto, e dove la Camorra esiste da  secoli ed ha “formato” la società;  realmente governa tutte le attività che le interessano, turismo compreso; dove intere categorie (non escluso politiche e burocratiche) sono al suo servizio;  dove è un fenomeno tribale che nasce dal basso  – oltre che essere promosso e glorificato dai serial di Saviano  –   ed è colpa di Salvini. Appena arrivato ad un ministero dell’Interno che non controlla affatto. Povero Sparafucile.

A parte che contro Camorra come contro Mafia, ormai le  cose sono al punto che  non è più possibile contrastarle se non con metodi e forze extra-legali e  militari (come fece in parte il prefetto Mori),si conferma qui il perennemente valido detto di Voltaire:

“Per capire chi vi comanda  basta scoprire chi non vi è permesso criticare”.

L’insufficienza delle procure non viene  mai chiamata in causa. Sanno davvero occuparsi della criminalità organizzata, ricca e con  schiere di delinquenti stipendiati? Se  questa domanda – rispettosa, eh  – vale  per Napoli, vale ancor più per Roma,  dove circola enormemente più denaro (pubblico) e potere ( dei Ricchi di Stato), e dove   si stratificano enormi sacche di parassitismo arrogante  abituato all’impunità , di cui ci accorgiamo quando incendiano gli autobus ATAC (e non si sa chi) e  le discariche AMA (idem).

Una capitale con tre stazioni della metropolitana chiuse e  una , Barberini, sequestrate dall’autorità giudiziaria  da mesi – con sorpresa avendo scoperto   dopo il grave incidente dei tifosi russi feriti dal collasso della scala mobile che la manutenzione “lasciava desiderare”  – e solo adesso l’ATAC ha rotto il contratto   con l’azienda di manutenzione, Metroroma Srl, capitanata dalla Del Vecchio srl di Napoli, che si era aggiudicata l’appalto triennale da 23 milioni di euro offrendo il 49% di ribasso.  Qui, non sembra che la Procura abbia usato il piglio e la decisione che  ha adottato contro Carminati e Buzzi, sbattuti nei carceri di massima sicurezza.

E solo dopo quel funerale con l’elicottero che lanciava rose, e la musica de  Il Padrino, e  il ritratto del Capo con la scritta “Re di Roma”,   che “ l’Italia si accorge dell’esistenza del clan Casamonica”, scrive Nello Trocchia nel suo agghiacciante libro dedicato a “il clan più potente ignorato per anni che così ha conquistato Roma”.

Cito: “In quasi metà secolo, mentre i Casamonica diventavano giganti, tutto attorno era un pullulare di sottovalutazione. Così le parole, sbagliate, che hanno riguardato i Casamonica sono quelle che gli stessi membri di questa famiglia adoperano per definirsi: “nomadi”, “zingari”.  Anche in termini giudiziari e investigativi, c’è stato un ridurli a fenomeno da baraccone, da circo, a violenti senza arte né parte, a loschi figuri, vandali confinati nel loro ghetto di una borgata romana”.

“ E  mentre le istituzioni si limitavano a derubricarli a fenomeno minore  – leggo nel risvolto di copertina –  i Casamonica prosperavano: sulle minacce e la violenza cieca hanno edificato un impero fatto di discoteche, locali, palestre, concessionarie di lusso e ville sontuose. Si sono accreditati come agenzia criminale di servizi, vera e propria cerniera tra il mondo di sotto, della periferia disagiata, e il mondo di sopra, dei circoli esclusivi ai Parioli e dei salotti bene di Via Veneto. Partendo da testimonianze inedite e resoconti giudiziari, Nello Trocchia costruisce l’inchiesta: il primo ritratto della famiglia criminale a capo di Roma”.  Raccoglie le storie di boss pittoreschi e spietati, e di donne feroci e manesche; di vittime coraggiose e di uomini che, nonostante abbiano perso tutto, vivono ancora nel terrore della famiglia. Il risultato è una radiografia impietosa di una città in fin di vita, invasa di metastasi in ogni organo, in ogni tessuto: una malattia estesa, a cui lo Stato non sembra capace di trovare rimedio”.

E i membri del clan anche dopo l’arresto continuano a fare la bella vita e spadroneggiare;  i membri del clan hanno la possibilità di ricevere e inviare messaggi dal carcere, dare ordini e addirittura far circolare droga”.

La  procura può  facilmente rispondere che “negli ultimi vent’anni sono stati iscritti oltre milleseicento procedimenti nei confronti dei componenti del nucleo familiare Casamonica…Un ultimo dossier degli inquirenti, relativo al periodo tra il 2010 e il 2016, indica 408 procedimenti aperti a carico della famiglia, per reati che vanno dall’estorsione all’associazione a delinquere, dalla truffa alla rapina”.

Certo, ma a ciò risponde  “una signora della droga”  citata da  Trocchia,     che “ ha potuto sentenziare di recente: “A Roma è un’altra cosa. A Roma pure con dieci accuse ti danno cinque mesi di carcere, sei mesi, al massimo sette mesi. A Napoli, invece, per le stesse cose ti danno dieci anni. Ce ne dobbiamo venire tutti a Roma…”.

Infatti: 1600 procedimenti ma trattati ciascuno per sé,  senza la visione dello spaventoso quadro d’insieme,   che ha fatto dei Casamonica i Re di Roma, anzi la metastasi  della capitale d’Italia.  La  levità delle pene comminate – i sei, sette mesi  per ogni singolo reato  –  in raffronto   a quelle che hanno inflitto a Carminati e Buzzi, 14, 12  anni e  carcere duro  – sembra un sintomo della ben diversa attenzione della magistratura verso  la delinquenza “comune”, trascurabile, e quella  che può riferirsi al “mondo politico”,  verso cui l’attenzione è continua  e acutissima,   le intercettazioni permanenti, l’invadenza patente, la volontà di porsi come “potere ispettivo generale”  della politica, evidente: anche perché in fondo è più facile, i politici sono indifesi (bastano i titoli dei giornali a destabilizzarli, farli accusare dagli avversari politici, ), in confronto ai Casamonica;  molto più faticoso   condurre indagini sulle decine di bar, discoteche   che controllano e le usure e i ricatti che compiono.  Qui occorre vera professionalità investigativa, intelligenza  e pazienza – mica basta spifferare al giornalista amico che un certo Arata dice di aver dato, o voler dare, o forse nemmeno dato, 30 mila euro al politico , e Arata è  in contatto con un altro, il quale si dice sia socio occulto di Messina Denaro…. Con un vantaggio in più:  in questa inchiesta “politica”  i magistrati vanno in prima pagina e loro nomi risuonano per settimane nei talk-show.   Incidere  le metastasi dei Casamonica è un lavoro improbo, arido,  che alla fine frutta un  titoletto in cronaca cittadina.

Questa inadempienza magistratuale   verso “gli zingari” quanto poi dovrà al pregiudizio del  politicamente corretto progressista-illuminista che  i “rom” non possono essere che vittime  di “discriminazione”,  bisognose  di comprensione dalla magistrura illuminata e  manica larga, perché  capaci solo di delitti “minori”?  La convinzione ideologica che  la gente esagera con “l’allarme sociale” dei Rom?  Abbiamo visto usare questa indulgenza  eccessiva ed  esibita  tante volte verso “immigrati” di colore recidivi,  spacciatori abituali, violenti  ricorrenti  che terrorizzano le vite quotidiane di viaggiatori in treno, da cominciare a sospettare che certe sentenze e rilasci siano fatti apposta per “far rabbia a Salvini” e al suo elettorato. Sospetto da cui immediatamente ci dissociamo, conoscendo la purissima oggettività della casta giudiziaria.

La polizia “giudiziaria”

Ma forse di  tutti,   il  motivo per cui la magistratura italiana così autoreferenziale, sicura di sé e  ferramente corporativa, così temibile per il politico   preso di mira e il cittadino, diventa poi risibile per il  colossale  e ramificato clan Casamonica,   impotente per la Camorra   assassina a Napoli, lacunosa per le decine di latitanti per anni che poi si scoprono per caso che “si nascondono  vicino a casa loro”, insomma la vera delinquenza appena che sia un po’ organizzata e ricca abbastanza da  assumere avvocati decenti   –  il motivo è    la riduzione della polizia investigativa a “polizia giudiziaria”.    In piena proprietà del procuratore.  Una tale polizia, in quanto “giudiziaria”,  può compiere solo atti “giudiziari”  ossia assolutamente legali.

La polizia indaga. Ma “dopo”

Me ne resi conto quando, molti anni fa,  mi trovai l’auto vandalizzata. Andai in caserma a fare la denuncia, e al carabiniere che la scrisse a macchina, dissi: “Io ho un sospetto sull’autore del vandalismo. Posso dirglielo”. A quella il CC si alzò di scatto,  mi portò nel cortile e  – all’aperto –  mi spiegò: se lei mi dice il nome, io lo devo scrivere  nella denuncia,  diventa un atto legale. La persona nominata come sospetta la querelerà per calunnia, ed è tutto quello che otterrà”. Io pensavo ingenuamente di  poter dare indicazioni per un’indagine, non  una diffamazione.

Attività  d’indagine tipiche della polizia, che vediamo nel film americani, come  la raccolta di   soffiate preliminari,  frequentazione di certo sottobosco,  lo schiaffone dato al teppistello,   la  coltivazione di confidenti  magari compensati  con chiusura d’occhi sui loro reati minori,  di infiltrazione,   e non parliamo di  agente provocatore, sono  potenzialmente  – o anche concretamente –   delitti agli occhi del procuratore; e il procuratore è pronto a contestarli, incriminando i “suoi” agenti –  magari  perché  è inesperto e vittima del pregiudizio  che gli agenti siano mossi a  loro volta da pregiudizi nelle loro valutazioni di zingari,  nei loro sospetti verso gli immigrati  di colore; o perché ha un teorema in testa, e  gli investigatori non glielo confermano.

Le persecuzioni giudiziarie   accanite di cui sono stati vittima i Contrada  o il generale Mori sono  tristemente istruttive.  Mori e il Ros che riescono a trovare il covo di Totò Riina e  lo catturano, vengono  poi processati per “mancata perquisizione del covo” stesso dalla Procura di Palermo.  Perché, come spiegò il generale, la tecnica  giusta quando si colpisce un gruppo criminale, è opportuno lasciare “un filo” che consenta di identificare l’intera struttura organica. E’poco produttivo prendere un latitante se si tagliano i contati con il gruppo cui appartiene”.  Assolto da quella accusa, Mori è condannato –  a 12  anni! –  perché la procura gli attribuisce “la “trattativa Stato-Mafia”,  un teorema manettaro che ha distrutto la vita di un egregio servitore dello Stato e un grande investigatore, con tutto il suo gruppo.

E’ chiaro che il poliziotto divenuto “giudiziario” impara a sue spese che se prende iniziative, ha solo guai – giudiziari – da procuratore, che ci mette poco a incriminarlo, se non è questo ad avere l’idea e a ordinargli di indagare.  La polizia “giudiziaria”  ha smesso di fare gli atti  autonomi  tipici del detective,  quindi di curiosare  , di fare domande”qui lo dico e qui lo nego”, di ottenere informazioni dal sottobosco “do ut des”. Col tempo ha perso anche le capacità professionali; raccoglie denunce e “notizie di reato”, non le va a cercare; non   ha antenne e sonde nel sottobosco  per collegare dozzine di reati “piccoli”  in un affresco generale. Così non ci siamo accorti dei Casamonica se non dopo il funerale con l’elicottero che rilanciava petali di rose sul Boss, e tutte le volte ci domandiamo come mai non si può, a Napoli, stroncare la Camorra che spara per strada coi suoi sicari. Il procuratore, che non ha studiato da poliziotto,si è privato degli strumenti per perseguire questa criminalità cosiddetta “comune”, con la stessa sicurezza vittoriosa con cui mette in moto “la macchina infernale mediatico-giudiziaria  che da trent’anni determina  gli eventi della politica italiana, e irrompe quando il popolo non segue  le elites oligarchiche”.

Giuseppe Pignatone  procuratore di Roma, va in pensione:  7 anni e 2 mesi nella Capitale, dopo 45 anni di carriera nella magistratura,  intervistato dal Corriere  dice:

“Il nostro è da sempre un Paese profondamente diviso, in cui si continua a negare legittimazione all’avversario politico e non si rinunzia a usare contro di lui il risultato delle indagini, a prescindere dal loro esito finale”.  Nelle ore in cui l’intera opposizione si unisce ai 5Stelle  ed al potere  mediatico per chiedere la testa di Siri anche se innocente, è una risposta impagabile.

Nessuna domanda ovviamente sui Casamonica e sul  perché “ Roma è  invasa di metastasi  criminali  in ogni organo, in ogni tessuto, in fin di vita”.

(PS .  Lettori, non ve la cavate con le arance in carcere. Dovrete contribuire alle spese processuali. Sennò mi tocca patteggiare…)