INCHIESTA CONTRO IL GOVERNO. DUE O TRE COSE DA RICORDARE.

 

Quando si muove la Procura, un giornalista pensionato, che non dispone di collegi di difensori né di soldi per pagarli, e per pagar le cause che contro la magistratura si perdono sempre, ha solo da tacere.  L’inchiesta di Roma, lo “scandalo che scuote il governo Di Maio-Salvini”, “La trama di Lanzalone”,  quel palazzinaro che dice “Il governo lo sto a fa’ io”, tutto molto vero, concreto e importante. Da parte di un procuratore valorosissimo che ha fatto Mafia-Capitale col successo che sappiamo. Solo, tutto per ora si basa su intercettazioni e  omissis, queste voragini di vuoto riempito di sospetto, di possibili altre incriminazioni, di cui l’imputato non sa se sarà imputato .

Mi limito a citazioni altrui . Io non sono responsabile, sia chiaro. Cito Mauro Mellini, che fu l’avvocato del povero Enzo Tortora:

“Tutti sanno (anche se, quando occorre, tutti negano) che la maggior parte delle intercettazioni si fanno con autorizzazioni lasciate in bianco (gravi reati, dunque, di falso  in atto pubblico, abuso d’ufficio etc.) che le motivazioni dei relativi provvedimenti sono praticamente inesistenti, se non rappresentano addirittura l’inesistenza delle condizioni di legge per l’autorizzazione. E tutti sanno ( e poi, all’occorrenza, negano) che una gran parte delle intercettazioni, risultanti “non utili” alle tesi dell’accusa (o alle campagne scandalistiche dei giornali) vengono distrutte, anche quando quella “mancanza di utilità per l’accusa” possa rappresentare un’utilità,anche rilevante, per la difesa”….

“Per questo enorme gioco dell’origliare generale”  che i procuratori difendono come necessario “per combattere  la corruzione, si dovrebbe rispondergli che sono assai più i reati che disinvoltamente si commettono per intercettare, di quanti se ne scoprono intercettando”.

Sul potere che dà ai procuratori il nuovo codice di procedura penale e a cosa riduca il diritto alla difesa:

“Secondo il codice oggi vigente, l’azione penale incomincia solo con la richiesta di rinvio a giudizio: al termine, dunque, anziché all’inizio, dell’inchiesta del Pubblico Ministero. Ne consegue che il cittadino può: essere arrestato, tenuto in carcere, può accadere che si spieghi tutto il “contenzioso cautelare”, con reclamo al cosiddetto Tribunale della Libertà, con il ricorso fino in Cassazione, con appelli, altri ricorsi eccetera, senza che contro il suddetto cittadino  sia ancora iniziata l’azione penale. Prima di tale momento, ‘il Pubblico Ministero  indaga al fine dell’esercizio dell’azione penale”,  ossia –  se  ben capisco –  senza obbligo di comunicare alcunché agli avvocati difensori  del cittadino che ha incarcerato.

Il codice fascista era molto più  liberale  e rispettoso della libertà  personale.

“Molto più opportunamente, il codice di procedura penale del 1930 stabiliva che il PM “esercita obbligatoriamente  l’azione penale a seguito di denunzia, rapporto, referto, e quando altrimenti gli giunga notizia di reato”.

“Quindi, in precedenza, l’obbligo dell’esercizio  dell’azione penale era condizionato ad un dato  specifico: la notizia di reato comunque pervenuta. La formulazione  del nuovo codice,  così come è universalmente riconosciuto e secondo certe correnti dei magistrati avevano sempre richiesto,  importa che le indagini debbano riguardare non solo i reati di cui sia pervenuta notizia, ma  anche la possibilità di ritrovare tali notizie solo con tali ricerche. Si può dunque oggi indagare per accertare se vi sia qualcosa su cui indagare. Pedinare, intercettare qualsiasi cittadino al semplice scopo di vedere se possa farsene un imputato. Significa dunque, indagare sulle persone perbene per accertare se non siano, invece, per male, sui traffici leciti per accertare se invece non siano illeciti, sugli atti amministratiti regolari per vedere se, invece, siano irregolari e frutto di abusi, corruzioni e prevaricazioni.

“Il potere dei PM si trasforma così in un potere ispettivo sulla  società, sull’Amministrazione, sull’economia–  Il potere giudiziario, la magistratura, si pongono così oggi al disopra di ogni altra Istituzione ed Organo Costituzionale dello Stato, ed anche al disopra dello Stato stesso, considerato qualcosa come un oggetto del potere  carismatico dei magistrati”.

Tipico e spaventoso esempio, il processo di Palermo sulla presunta “trattativa Stato-Mafia”, che ha condannato il generale dei carabinieri Mori.

Mellini:  “Certe cose  dunque non le può fare nemmeno lo Stato, pena la sua incriminazione. Ma ricordiamolo, le hanno fatte i magistrati anche quando la legge non li autorizzava a farlo, patteggiando con alcuni pezzi di mafia, i criminali mafiosi”. 

La trattativa Stato-Mafia è  un delitto (se c’è stata), la trattativa Giudici-Mafia è la normalità, con il patteggiamento coi “pentiti”, criminali  che vengono favoriti e stipendiati, come “collaboratori di giustizia”; se fanno le deposizioni utili.

Un “metodo” ben oliato dai tempi di Mani Pulite: “Ti arresto, tu confessi e accusi un altro, io arresto l’altro e libero te”.

Dunque, appena creato un governo di nuovo tipo,  che dà  estremo fastidio ai poteri forti interni ed esterni, il  sistema giudiziario ha voluto  far pesare il suo “potere ispettivo” totale sulle Istituzioni, il suo essere al disopra dello Stato. Che dispone delle loro telefonate, che li sorveglia, che può distruggerli.

Intercettazioni, cene pranzi. La sete di sangue con cui le jene  giornalisti si buttano sugli “omissis”,  sulle frasi fuori contesto, sulle vanterie al telefono, sulle cene a due che diventano sospette, è la stessa che li rese complici volontari di Mani Pulite.

Ma io ho solo citato, si chiaro. Dal libro di Mauro Mellini,  difensore di Tortora, che da radicale tentò di far passare la responsabilità civile dei magistrati e che Pannella abbandonò:

Il Partito dei Magistrati”, Bonfirraro. E’ stato scritto per “ricostruire il lungo iter di deformazione della funzione giurisdizionale e di patente invadenza della magistratura fuori dall’alveo dei suoi compiti, fino alla costituzione di un vero e proprio partito dei magistrati”.

Suggestivo fotomontaggio de Il Fatto. Ha stato Salvini.

Se comincia  la festa della giustizia feroce, del circo mediatico e delle manette,  limitiamoci a ricordare che questo sistema giudiziario  ha  archiviato  il “suicidio” di David Rossi di Montepaschi, e l’inchiesta, riaperta a forza dalle scoperte delle “Jene”, è finita a Genova e non se ne sa più niente.  E a Macerata, il Gip  Giovanni Maria Manzoni ha revocato la custodia in carcere, per le accuse di omicidio, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere, a carico dei due nigeriani,  Lucky Awelima e Desmond Lucky, arrestati per concorso con Innocent Oseghale per l’omicidio di Pamela Mastropietro e lo smembramento del cadavere della ragazza, nonostante le prove a carico.

Scagionati i complici di Oseghale. Lo sconcerto della mamma di Pamela

In questi due casi, nemmeno un briciolo dello zelo con cui si persegue una cena di Giorgetti con un palazzinaro.  Ma ho detto anche troppo. Parum de Deo, nihil de Principe, come mi disse un tizio che per aver  detto qualcosa di troppo  de Principe, fu poi ucciso dalla Mafia. Anzi, da un incidente d’auto.

Suicidio, di sicuro. Archiviato.

Post Scriptum su Paolo Savona.
Anche lui è stato inquisito dalla magistratura, cosa che il giornale Il Fatto ha subito ricordato appena s’è fatto il suo nome come ministro. Nessuna condanna, ma solo un fascicolo aperto al momento giusto per impedirgli di diventare governatore di Bankitalia. Sua frase: “Avrò eterna disistima della nostra magistratura come categoria”.