IL CREPUSCOLO DELLA LOBBY (o dell’America?)

“E’ finita l’AIPAC?”, si chiede in un articolo Grant Smith. L’AIPAC, American Israeli Political Action Committee, è braccio della lobby temutissimo da ogni senatore o deputato americano, che da trent’anni e più torce la politica estera della superpotenza a favore di Sion; Grant Smith ne è il massimo conoscitore, autore del saggio Big Israel: How Israel’s Lobby moves America e direttore dello  Institute for Research: Middle Eastern Policy di Washington.

L’organizzazione che poteva determinare l’incenerimento di qualunque candidato “nemico” bollandolo come “antisemita” in campagne mediatiche massicce, o la sua fortuna convogliando su di lui le donazioni dei “filantropi”; dà meno segni di vita, assevera Smith.

Gli indizi: la lobby ha cancellato la annuale “conferenza politica” del prossimo marzo 2021: evento importantissimo, dove “gli attivisti filo-israeliani si incontrano per fare rete, partecipano a sessioni su come generare sostegno pubblico per Israele” e poi, così caricati, “ i partecipanti marciano fino a Capitol Hill per incontri pre-programmati con i loro rappresentanti, e tutti ripetono ai parlamentari gli stessi punti : aiuti esteri statunitensi incondizionati a Israele, necessità che gli Stati Uniti si schierono con forza contro i rivali di Israele, e richiesta di ridurre la libertà di parola dei critici americani di Israele”

Invece, nel febbraio scorso, è successo che Betty McCollum, parlamentare democratica del Minnesota, ha avuto il coraggio di dichiarare “l’AIPAC, per il suo uso del discorso dell’odio [hate speech] va considerato un gruppo di odio [hate group]. Coniugando [l’accusa di] antisemitismo e l’odio per mettere a tacere il dibattito, l’AIPAC vilipende i democratici e i nostri valori fondamentali”.

Essere chiamato “hate group” è un’accusa gravissima in USA, la quale per il solo fatto che ha potuto essere elevata mostra che “sempre più membri del Congresso hanno rifiutato di sostenere incondizionatamente l’AIPAC o la sua agenda pro Israele. L’ultimo sondaggio di Shibley Telhami rivela che la maggioranza degli elettori repubblicani e democratici ora crede che sia “accettabile” o persino un “dovere” dei membri del Congresso degli Stati Uniti mettere in discussione le relazioni israelo-americane .

Ciò perché l’elettorato ebraico, progressista, è sempre più critico della brutale politica di annessione di territori palestinesi di Bibi Netanyahu; inoltre le minoranze “colorate” e gay che il partito democratico oggi cavalca, non sono per niente amiche di Sion.

Per Smith, infine, “il sistema di contribuzioni dell’AIPAC ai politici” è meno efficace. Eliot Engel, l’ebreo che per decenni è stato messo alla Commissione Esteri della Cameera e si vantava di varar per l’AIPAC ” ogni atto legislativo uscito dalla commission, è stato sconfitto da Jamaal Bowman, un afro-americano di Harlem che ha attaccato frontalmente la politica estera di Engels (benché sia sposato con una Melissa Oppenheimer, il che è significativo: significa rottura con l’ideologia rabbinica) e di cui la lobby non ha pagato la campagna.

“Man mano che un numero sempre maggiore di membri del Congresso comprenderà di poter vincere le elezioni senza prostrarsi davanti all’AIPAC e subordinare la politica estera statunitense a quelle israeliana, molti altri si affrancheranno dal più importante agente straniero”, conclude speranzoso Smih.

Naturalmente, l’eclisse dell’AIPAC può avere un altro motivo: che ha completato la sua missione. Dopo vent’anni di guerre degli Usa per Sion dall’11 settembre 2001, con la distruzione dell’Irak moderno e il procurato collasso degli stati musulmani per islamismo, cosa può chiedere ancora da una superpotenza che nello sforzo si è dissanguata economicamente, in volontà politica e moralmente? Un tentativo di lanciare il Pentagono nell’ultima guerra prevista del piano Kivunim, quella contro l’Iran e le sue centrali, è stata bloccata da un evento imprevisto: il Congresso ha voluto votare una legge che vieta al presidente di fare una guerra senza la previa autorizzazione sua, ossia del Congresso: che l’ha fatto per odio a Trump, ma tant’è – la verità è che la lobby, da un’America svuotata, divenuta impotente per lo sforzo eccessivo di eseguire il Piano Kivunim, oggi non può dare più molto. Del resto, Donald Trump ha dato allo stato ebraico (contro la sua stessa opinione pubblica) il riconoscimento di Gerusalemme come capitale della etnia ebraica,preludio alla edificazione del Tempio; cosa può volere di più l’AIPAC?

Una ONG ecologista ha proposto di scolpire la testa di Trump su un iceberg.

Trump ha eseguito il suo compito, per così dire, metastorico. L’ultimo regalo teologico della ex superpotenza che superpotenza non è più; anche se ora sta cambiando posizione, cosciente almeno del momento apocalittico in cui gli tocca vivere.

Il sostegno “incondizionato, tonitruante e bombastico” di Donald a tutte le iniziative di Bibi, sta diventando controproducente: in odio a Donald , il deep state e il Pentagono, gli “esperti” e i parlamentari, sono disposti a tutto per fargli dispetto e impedirgli di attuare le sue disposizioni.

Il fatto che AIPAC ripieghi e chiuda il suo teatro “è un segno della estrema gravità, dell’estrema profondità, della quasi-irreversibilità della crisi interna che ha colpito il sistema americano, ostaggio di una situazione interna esplosiva, rivoluzionaria e catastrofica”, dice Philippe Grasset. Esaurito il paese che fu il più potente del mondo, come avvenne dell’URSS secondo Solgenitsin,  ora si è alla ricerca di un altro golem?

Gli sforzi dei Rotschild di ingraziarsi la Cina richiedono un articolo a parte…

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