FENOMENOLOGIA DEL RADICAL-CHIC

                                                                             I parte

                                                               di ROBERTO PECCHIOLI

La società occidentale odierna è un mondo eterodiretto, un prodotto di ingegneria antropologica secolare giunto al suo compimento. I cambiamenti sono adesso così rapidi che i più sensibili sono colti da un senso di straniamento, l’alienazione profonda di chi si sente separato da se stesso e da ciò che gli era familiare. La decadenza civile, etica e persino individuale è tanto avanzata da non essere neppure più percepita. Motus in fine velocior, insieme con la scissione radicale dal passato, l’obliterazione di ogni principio e orizzonte preesistente.

Si è determinata, anzi è stata prodotta una mutazione antropologica che ha creato nuovi tipi umani. In ogni società sono le élite a improntare per imitazione i comportamenti di massa. E’ dunque utile analizzare i mutamenti di quella classe sociale per capire gli esiti dei processi politici, sociologici, esistenziali che ci avvolgono. Il più significativo osservatore è stato l’americano Christopher Lasch, etichettato sbrigativamente come populista di sinistra, con saggi di capitale importanza come La cultura del narcisismo, La ribellione delle élite e L’io minimo, nei quali tracciò una fenomenologia dell’uomo occidentale delle classi alte, sradicato, narcisista, privo di idee forti e soprattutto personali.

Ci troviamo a un tornante decisivo della storia, che può determinare la scomparsa di tremila anni di civiltà. Da oltre due secoli, con un’accelerazione successiva alla seconda guerra mondiale diventata corsa sfrenata dopo la fine dell’esperimento comunista, viviamo sulla carne la decostruzione dell’homo sapiens e il suo ricondizionamento come homo (liberalis) consumens. L’attacco è stato sferrato sul versante antropologico e valoriale; è da lì che occorre ripartire per organizzare un’ardua riscossa. Nessuna possibilità di successo se non si andrà alle radici, esattamente come ha fatto il progetto nemico.

Intendiamo ricostruire una fenomenologia dell’uomo contemporaneo, in particolare di quel particolare tipo umano, progressista, liberal, emancipatosi dai valori morali e civili della sua classe d’origine, la borghesia. Schierato a sinistra nei valori “societali”, cosmopolita, umanitario, irreligioso, consumista ma assai attento alla tutela dei suoi interessi materiali, in Francia lo chiamano bobo, bourgeois bohéme, o gauche caviar, sinistra al caviale. In Italia, sulla scia americana, la sua etichetta è radical chic. Il progetto tecnico e zootecnico di cui siamo vittime ha come promotrice una piccolissima minoranza dominante, affiancata da una serie di gruppi intellettuali e ceti di sostegno che ne condividono e diffondono gli obiettivi. In Francia, dove amano acronimi e sigle, li definiscono “li-li”, i liberal libertari con venature postmarxiste unite a un accanito interesse per il portafogli e il prestigio sociale (l’immagine).

Sono i nemici da smascherare, gli utili idioti da conoscere, sconfiggere se vorremo intraprendere una battaglia autentica contro gli iperpadroni. Costanzo Preve parlava di classe media semicolta. In Italia potremmo identificarli con la platea dei lettori di Repubblica, sedicenti riflessivi, razionali, tolleranti. E’ un esemplare umano che viene da lontano, dall’ottimismo positivista e scientista del XIX secolo, perciò abbiamo scelto di descriverlo attraverso le parole di alcuni grandi della cultura dell’800. Iniziamo da due giganti della narrativa, Lev Tolstoj e Fedor Dostoevskij, russi universali animati dallo spirito del cristianesimo e dall’amore per il loro popolo, le cui aristocrazie vedevano già corrotte dal vento delle idee francesi e dalla nascente, prepotente influenza dell’americanismo.

Un altro russo, Aleksandr Solzhenitsyn, profeta di verità, mise il dito nella piaga della nostra decadenza nel 1978 con il grande discorso all’Università di Harvard, che gli valse l’ostilità degli intellettuali occidentali. Il re è nudo, spiegò ai chierici della cultura americana. In particolare, il reduce della persecuzione sovietica denunciava la mancanza di coraggio dell’uomo occidentale moderno. Nessun coraggio fisico, il disprezzo programmatico di ogni ardimento; ancor meno tensione morale, fortezza dell’animo che spinge a reagire al male. “Questo declino del coraggio è particolarmente avvertibile nello strato dirigente e nello strato intellettuale dominante. I funzionari politici e intellettuali (…) mostrano che questo modo d’agire è pragmatico, razionale e giustificato da qualsiasi elevato punto di vista intellettuale e perfino morale. “Concludeva così: “c’è bisogno di ricordare che il declino del coraggio è stato sempre considerato il segno precorritore della fine?”

L’anima russa, evidentemente, ha una particolare sensibilità verso questi temi. Lev Tolstoj li affronta all’inizio del suo capolavoro, Anna Karenina, introducendo il personaggio del cognato della sua eroina, Stepan Arkadévic Oblonsky, prototipo del radical chic di ogni tempo. E’ un uomo ordinario, benestante ma indebitato, di media cultura, moderato e pronto a ogni riforma liberale, desideroso di essere sempre alla moda, inconsistente. E’ uno di quelli che credono sempre alla verità ufficiale diffusa dai giornali. Scrive Tolstoj “Il giornale che riceveva Stepan Arkadévic era liberale senza essere troppo avanzato, di una tendenza che poteva andar bene alla maggioranza del pubblico. Per quanto Oblonsky non si interessasse granché né alla scienza, né alle arti, né alla politica, nondimeno si atteneva molto fermamente alle opinioni del suo giornale su tutte le questioni, e non mutava la sua maniera di vedere che quando la cambiava la maggioranza del pubblico. “

Si noti la scelta di un vocabolo, opinioni, che sembra l’emblema del tempo moderno e contemporaneo. Non si hanno più ideali e nemmeno convinzioni, ci si contenta di opinioni, facili da assumere e ancor più da modificare a un fischio dei padroni delle nostre menti. E’ il mondo liquido teorizzato da Zygmunt Bauman, trasformato in gassoso, un gas che, contro natura, scende verso il basso. L’opinione, per il radical chic impomatato, è un prodotto, un soprammobile per decorare il cervello. Vengono in mente le riviste patinate, gli inserti settimanali dei giornali progressisti che ingombrano i salotti neoborghesi nei fine settimana diventati week end. Vi si parla di tutto senza profondità, economia, moda, sport nautici, golf, villeggiatura, sanità, cibo, divieti, meteorologia, massimi sistemi. Tutto frullato, pret-a-penser, un pastone omogeneizzato adatto al fragile mondo del borghese alla moda, assopito e progressista.

Tolstoj aveva capito tutto con la sensibilità dell’artista. “Le opinioni lo lasciavano da sole dopo essere venute a lui senza che si fosse preso la pena di sceglierle. Le adottava come le forme dei suoi cappelli e dei suoi cappotti a redingote, perché li portavano tutti, e, vivendo in una società dove una certa attività intellettuale diviene obbligatoria con l’età, le opinioni gli erano altrettanto necessarie che il cappello. “

La prima caratteristica di questa figura è lo spirito gregario, unito a un formidabile conformismo. Il socialista cristiano Tolstoj spiega così il transito verso le idee liberali: “se le sue tendenze erano liberali anziché conservatrici, come quelle di molte persone del suo mondo, non è che trovasse i liberali più ragionevoli, ma perché le loro opinioni si inquadravano meglio con il suo stile di vita. Il partito liberale sosteneva che le cose andavano male in Russia, e quello era il caso di Stepan Arkadevic, che aveva molti debiti e poco denaro “. L’inferiorità materiale nei confronti dei veri ricchi e potenti suscita nel radical chic un’invincibile volontà di essere come loro attraverso le mode, essere “avanti”.

Dostoevskij descrive in maniera straordinaria questa voluttà accanita e ridicola di essere qualcuno e al centro della scena nel racconto Il Coccodrillo, letto spesso come una favola per bambini. Il protagonista è un borghese saccente che finisce inghiottito da un coccodrillo in mostra nell’elegante vetrina di un tedesco in una galleria commerciale di San Pietroburgo. La moglie piange il marito, il negoziante il coccodrillo, ma il rispettabile signore è vivo e non ha alcuna intenzione di uscire dal coccodrillo. Abbagliato dalla possibilità della fama, dichiara, parlando dal ventre del coccodrillo “questa è l’occasione opportuna di imporsi all’attenzione generale e far valere le mie qualità.” Entusiasta lui delle migliaia di persone che verranno ad ascoltarlo, entusiasta il proprietario tedesco delle migliaia di visitatori paganti. Ma i giornali, cosa diranno i giornali? Questo è l’orizzonte borghese, quelle le sue ragioni per vivere.

I liberali che Dostoevskij detestava, protagonisti del drammatico romanzo I Demoni, erano borghesi intenzionati a sovvertire da cima a fondo la società, ma senza una vera rivoluzione. Agisce in loro una stupidità priva di coraggio, di cui, qualche decennio dopo, un polemista cattolico francese, Léon Bloy, comprese il fondo selvaggio, un misto di materialismo e di nichilismo che domina da allora la nostra società divenuta post cristiana. Dall’avvento di Francesco ai vertici della Chiesa, sappiamo che si può essere contemporaneamente nichilisti e cristiani.

Tolstoj, un populista che vedeva lontano, anticipa i temi dei cambiamenti etici in un altro passaggio dedicato a Oblonsky. “Il partito liberale sosteneva che il matrimonio è un’istituzione invecchiata da riformare urgentemente, e per Stepan Arkadevic la vita coniugale offriva effettivamente pochi vantaggi e lo obbligava a mentire e dissimulare. I liberali dicevano, o piuttosto lasciavano intendere, che la religione è un freno solo per la parte incolta della popolazione, e Stepan, che non poteva sopportare la più breve cerimonia religiosa senza soffrire alle gambe non capiva perché ci si preoccupasse in termini spaventosi dell’altro mondo, quando era così bello vivere in questo. “

Nella conversazione i radical chic, tanto amante della discussione quanto indisponibile al vero dibattito, deve dimostrare mille volte al giorno di essere un uomo “liberato”.  Tolstoj affonda il colpo: “Stepan Arkadevic non disdegnava una buona battuta di spirito, si divertiva volentieri a scandalizzare la gente dabbene sostenendo che, dal momento che ci si vanta dei propri antenati, non era il caso di fermarsi a Rjurick [il re medievale che fondo la Rus’ di Kiev N.d.R.] e rinnegare il nostro progenitore primitivo, la scimmia”. Quale preveggenza, e quanta acutezza nel penetrare a fondo nell’animo di Oblonsky, primo radical chic della letteratura: “le tendenze liberali divennero in lui un’abitudine; amava il suo giornale come il suo sigaro dopo pranzo, per il piacere di sentire una leggera nebbia avvolgergli il cervello”.

Oblonsky è un “li-li” liberal libertario inconsapevole; il suo universo è un misto di materialismo, progressismo e nichilismo, il che spiega l’adorazione di tutto ciò che proviene dall’America. Straordinario è il racconto che Dostoevskij mette in bocca ai personaggi dei Demoni sul loro soggiorno in America, il contrario del viaggio iniziatico di un Goethe. Il sogno americano di sei russi ingenui si infrange nella dura realtà della competizione e dello sfruttamento, eppure… “Lavoravamo come negri, soffrivamo il martirio. Alla fine, Kirillov e io non ce la facemmo più, e cademmo ammalati. Liquidandoci, il nostro padrone trattenne una parte del nostro salario. Inoltre ci aveva picchiati più di una volta” Quell’esperienza disastrosa non cambia le idee dei giovani radicali russi. “Domandarono loro, come è possibile che i vostri padroni vi abbiano picchiato, e tutto questo in America? Avreste dovuto rimproverarli! Per niente. Dall’inizio, ci eravamo fissati il principio, Kirillov ed io, che noialtri russi, di fronte agli americani, eravamo come dei bambini, e che bisognava essere nati in America, o almeno averci vissuto lunghi anni per trovarci al livello di quel popolo. Che dire? Quando, per un oggetto da un copeco, ci domandavano un dollaro, noi pagavamo non solo con piacere, ma con entusiasmo.”

E’ tipico e inspiegabile se non in termini di malattia dell’anima, il complesso di inferiorità nei confronti degli Usa, l’imitazione ottusa, la gioia volgare di essere colonizzati, sentirsi un’appendice dell’impero. Alberto Sordi tratteggiò al cinema il personaggio di Nando Moriconi, adoratore dell’America, incarnazione di un sentimento infantile di sudditanza, infranto dal disgusto per il cibo americano, che fa tornare Moriconi ai rigatoni al sugo.

I futuri demoni di Dostoevskij divinizzavano l’America. “Ammiravamo tutto, la legge di Lynch [i linciaggi pubblici senza processo N.d.R.], le pistole, i vagabondi. Una volta, durante un viaggio, un tipo mi mise la mano in tasca, prese il mio pettine e iniziò a pettinarsi. Noi, Kirillov e io, ci limitammo a scambiarci uno sguardo, e decidemmo che tale modo di agire era quello buono “. Individualismo spinto, indifferenza per gli altri, sfruttamento, uso sfacciato dei suoi beni più intimi: americanismo puro tanto amato dai progressisti di mezzo mondo.

Non manca, nel racconto, l’accenno al miliardario tutto scienza e progresso. “Ha legato tutta la sua immensa fortuna alle fabbriche e alla scienza positiva, il suo scheletro all’accademia della città in cui risiedeva, la sua pelle per farne un tamburo, a condizione che notte e giorno si eseguisse su quel tamburo l’inno nazionale dell’America. Ahimè. Noi siamo dei pigmei a paragone dei cittadini degli Stati Uniti. La Russia è uno scherzo della natura e non dello spirito “. Forse Dostoevskij conosceva la scelta del filosofo utilitarista inglese Jeremy Bentham, il padre di ogni progressista, la cui mummia è ancora esposta a Londra per volontà testamentaria “scientifica” dell’interessato.

Questa visione dell’uomo come artificio, macchina da utilizzare e da cui estrarre pezzi, è parte integrante dell’ideologia transumanista, il cui banditore è il futurologo israeliano di successo Noah Yuval Harari (Homo deus; Breve storia dell’umanità), ma è altresì elemento costitutivo dell’ideologia borghese. Lo ammise Francis Fukuyama nel suo arcinoto Fine della storia. “Il borghese fu una creazione interamente deliberata del primo pensiero moderno, uno sforzo di ingegneria sociale che cercò di creare la pace sociale cambiando la stessa natura umana.”

La voce dal sen fuggita proviene dal centro dell’impero: bisogna crederci, ma sarebbe bastato prestare fede ai due giganti russi, testimoni dei primi passi dell’esperimento borghese, liberale, progressista, avviato “in corpore vili” al tempo loro. Estranei all’illuminismo, con i robusti anticorpi della cultura russa, Tolstoj e Dostoevskij previdero tutto. Il risultato è sotto gli occhi di chi sa ancora vedere, l’egemonia radical chic per conto dei padroni del mondo.

Fine I parte

Roberto PECCHIOLI